L’amore delle ausiliarie per la Patria e l’Idea

L’amore delle ausiliarie per la Patria e l’IdeaL’amore delle ausiliarie per la Patria e l’Idea – “Fosse anche la mia morte, purché l’Italia viva. Io vivo per la Patria e per la Patria ho giurato la morte. È la mia sorte. Ma una cosa voglio ancora dire: Patria mia, il nostro sacrificio non sarà vano. E Iddio dall’alto ti proteggerà, mentre i morti ti guideranno. Italia credo sempre in Te: risorgerai! Fratelli miei di fede, questo è il mio credo “Chi muore per la Patria, vissuto è assai! Perciò non piangete. Pensate che quando si è dato tutto alla patria, non si è dato abbastanza”.

Questo è quanto scriveva la giovane ausiliaria Margherita Audisio nella lettera d’addio alla madre, prima che la giovane donna di soli 20 anni venisse fucilata a Torino, nei primi giorni di maggio del 1945.

Morire per amore, morire per la Patria

Ed è proprio di questo che parleremo nella ricorrenza di San Valentino.

Parleremo di un amore che oggigiorno, è sempre più perseguitato, deriso, marchiato: l’amore per la propria Terra e quindi l’ amore per se stessi, per la propria storia, le proprie radici in difesa del proprio futuro.

Il sacrificio d’amore delle SAF

Un amor proprio che fu dimostrato da un’altra giovane ausiliaria Franca Barbier, cresciuta in una famiglia fascista borghese di Saluzzo, nel Cuneese.

Uccisa all’ età di 20-21 anni da un comandante partigiano ammaliato dalla sua determinazione e dalla sua bellezza.

La ragazza, entrata a far parte del Servizio Ausiliario Femminile, fu mandata ad un reparto speciale informativo di stanza in Valle d’Aosta. Ricevuto il compito di infiltrarsi come spia in una formazione di partigiani, al comando di Cesare Olietti,[N 2] nome di battaglia “Mèzard”, cadde a sua volta in una trappola tesa da quest’ultimo.

Inizialmente l’uomo tentò di convincerla a entrare nella sua banda e ripudiare il fascismo ma vanamente, decidendone così la fucilazione dopo un sommario processo.

La donna rivolta al plotone di esecuzione, di fronte a ragazzi come lei, chiese di poter ordinare il “fuoco” e poi poter gridare “Viva l’Italia”.

Una richiesta che fu accettata.

Il suo coraggio, il suo orgoglio e il suo onore suscitarono una tale ammirazione ai giovani partigiani che non ebbero la coscienza di porre fine alla vita di una donna che li aveva disarmati con la sua fierezza.

I giovani esecutori spararono alto, al di sopra della testa. Fu lo stesso comandante partigiano che pose fine alla mancata esecuzione, sparando un colpo di pistola alla testa di una donna di cui non aveva avuto né il corpo né l’anima.

Una giovane donna rimasta fedele ai suoi ideali dall’ inizio alla fine, proteggendo la sua dignità di donna e di militare. Il suo corpo fu lasciato in abbandono e verrà scoperto solo due anni dopo, nell’ottobre del ’46.

Donne morte per amor di Patria, per difendere le loro idee e la loro integrità.

“Erano fasciste!”

Sì, erano fasciste, ma sono state principalmente donne che hanno dato la vita pur di far vivere ciò in cui credevano giusto o sbagliato che sia, perché il coraggio, l’onore e la lealtà non appartengono a una fede politica ma solo ai cuori degli audaci.

C’è chi è morta per aver amato il fascismo e chi, invece, per aver amato un fascista.

Come successo a Jolanda Crivelli un’altra giovane donna ausiliaria della Saf (Servizio ausiliario femminile della Repubblica Sociale Italiana). La ventenne era la giovanissima vedova di un ufficiale del Battaglione M, ucciso a Bologna durante la guerra civile, in un agguato dei “gappisti” (costola della banda comunista dei gap).

Il 26 aprile Jolanda Crivelli raggiunse Cesena, la sua città natale, per tornare dalla madre, che viveva sola. La ragazza fu immediatamente riconosciuta e additata dai suoi concittadini ad alcuni partigiani comunisti: “È una fascista, moglie di fascista!”.

Le atrocità dei partigiani

Il corpo della ragazza subì un vero e proprio martirio anche dopo la morte: percossa a sangue, torturata, verosimilmente violentata, denudata, fu trascinata per le strade di Cesena tra gli sputi della gente. Davanti alle carceri fu legata a un albero e fucilata.

Il cadavere nudo rimase per due giorni esposto a tutti come ammonimento per tutti i fascisti. Poi fu permesso alla madre di seppellirla.

Una scena agghiacciante che ricorda quella di un’altra giovane donna, anche lei condanna a un atroce destino per aver amato un fascista.

La scena abominevole della Crivelli appesa a un albero fa venire in mente quella in cui Don Pollarolo si tolse di dosso una specie di spolverino per coprire il corpo denudato della Petacci davanti alla folla.

Anche lei torturata, anche lei violentata, anche lei uccisa, anche lei denudata, anche lei appesa per aver amato fino alla fine un amore che fu la sua condanna a morte

Storie di donne assassinate e dimenticate per aver amato.

Un amore che, per quanto sbagliato e tragico, per i nobili valori che lo hanno accompagnato è stato capace di estrapolare la bellezza da ciò che è lugubre e ha reso eterne vite spezzate da mani criminali che, invece, resteranno solo meteore.