Antonio Tajani, il carciofo berlusconiano, “non ci fa, ci è”

Antonio Tajani, il carciofo berlusconiano, “non ci fa, ci è”

 

Antonio Tajani, il carciofo berlusconiano, “non ci fa, ci è” – Purtroppo, bisogna prendere atto di come, gettando via foglia dopo foglia, del carciofo berlusconiano non sia rimasto il “cuore”, ma solo un gambo insipido, anzi, indigesto e indigeribile.

E la nostra diplomazia è oggi guidata da un uomo che purtroppo non è incapace di intendere e di volere, ma appunto e solo di comprendere gli ordini e di essere disposto pedissequamente di eseguirli.

Agli ordini di tutti i padroni

Gli ordini di Joe Biden, di Bibi Netanyahu, di Ursula von der Layen, di chiunque altro, anche per caso, passi dalle parti della Farnesina.

La conferenza stampa di oggi è stata, a dir poco, disarmante. “Non siamo in guerra con la Russia”, ha chiarito Tajani, precisando, però, di voler far di tutto perché Mosca “non vinca il conflitto con l’Ucraina”.

Ora, che una nazione aiuti l’altra – con forniture militari e logistiche – nel mentre che le armi tuonano, per il diritto internazionale, è partecipazione alla guerra o, se piace ancora la sfortunata espressione del 1940, una co-belligeranza bella e buona.

Dal punto di vista del Diritto internazionale, se la Russia decidesse di trattarci da nemico, non violerebbe alcuna norma, ma, semmai, reagirebbe a una marea di soprusi che il nostro Stato ha già posto in essere contro istituzioni, aziende e finanche persone fisiche di quel paese.

Siamo in guerra – senza che nessuno, nemmeno la Nato e nemmeno la Ue, abbia imposto all’Italia questa posizione e perché, quindi?

Solo per mascherare la debolezza interna del quadro politico, un debolezza che non è neanche frutto della mancanza di consenso, dato che la maggioranza in Parlamento è “blindata”.

Riflessioni necessarie

E quando una “debolezza politica” non è causata da emorragie elettorali è la spia di qualcosa di oscuro su cui sarebbe opportuno che gli italiani riflettessero con molta serietà. Poi, passando dall’estremo nord al Medio Oriente, il ministro si supera, dichiarando di lavorare alacremente coi paesi arabi per ottenere da Hamas la liberazione degli ostaggi ancora detenuti nella Striscia di Gaza.

Ottima iniziativa, se non fosse che tutti i paesi di quella porzione del mondo non sono più particolarmente preoccupati della sorte – pur degna di attenzione, sia chiaro – di qualche decina di ostaggi; bensì della vita di decine e decine di migliaia di palestinesi spezzate o spente ogni giorno da una furia israeliana senza più limiti e giustificazioni di sorta.

Il nipote di Badoglio

Quante migliaia di morti occorrono ancora, al nipote di Pietro Badoglio, per prendere atto che neanche le rappresaglie tedesche della seconda guerra mondiale si erano spinte a tanto, a un 30 contro 1 che presto diventerà 40 a 1 e, contando anche solo i feriti gravi, supera i cento a uno?

Quale Europa e quale equilibrio internazionale persegue il nostro Paese, se questi sono gli atti qualificanti a fronte di ciò che accade nel mondo?

Possibile che un esponente politico – e la maggioranza di cui fa parte – non si rendano conto di essere così distanti persino dalla propria gente, su questi temi, ormai chiaramente stanca della guerra in Ucraina – e di sopportarne i sempre più crescenti costi – e inorridita dalla violenza di Tel Aviv?

Un buon governo – è regola aurea – non conforma ossessivamente le proprie scelte di politica estera agli umori della gente, ci mancherebbe; ma un conto è non essere schiavi dei sondaggi, ben altra cosa è governare certe situazioni in spregio ai sentimenti maggioritari della comunità nazionale.

E se non si ha considerazione per il “sentire del popolo”, se ne ha, con tutta evidenza, per i “desiderata di altri” e anche questo elemento di riflessione, come quello di cui sopra, dovrebbe essere attentamente valutato dagli italiani.

Massimiliano Mazzzanti

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