Nelson Piquet e la somma ignoranza del politicamente corretto

Nelson Piquet e la somma ignoranza del politicamente correttoNelson Piquet e la somma ignoranza del politicamente corretto – L’ex pilota di Formula 1, Nelson Piquet, tre volte campione del mondo, si è beccato una multa della bellezza di 5 milioni di reais, circa 900.000 euro, per aver chiamato “negretto” Lewis Hamilton nel corso di una trasmissione televisiva brasiliana.

Le immancabili scuse e le altrettanto immancabili dichiarazioni di essere stato male interpretato a nulla sono servite.

Piquet non è nuovo a queste dichiarazioni

La mannaia del politicamente corretto non ammette sconti. “Negro”, “negretto” e similari appartengono alla sempre più lunga lista delle parole proibite, quelle che nessuno può più pronunciare pubblicamente senza pagare il prezzo della pubblica gogna e di salatissime sanzioni.

Ora senza voler necessariamente giustificare il simpatico campione brasiliano, spesso agli onori delle cronache per le sue dichiarazioni fuori le righe – tristemente memorabile l’intervista dei tempi in cui correva, in cui diede del corridore di formula gay ad Ayrton Senna e del rincoglionito ad Enzo Ferrari…- bisogna affermare che la dittatura del politicamente corretto è sfuggita ad ogni controllo e va combattuta senza tregua.

La N-Word

Cerchiamo di capire quanto sia malato il regime soffocante imposto dall’ideologia Woke. Nella fattispecie è stato punito l’uso del termine “negretto”, variante di “negro”. Oggi questa parola è usata come dispregiativo anche tra gli afroamericani, ma pochissimi sanno che, negli anni ’30 del secolo scorso, nacque un movimento politico e culturale a forte connotazione identitaria che rivendicava la negritudine quale valore.

La Nègritude

Il movimento ebbe origine tra le popolazioni francofone in reazione alle politiche coloniali francesi di assimilazione e vide tra i suoi principali esponenti lo scrittore senegalese Léopold Sédar Senghor, che diventerà presidente della sua nazione, e il poeta antillano Aimé Césaire.

La Negritude, questo il nome con cui il movimento divenne noto, fu portavoce di idee di riscatto e di indipendenza per le popolazioni africane e della diaspora americana, unite dai valori propri dell’Africa nera.

Negritude ebbe delle riviste, la più importante delle quali fu Présence Africaine, nata nel 1947 che usciva a Parigi e a Dakar, e poté contare sulle simpatie e sull’appoggio di intellettuali del calibro di Jean Paul Sartre.

Ricevette anche gli apporti del panafricanismo statunitense di William Dubpys e Marcus Aurelius Garvey, come della Negro Reinassence di Harlem.

Si tennero due Congressi Mondiali degli Scrittori e Artisti Negri, uno a Parigi, nel 1956, e uno a Roma, nel 1959, oltre a un Festival delle Arti Negre di Dakar, nel 1966.

Infiltrazioni marxiste

Con il tempo il movimento vide sfumare la propria energia, sia per una divisione tra le componenti francofona e anglofona, sia per infiltrazioni marxiste che si opponevano a rivendicazioni nazionalistiche e identitarie. Ma quello che va rimarcato è che definirsi negri, per questo movimento, era, giustamente, motivo di orgoglio, di rivendicazione delle proprie radici e di peculiarità della propria cultura.

Se solo si avesse presente questa pagina di Storia, tutt’altro che lontana, si avrebbe l’esatta misura di quanto perversi, stupidi e avulsi dalla realtà siano i dogmi del (non) pensiero unico.

Con ogni probabilità Piquet non conosce la storia della Negritude.

Di sicuro non ne ha mai sentito parlare chi lo ha sanzionato.

Raffaele Amato

P.s.

Artisti di ogni categoria, dai comici agli scrittori, ai cantanti, da tempo lamentano come siano costretti a castrare i loro lavori per non incorrere negli strali di una ferocissima censura.

Raffaele Amato