I matti e i loro assistenti

I matti e i loro assistentiI matti e i loro assistenti – Io le ho stampate in mente le loro facce da ebeti cacasenno, le facce idiote di quelli che ci rassicuravano che la propaganda gay non avrebbe fatto male a nessuno, che bisognava limitarsi, censurarsi, castrarsi.

Me li ricordo tutti gli strilloni del “vivi e lascia vivere” la somma virtù per la quale a morire dovevamo esser solo noi, i buoni del “ma a te che fastidio danno?” che fingevano di non vedere che quelli che non ci avrebbero dovuto dar fastidio, in realtà, erano pericolosissimi.

In USA vige una censura spietata

Soprattutto a loro, agli ignavi della mutanda arcobaleno e ai fessi della lotta masochistica all’uomo bianco, dobbiamo una situazione che negli Stati Uniti è drammatica e da noi, per ora, solo grave.

L’assillante propaganda omosessualista che per ignavia, per viltà, per ignoranza hanno avallato e giudicato innocua, ha portato il 40% dei giovani americani a dichiararsi parte della comunità LGBT.

40% di persone forzate a confondere patologia con normalità.

Questi impotenti della inclusione oltre ogni limite sono responsabili del rimbecillimento di una generazione intera.

Sovvertire ogni verità

Sono loro, i propugnatori della correttezza politica, in anni di silenzio assenso o di entusiastico sostegno, ad aver permesso che uno studente di una importante università americana oggi possa dichiarare pubblicamente, davanti al suo professore di biologia, che le donne transgender “can mestruate”.

Sono loro, questi babbei cosmopoliti, ad aver consentito che quel professore possa essere licenziato se osa dire che solo le donne sufficientemente giovani “can mestruate”.

Una propaganda asfissiante ha permesso la nascita di fesserie macroscopiche quali i trigger warnings, le micro-aggressioni, la cultura del “safe”.

1984

Tutto può essere unsafe: persino essere salutata con un cortese “signora” se ci si sente uomo, malgrado all’anagrafe ci si chiami Carlotta e si sia in possesso di tette, utero ed ovaie.

È unsafe qualsiasi facoltà in cui si faccia riferimento alle origini razziali di uno studente o al suo orientamento sessuale; è unsafe il corso di letteratura che proponga testi di duecento anni fa in cui ci si riferisce ai neri col termine nigger.

Sollevamento generale, in quest’ultimo caso, che portò ad una dichiarazione corale ed ufficiale con tanto di scuse da parte del rettore: “tutti, anche noi bianchi, ci sentiamo unsafe se si permette la lettura di un simile testo”.

I balordi libertari lo sanno che ormai negli Usa, in molti ambiti, dire che una donna in transizione femmina-maschio non produrrà mai spermatozoi è un hate speech?

Lo sanno che è micro-aggressione chiedere ad un messicano dove è nato perché sotto intenderebbe che non è un vero americano?

Delatori e calunnie

Glielo hanno detto a questi mentecatti one world one love che a Princeton non si può più dire stupro, termine che ghettizzerebbe le donne nel ruolo di vittime?

Tutti possono denunciare tutti (ed in anonimato!) se ritengono di essere stati in qualsiasi modo offesi.

Un professore può essere cacciato in malo modo se dimentica i trigger warnings e cioè l’avviso, ai suoi studenti, che un certo libro ha contenuti che li potrebbero mettere a disagio. Anche Moby Dick è ormai “disturbante” perché nessuna donna – sacrilegio! – compare nel racconto.

Un problema accademico

Se un laureando in storia non vuol leggere nulla sullo sterminio degli armeni perché ciò lo turba, può farlo; se uno studio di biologia che descriva diversità tra uomini e donne, sciocca lo studente, questi può pretendere di non fare l’esame che concerne quello specifico argomento.

Decisamente una bella comodità nel caso di un esame ostico.

Sono sempre di più gli studenti di colore che si sentono più a loro agio seguendo corsi con professori neri, studentesse che vogliono solo professoresse ed omosessuali che pretendono di frequentare, in ateneo, solo omosessuali.

Così è tornato l’apartheid e le assegnazioni delle lauree con tanto di festa si fanno per gruppi etnici o sessuali.

I bianchi nei recinti

Il grande inquisito è comunque e sempre l’uomo bianco e la sua rivoltante “cultura etero” (sic).

In una Università della Carolina ci si riunisce tra “bianchi risvegliati” per capire in che modo il linguaggio e la cultura bianca creano dolore e trauma ai neri i quali, sia ben chiaro, negli Usa, vivono, per la stragrande maggioranza, grazie agli assegni di sussistenza i quali, nessuno si senta a disagio, nessuno si turbi, provengono quasi esclusivamente dal lavoro dei bianchi.

Il bianco olet, i suoi soldi no.

E allora ben vengano i miei transracial preferiti, coloro che, sempre negli Usa, pretendono di essere neri pur essendo bianchi.

Benefits a non finire e, non ultimi, accessi facilitati ai posti pubblici e alle università.

Ese qualcuno avesse qualcosa da eccepire dovrebbe spiegarne la ragione: se posso sentirmi maschio e godere di tutto ciò che la mascolinità comporta, chi mi può impedire di essere africana e mangiare a sbafo?

No borders, no limits … ma che valga per tutti

Irma Trombetta