Rubrica: Donne Dimenticate

Rubrica: Donne DimenticateRubrica: Donne Dimenticate – “Pensa a quei vigliacchi che ti hanno torturata Pensa a quella storia che è stata raccontata Pensa a quanto hai dato l’hai fatto anche per loro Donna fino in fondo, madre del futuro!”

Questi sono dei versi del brano “Saf” composto dal gruppo musicale Hobbit.

Un testo che parla di Margherita Audisio, una giovanissima ausiliaria della Repubblica Sociale Italiana.

Ma perché la sua storia è riportata con parole di sangue? Per capirlo bisogna partire da loro, dalle ausiliarie.

Queste donne erano considerate personale militarizzato e volontarie di guerra che vennero impiegate alle dipendenze dei vari corpi armati repubblicani o della GNR.

Le Infermiere Ausiliarie, sempre appartenenti alle SAF, furono inquadrate nella Croce Rossa repubblicana con l’appellativo di “sorelline”. Ebbero anche un inno a loro dedicato – Canta giovinezza – e una Preghiera dell’Ausiliaria. Si stima che le appartenenti alle SAF raggiunsero il numero di circa 6000 unità e fino al 18 aprile 1945 contarono 25 cadute, 8 ferite e 7 disperse.

La tragedia dopo il 25 aprile

Dopo il 25 aprile diverse centinaia di queste ragazze furono vittime di insulti, violenze, stupri, omicidi e vendette verso le loro famiglie che in alcuni episodi furono commessi anche anni dopo la fine della guerra. E’ il caso di Brunilde Tanzi ex ausiliaria della X MAS assassinata nel gennaio 1947 dalla Volante Rossa per via della sua militanza nei primi gruppi neofascisti.

Tra queste vittime c’è stata anche lei, Margherita Audisio, fucilata a Nichelino in provincia di Torino dai partigiani il 26 aprile del 1945.

Una ragazza di 19 anni nata a Venezia. Descritta come una ragazza dolce, intelligente, bionda e dagli occhi azzurri. Prima di essere passata per le armi i comunisti le consentirono di scrivere una lettera anche alla sorella Luciana (dopo aver salutato per l’ultima volta la madre).

L’ultima lettera di Margherita

“Cara Mamma, io vivo per la Patria e per la Patria saprò morire. Tutti i pensieri, le passioni di adolescente, di giovane ventenne, non mi hanno fatto volgere gli occhi dall’orizzonte ove è la mia Patria. Madre delle mie carni, mi comprendi? Quindi, non piangerai, madre mia. Tu che nel mondo seminasti lacrime, non piangerai. Questo per me è l’unico tormento, l’unico dubbio che lascio qui in terra. L’altra mia angoscia, per la Madre grande, si placherà con la morte. E’ la mia sorte. Ma una cosa voglio ancora dire. Patria mia, il nostro sacrificio non sarà vano. Ritornerai ancora unita, grande, bella. E Iddio dall’alto ti proteggerà, mentre i Morti ti guideranno. Italia credo sempre in te: risorgerai! Sorelle mie di fede, questo è il mio credo”.

Una delle tante troppe giovani donne vittime dell’odio rosso che all’orrore della guerra aggiunse seminando vittime innocenti.

Giuseppina Ghersi

Come Giuseppina Ghersi, l’alunna tredicenne barbaramente violentata, picchiata e infine trucidata dai partigiani solo per aver scritto un tema elogiato dal duce.

La mattina del 25 aprile 1945, Giuseppina fu sequestrata in viale Dante Alighieri, da tre partigiani comunisti e portata nei locali della Scuola Media “GuidoBono” a Legino, adibito a Campo di Concentramento per i fascisti. Le tagliarono i capelli e le cosparsero la testa di vernice rossa. Fu pestata a sangue e seviziata per giorni; tutto questo sotto lo sguardo impietrito dei genitori, anche loro deportati e imprigionati. Il 30 aprile, Giuseppina, fu giustiziata con un colpo di pistola alla nuca e il suo corpo gettato, insieme ad altri, davanti al cimitero di Zinola. Qui viene notato dal Sig. Stelvio Murialdo per alcuni agghiaccianti particolari.

Questo è quanto emerge dalla memoria testuale del Sig. Stelvio Murialdo:

“E proprio il primo era un cadavere di donna molto giovane; erano terribili le condizioni in cui l’avevano ridotta, evidentemente avevano infierito in maniera brutale su di lei, senza riuscire a cancellare la sua giovane età. Una mano pietosa aveva steso su di lei una sudicia coperta grigia che parzialmente la ricopriva dal collo alle ginocchia. La guerra ci aveva costretto a vedere tanti cadaveri e in verità, la morte concede ai morti una distesa serenità; ma lei, quella sconosciuta ragazza NO!!! L’ orrore era rimasto impresso sul suo viso, una maschera di sangue, con un occhio bluastro, tumefatto e l’altro spalancato sull’ inferno. Ricordo che non riuscivo, come paralizzato, a staccarmi da quella povera disarticolata marionetta, con un braccio irrigidito verso l’alto, come a proteggere la fronte, mentre un dito spezzato era piegato verso il dorso della mano.”

I genitori della povera piccola Giuseppina torturata a soli 13 anni furono costretti a fuggire lasciando la loro casa e il loro negozio di frutta e verdura ai comunisti che li avevano derubati di ogni cosa lasciandoli nella disperazione e nel dolore immenso per la morte orrenda della figlia bambina. Gli assassini, invece, vivevano nella ricchezza depredata alle loro vittime senza che alcuna giustizia li punisse.

Il ruolo dell’ANPI

Dopo decenni finalmente la storia di Giuseppina comincia a circolare. Nonostante le indegne accuse di collaborazionismo da parte della segretaria dell’ANPI di Savona contro la piccola martire.

La stessa Anpi di Savona che nel 2017 in occasione del monumento per la giovane vittima dichiarò in un comunicato la sua indignazione ribadendo “la propria contrarietà al progetto dell’amministrazione comunale di Noli di erigere un cippo in memoria della brigatista nera Giuseppina Ghersi. La pietà per una giovane vita violata e stroncata non allontana la sua responsabilità di schierarsi e operare con accanimento a fianco degli aguzzini fascisti e nazisti”.

Il monumento è stato inaugurato il 30 settembre, è un cippo di marmo e ferro, una targa con su scritto: “Anni sono passati ma non ti abbiamo dimenticata, sfortunata bambina oggetto di ignobile viltà”.

Ignobile viltà. Due parole che sintetizzano perfettamente la totale mancanza di pietas verso una vittima innocente da parte di chi si permette di dar lezioni di umanità e civiltà ovviamente in nome dell’antifascismo.

Norma Cossetto fa ancora paura

Una Ignobile viltà vista anche con un’altra vittima della furia rossa: Norma Cossetto.

Come successo lo scorso aprile nel corso del consiglio del Municipio Roma I durante il momento della discussione generale su una mozione, a prima firma di Fratelli d’Italia per l’apposizione di una targa in memoria di Norma Cossetto, studentessa istriana, di famiglia fascista, uccisa nella foiba di Villa Surani.

Negazionismo

Il consigliere di Sinistra civica ecologista, Federico Auer, ha preso la parola mettendo in dubbio l’episodio di violenza sessuale legato a una delle fasi di deportazione della donna. “La ricostruzione della sua vicenda storica è tutt’altro che certa. Io ho approfondito e ci sono molte fonti che mettono in dubbio la narrazione fatta da uno storico che ha dichiarato che è stata violentata e trovata nuda. In realtà la storiografia, che i colleghi chiameranno di sinistra, non trova nessuna fonte, né testimoniale, né orale, né fotografica che dimostri come questo è avvenuto”.

Parole choc che hanno suscitato la reazione di Stefano Tozzi di FDI “Non continuare, ringrazia che siamo a distanza. Imbecille”, così ha replicato il consigliere. “Mi spiace per Norma Cossetto, una civile morta, ma i consiglieri non mi fanno parlare. Ho solo detto che non ho nessuna certezza in tasca, beati loro che ce l’hanno”. Auer ha annunciato l’astensione sull’atto e la discussione è ripresa con l’intervento successivo.

La “colpa” della famiglia

Sarebbe curioso chiedere al partigiano versione San Tommaso, ma a intermittenza, se la presunta assenza di uno stupro sia un motivo legittimo per negare una targa a una giovane donna uccisa barbaramente.

O forse la risposta ce l’ha già data lo stesso Auer quando nel corso dell’intervento ha specificato che Norma Cossetto era “Una persona che sicuramente non era una combattente ma certamente apparteneva a una famiglia fascista”?

Parole che fanno pensare che il no alla targa sia più legato all’essere fascista che all’ essere stuprata.

Misteri ai quali darà risposta la sua umana coscienza.

Egea Haffner

E a proposito di Foibe da ricordare anche Egea Haffner la bambina con la valigia in una foto che gira da tanti anni in occasione della giornata del ricordo degli esuli istriani ossia il 10 febbraio.

Una foto iconica, per rappresentare con le immagini l’esodo giuliano-dalmata.

Cossetto e Haffner. Due donne unite da una pagina di storia scritta col sangue italiano e amara ironia della sorte la stretta vicinanza della data di nascita dell’esule giuliana e la data di morte della vittima dei partigiani titini. Egea Haffner nasce il 3 ottobre 1941 e il 4 ottobre 1943 trova la morte Norma Cossetto.

Una data che segna la nascita di chi diventa il simbolo di una delle pagine più buie della nostra Nazione e una data che ricorda la morte di una delle sue vittime.

Date vicine che sembrano voler urlare la sconfitta della barbarie grazia alla voce del ricordo anche tramite una semplice immagine, quella di una bambina con in mano una valigia che sa di speranza e ricordi.

L’amor di Patria di Margherita, la purezza di Giuseppina, l’orgoglio di Norma, la dolcezza di Egea. Donne con storie ed epiloghi diversi ma tutte simbolo di quell’Italia vituperata da una giustizia che sa di vendetta, da una pace che sa di sangue, da una libertà che sa di barbarie.

Rita Lazzaro