Disney ostaggio della Lobby LGBT

Disney ostaggio della Lobby LGBT – L’agenda Lgbt è spinta con un tale rigore e profusione di energie anche finanziarie che agli ingenui potrebbe apparire come un qualcosa di ineluttabile che emerge spontaneamente dalle masse.

A costo di perdere soldi

La natura e la logica, tuttavia, presentano sempre il conto talvolta anche a breve scadenza e in modi imprevisti. Un esempio è la trasformazione della Disney in una agenzia di propaganda del gender rivolta ai bambini: da quando i suoi cartoni hanno iniziato ad allinearsi alla strategia Lgbt, la società ha rapidamente perso spettatori con vistose perdite sul piano finanziario.

Occorre un mago per capire che i genitori normali non gradiscono che i loro figli vengano indottrinati come omosessuali fin dalla più tenera età? Oltretutto, il fondatore, Walt Disney, notorio ammiratore di Mussolini, avrebbe concordato in pieno con i genitori in questione e non avrebbe nascosto il suo disprezzo per i nuovi proprietari della sua creazione.

L’esempio della BUD

Altro esempio eclatante è la birra Bud Light. I suoi esperti di comunicazione hanno avuto la brillante idea di scegliersi come testimonial di una campagna pubblicitaria un personaggio noto per aver trasvolato da un sesso a all’altro.

Risultato: la Bud Light ha subito un salasso economico con vistosi cali delle vendite e delle quotazioni in borsa. In proposito è stato fatto un esperimento tanto semplice quanto indicativo: a un concerto sono state offerte al pubblico birre gratis di diverse marche ma nessuno prendeva le Bud Light, mentre le altre andavano esaurite.

Ma ancora più interessante è la apparizione sul mercato di una nuova birra che in due settimane avrebbe fatto quasi un milione di dollari. Gli ingredienti del successo sono semplici: il nome politicamente scorretto di Ultra Right Beer, (la Birra dell’Estrema Destra) e l’altrettanto scorretta immagine-simbolo: un padre di famiglia inequivocabilmente etero, armato di mazza da baseball che utilizza per distruggere le Bud Light, ormai viste come simboli Lgbt.

Chissà se gli esperti del marketing ci avranno mai pensato

Marzio Gozzoli