Suor Micaela, San Carlo Lwanga e il gender fluid

Suor Micaela, San Carlo Iwanga e il gender fluidSuor Michela, San Carlo Lwanga e il gender fluid – Le cronache di oggi ci riportano l’appello della Presidente dell’Unione delle Superiore maggiori d’Italia, suor Micaela Monetti, fatto nel corso di un’intervista all’Osservatore Romano.

La religiosa spiega che: “La questione del gender è un tema che sta a me particolarmente a cuore. C’è un mondo sempre più̀ fluido. Bisogna accogliere l’invito che fa il Papa ad ascoltare prima di giudicare e incasellare”. Parole che rimandano all’espressione bergogliana: “Chi sono io per giudicare?” pronunciata proprio a proposito della questione omosessuale. Prosegue suor Micaela: “È un campo che ci sta interpellando con domande forti e certamente disorientanti. Io non ho le risposte ma è necessario abitare questa realtà̀ e cercare insieme il progetto di Dio. Non possiamo bypassare questa realtà, occorre prossimità”.

Non si tratta di giudicare le singole persone, compito che spetta solo a Dio, ma i comportamenti e le condotte. Non si tratta di condannare gli individui, ma di assisterli, instradarli, accompagnarli verso la retta Via ed il Sommo Bene.

Ripartire dai fondamentali

È la distinzione tra peccato e peccatore, da sempre patrimonio del Magistero, che dovrebbe fare da guida. Le risposte che Lei dice di non avere, suor Micaela, non c’è bisogno di cercarle chissà dove, sono nel Catechismo della Chiesa cattolica, che recita: “gli atti di omosessualità sono intrinsecamente disordinati… Sono contrari alla legge naturale. Precludono all’atto sessuale il dono della vita. Non sono il frutto di una vera complementarità affettiva e sessuale. In nessun caso possono essere approvati”.

San Carlo Lwanga

Tesoro di questo insegnamento ne fece la straordinaria figura di San Carlo Lwanga, che si festeggia il 3 giugno e che vale la pena di ricordare, sia pure brevemente. Alla fine del 1800, il re Mwanga II, sovrano di territori che oggi fanno parte dell’Uganda, era al potere anche grazie al sostegno dei cristiani, che si erano opposti al tiranno musulmano Kalema.

Ma Mwanga era tutt’altro che un re illuminato. Di scarsa intelligenza, al punto da non essere riuscito ad imparare a leggere e scrivere, amava abbandonarsi a vizi ed eccessi, in gran parte conosciuti da mercanti europei. Alcol, droghe ma anche pratiche omosessuali a cui faceva ricorso disponendo di un harem costituito da paggi e dignitari di corte.

Ben presto il rapporto tra Mwanga e i cristiani si incrinò, sia perché tanto i cattolici che i protestanti condannavano le sue orge omosessuali, sia perché il sovrano si lasciò influenzare dall’astio degli stregoni e dei sacerdoti delle religioni tribali, che avevano visto precipitare la loro importanza sociale per l’affermarsi del cristianesimo.

La persecuzione

Iniziò un’autentica persecuzione. Il 15 novembre 1885 Mwanga fece decapitare il maestro dei paggi e prefetto della sala reale, Giuseppe Mkasa Balikuddembè, cattolico e catechista che aveva osato rimproverare al re le sue avances sessuali ai paggi.

Venne sostituito nel prestigioso incarico da Carlo Lwanga, anch’egli cattolico, sin da subito vittima delle attenzioni morbose del monarca. Ribellatosi, Lwanga venne condannato a morte. Dopo un percorso di 27 miglia a piedi, durato otto giorni, in cui lui e altri cristiani furono tormentati al fine di farli abiurare, il 3 giugno 1886 venne arso vivo insieme ai correligionari superstiti a Namugongo. Carlo Lwanga e gli altri 12 cristiani affrontarono stoicamente il martirio pregando sino all’ultimo respiro, senza emettere un solo gemito di dolore.

Benedetto XV li proclamò beati, saranno poi canonizzati nel 1964.

Stare nel mondo, non essere del mondo

Cara Suor Micaela, le risposte che cerca, oltre che nel catechismo, le può trovare nelle vite dei santi, come San Carlo Lwanga. Che, da Santo, scelse di stare NEL mondo ma non di essere DEL mondo, come il Vangelo ci chiede di fare (Gv, 15, 18-21). Quel “mondo sempre più fluido” che rifiuta Cristo e che La disorienta, Suor Michela, al punto da farle invocare una “prossimità”.

Raffaele Amato