A.A.A. Cercasi Pulcinella ed Arlecchino disperatamente

A.A.A. Cercasi Pulcinella ed Arlecchino disperatamenteA.A.A. Cercasi Pulcinella ed Arlecchino disperatamente – E siamo giunti a carnevale, una delle feste, un tempo, più amate dai bambini.

Ricordo ancora, come se fosse ieri, il Carnevale al mio paese. Attendevamo con ansia quel periodo, per noi iniziava settimane prima e non c’era bambino che non partecipava al carnevale.

La tradizione del Carnevale

Non avevamo costumi, la maggior parte di noi indossavano vecchi abiti larghi dei nostri genitori o nonni con tanto di berretta o cappello, si usava disegnare con del carbone baffi e barba ma si usavano anche mascherine alla Zorro o le uniche maschere vendute dall’unica merceria del paese, ovvero le maschere di Totò (il Principe Antonio De Curtis), Stanlio e Olio.

I più fortunati indossavano i costumi di Pulcinella ed Arlecchino, ma molto usato era anche Brighella che, a differenza dei primi due, era di solito fatto in casa essendo più facile da realizzare, solitamente era una tuta completamente bianca o dei pantaloni e camicia chiara su cui le mamme cucivano delle striscette verdi, in alcuni casi erano strisce di scotch verde, spesso si trattava di nastro adesivo isolante.

Poi c’erano i figli delle famiglie economicamente più agiate che potevano permettersi il costume da principe e principessa ma non mancavano anche lo sceriffo, l’indiano e tantissimi tipi diversi di mostri, tra cui fantasmi, scheletri e vampiri (sempre creati con stracci e quello che si aveva in casa) oltre alle classiche maschere della tradizione Italiana come Balanzone, Pantalone e, per le femminucce, Colombina.

Le regole

Il Carnevale aveva delle regole precise al mio paese, potevi travestirti solo fino al completamento della terza media, poi potevi ricominciare a travestirti da adulto, durante l’età intermedia di pausa dai festeggiamenti, potevi travestirti solo il giorno di Martedì Grasso se si organizzava la sfilata delle maschere.

La tradizione del mio paese prevedeva che i bambini uscissero in maschera di sera ed andassero in giro per le case del paese a chiedere un regalo per Carnevale, per colpire maggiormente gli abitanti della casa visitata c’era il momento dello show che di solito prevedeva che uno dei bambini suonasse una tarantella, anche in modo approssimativo, la fisarmonica o l’armonica a bocca e il resto della combriccola, di solito si girava in 5 o 6 quasi esclusivamente maschi perché di sera le bambine era più difficile avessero il permesso di uscire, improvvisava un ballo poco armonioso e molto confusionario.

Musica e Poesia

In alcuni casi il gruppo di maschere suonava, con il flauto, il carnevale di Venezia, anche i maestri delle scuole elementari conoscevano le nostre tradizioni e quindi ci insegnavano come prima, e a volte, unica canzone la più famosa canzone di carnevale.

I meno “artistici” si limitavano a recitare la poesia di “Carnevale vecchio e pazzo…” o semplicemente a scherzare con gli abitanti della casa.

A fine show c’era il regalo, a volte si trattava di poche lire che a fine serata si spartivano in parti uguali tra la combriccola, in altri casi erano caramelle o dolci fatti in casa, ma non mancavano anche pezzi di salsiccia essiccata con pane e dei bicchieri di vino, non era raro che i bambini a fine serata fossero alquanto alticci.

Se c’è una cosa che accomuna il mio paese con l’est Europa è il consumo di alcool, fin da piccoli, a tavola, non mancava mai il bicchiere di vino anche per i bambini a volte allungato con acqua o addolcito con una fetta di pesca (specie d’estate).

Tra fede e tradizione

Nelle combriccole era uso spesso uso portarsi appresso uno spaventapasseri vestito con giacche e pantaloni vecchi e mezzi strappati che rappresentava “Vavo” nel mio dialetto era il nome di “Carnevale” termine antico indubbiamente riconducibile al latino “avus” ovvero anziano/vecchio pertanto, Canevale, viene identificato come il vecchio, il nonno.

Al seguito di “Vavo” spesso c’era la “vedova quarajesima” (La Vedevo di Quaresima) che accompagnava durante tutto il periodo questo pupazzo piangendo come se stesse accompagnando un morto.

I più grandi organizzavano vere e proprie processioni funebri collocando Vavo in un “Tavuto” (cassa da morto) artigianale accompagnata da diverse “Vedove” che durante il percorso si straziavano piangendo e strillando, come nel caso dei più piccoli, i partecipanti erano principalmente uomini, quindi le vedove erano spesso ragazzi, ma anche adulti, vestiti con le classiche vesti nere delle vedove Cilentane.

Il giorno di Martedì Grasso si consumava la tragedia, Vavo veniva collocato al centro della piazza, vi erano più Vavo per ogni piazza e gli si dava fuoco finché non ne rimanevano solo “le Ceneri”.

Il rito si celebrava intorno alla mezzanotte in modo che la morte di Vavo coincidesse proprio con l’inizio del Mercoledì delle Ceneri. Era una festa bellissima ed unica, allegra ma anche lugubre, nessuno di noi avrebbe immaginato che, alcuni decenni dopo, questa festa perdesse valore venendo, quasi, sostituita da una festa più consumistica e meno tradizionale come Halloween che, per certi versi, ricorda un po’ il carnevale del mio paese se non altro per la presenza di mostri e fantasmi tra le maschere usate.

Un patrimonio andato perduto

Nessuno di noi poteva immaginare che le bellissime maschere del Campano Pulcinella, dei Piemontesi Gianduia e Brighella, del Lucano Rumit, del Calabrese Giangurgolo, del Siciliano Peppe Nappa, del Ligure Capitan Spaventa, del Pugliese Farinella, del Lombardo Arlecchino, del Toscano Stenterello, del Trentino Bosa-Done, del Marcheggiano Vulon e delle tantissime maschere tradizionali delle regioni Italiane, venissero sostituite, fino a sparire completamente, da personaggi sessualmente non ben definiti dei manga o dai super eroi della Marvel e della DC Comics o dei personaggi dei telefilm di Netflix.

Nessuno di noi avrebbe mai pensato che Vavo venisse dimenticato e che la Vedova di Quarajesima non lo piangesse più. Nessuno di noi pensava che una delle tradizioni più gioiose e romantiche del nostro paese venisse quasi distrutto da una società consumistica, esterofila ed asettica sempre più intenzionata a distruggere tutto ciò che è la nostra storia, i nostri usi e, in tutti i sensi, i nostri costumi.

Sarò l’ultimo dei romantici, sarò un becero tradizionalista, sarò un vecchio, o meglio, un Vavo, ma sogno ancora di vedere sfilate di ragazzini ed adulti vestiti con le nostre belle maschere regionali, un ritorno alle nostre origini, alla bella tradizione del carnevale italiano con i suoi suoni, i suoi balli, i suoi colori e anche quella nota macabra che lo faceva diventare ancora più unico ed emotivamente bello.

Lasciate che i nostri figli scoprano come era bello andare in giro con gli amici vestiti di stracci a raccogliere spiccetti e pane e salsiccia altro che dolcetto o scherzetto vestiti da personaggi sessualmente fluidi.

Ridateci Pulcinella ed Arlecchino, ridateci la nostra storia.