Be Real: spopola il nuovo social network – Che cosa c’è di autenticamente reale nel social ‘Be Real’?
L’applicazione BeReal è stata inventata e messa sul mercato partendo da un presupposto intenzionale: ricondurre la realtà dell’individuo alias utente nella sua dimensione reale ricomponendo questa scissione: essere di nuovo veri con sé stessi e con gli altri. Questo è il fine dichiarato dell’applicazione BeReal.
In merito al mondo delle applicazioni in questi giorni mi è capitato di leggere che queste dovrebbero essere efficienti ed essere in grado di risolvere un problema prima di far pensare.
Non sono d’accordo. Quando si ha tra le mani un’applicazione o un dispositivo di qualsiasi genere non ci si può limitare unicamente al suo grado di applicabilità e di efficienza nella risoluzione di un problema, si dovrebbe pensare allo strumento in questione nella sua totalità, non concentrandosi univocamente sopra gli aspetti positivi, bensì riflettendo anche sopra gli aspetti potenzialmente negativi. D’altro canto, questo tipo di approccio oculato non escluderebbe affatto l’eventuale applicazione dello strumento in questione.
Solo un nuovo social?
Tuttavia, pur essendo l’applicazione sopracitata oramai già ampiamente diffusa e abusata, sorge comunque una questione: BeReal è davvero l’occasione per un ritorno ad un’autentica realtà tramite i social network e sui social network? E poi, BeReal non rischia di diventare un’applicazione come tutte le altre, creando una dipendenza irresistibilmente opprimente nonostante essa si definisca implicitamente migliore e meno invasiva delle altre concorrenti dalle quali vorrebbe allontanare i suoi fruitori?
La nuova APP spopola
L’utilizzo massificante e massificato del nuovo social è evidente e incuriosisce i potenziali utenti, i quali si domandano cosa susciti tanto interesse ed entusiasmo nell’essere ‘be real’. Certo, l’applicazione è una delle ultime arrivate rispetto alla galassia ‘app’ e anch’essa rientra in un sistema più grande e più complesso, lo ‘smartphone’, strumento imprescindibile dalle nostre vite. Ciononostante, non bisogna sottovalutare proprio l’aspetto scontato di questo social, ovvero l’essere già parte integrante della vita quotidiana e perdipiù la sua pretesa di portare a sé il consumatore convincendolo che a lui – al social – piaci così come sei, senza filtri, senza trucchi né inganni.
Un meccanismo alienante
Eppure, a chi è portato a pensare prima di applicare si accende il dubbio, dal momento che questa applicazione instilla nella mente dell’individuo un meccanismo virtualmente alienante e distopico. L’introduzione e l’utilizzo di questa nuova realtà virtuale incarna – o meglio dispositivizza – il paradosso del social network tout court.
Il cortocircuito è il seguente: i social network sono nati per mettere in contatto le persone, farle incontrare e interagire tramite i social, agevolando le interazioni nella vita di tutti giorni, insomma nella realtà. Tuttavia, checché se ne dica, gli stessi social, ad esempio Instagram e TikTok hanno portato ad una interazione con la realtà che è distorta, poiché queste applicazioni mettono a disposizione una serie di filtri di cui si abusa e che inevitabilmente alterano la realtà stessa che si vorrebbe proiettare e mostrare.
Realtà senza filtri
Ed è da questa corruzione che nasce e arriva in soccorso BeReal, il nuovo social riparatore, il cui compito è quello di ricondurre con un pizzico di presunzione tutti gli utenti sulla retta via, di rimediare dunque alla perdita di una realtà sfigurata e che realtà non è più. Insomma, riportare le persone ad interagire con la realtà senza filtri, adoperando però sempre un social e imponendo loro una clausola: quando arriva la notifica di BeReal sul dispositivo – serve una notifica a ricordarci di ‘essere reali’ e di interagire con il mondo – devi interagire con i tuoi contatti inviando loro una doppia fotografia – scattata con camera interna e camera esterna – per mostrare che cosa stai facendo in quel preciso istante.
2 minuti!
E poiché il vincolo principale è l’esecuzione di scatti immediati e spontanei, a prescindere da dove si è, a prescindere da con chi si è e a prescindere da che cosa si sta facendo, se non si rispetta il minutaggio a disposizione – 2 minuti! – per compiere l’operazione, si viene immediatamente redarguiti per non essere stati né istantanei né tantomeno spontanei come l’applicazione vorrebbe che si fosse, ossia BeReal!
Per di più, dulcis in fundo è l’applicazione stessa a decidere a che ora del giorno bisogna essere reali, ulteriore elemento di riflessione che si collega a quanto si diceva sopra, cioè la creazione di una maggiore dipendenza dall’applicazione.
Lasciare il controllo alla macchina
A prescindere dal nuovo social in sé e al di là del suo aspetto giocoso, io penso che dovrebbe fare riflettere il meccanismo intrinseco che ha informato questa applicazione e il messaggio che passa sottotraccia: tu, individuo, puoi fare a meno di te stesso e dimenticarti della tua autonomia intellettuale di essere razionale perché esistono dispositivi che ti ricordano quando essere ciò che già sei e, se vogliamo, quando comunicarlo agli altri. Eppure, questo non significa essere veri, nient’affatto.
Non vorrei risultare un pessimista – anche se preferirei realista – con chissà quali pensieri e dietrologie, ma io dissento con questa forma mentis per cui un dispositivo possa penetrare a tal punto nella quotidianità intellettuale delle persone, persuadendole che esse non vivono la realtà di tutti i giorni e che la nostra realtà debba essere legata ad un’applicazione che ripetutamente deve avvisarci che siamo esseri viventi e consenzienti che necessitano di un promemoria per dimostrare agli altri di essere reali, o, meglio, di essere vivi!
Solo presunzione
Ripeto, è un vero atto di presunzione pensare che questa nuova applicazione possa renderci più ‘real’ illudendoci di allontanarci dalle altre piattaforme additate come illusorie e tossiche e vendendoci la sua realtà virtuale come la migliore. Sarebbe come dire e confermare che siamo social dipendenti e per questo motivo dobbiamo disintossicarci per riprendere coscienza di noi stessi, e per farlo utilizzare – con il rischio di abusarne – un altro social.
Solo un social come un altro
Ma a questo punto sorge un’ulteriore questione: questo passaggio da un social all’altro, non è semplicemente una formale transizione da una dipendenza all’altra, anziché da una dipendenza alla cura? Se così non fosse, se effettivamente non si volesse definire questa applicazione come una nuova forma di dipendenza ma uno strumento utile a disintossicarci dall’inconsistenza del mondo social, saremmo innanzitutto sollevati dal prendere atto di non essere stati irretiti dall’ennesima applicazione, giusto? In tal caso, però, si dovrebbe ammettere senza vergogna che siamo social dipendenti a tutti gli effetti e che in qualità di pazienti siamo (auto)sottoposti ad una forma di terapia, ovvero BeReal, la quale a mio avviso non può garantire una maggiore autenticità né tantomeno una minore dipendenza dai dispositivi e dai social in generale, essendo anch’essa un’applicazione a tutti gli effetti. E chissà forse un giorno evolverà come la gran parte delle applicazioni snaturando i suoi obbiettivi iniziali.
Riccardo Giovannetti