C’è ancora domani della Cortellesi: noia e conformismo stucchevole

C’è ancora domani della Cortellesi: noia e conformismo stucchevole

C’è ancora domani della Cortellesi: noia e conformismo stucchevole – Sono le prime due sensazioni che ci vengono in mente per descrivere l’ultimo film della Cortellesi C’è ancora domani.

Ma è anche troppo generoso limitarci solamente a questa prima chiosa estetica soprattutto pensando alla fanfara di regime con cui è stato accolto questo pseudo film di critica sociale che, al contrario, riserva unicamente fastidiose banalità e stereotipi spesso offensivi (per di più interpretati male da attori mediocri o caratteristi catapultati casualmente in uno spottone qualunquista con pretenziose ambizioni moraliste ed educative)

Ma per chi non avesse ancora avuto l’occasione o la sventura di imbattersi in questa triste narrazione, elevata strumentalmente a capolavoro dalla solita intellighenzia allineata al pensiero dominante e politicamente corretto, sarà necessario ripercorrerne sinteticamente la trama e l’ambientazione.

Roma, 1945

Partiamo proprio da qui: il regista colloca gli eventi, con il pretesto appunto di costruire una bachettante lezioncina al genere maschile in toto e senza eccezioni ed alla becera cultura della famiglia italiana, al termine della Seconda guerra mondiale e a cavallo delle elezioni per l’Assemblea costituente ed il Referendum monarchia-repubblica.

Il contesto è quello popolare e proletario della Roma delle periferie ancora occupate dalle truppe americane (rigorosamente di colore) dopo la fine del conflitto.

Senza tediare chi ci legge, e sottrargli il gusto masochista della visione, la regista vorrebbe invitare a riflettere (o meglio a pentirsi e genuflettersi ammettendo contriti colpe ed errori generazionali e di genere) sui temi della a violenza (ovviamente maschile), dell’autodeterminazione femminile e della libertà.

I nostri nonni erano davvero così?

Tutto ruota intorno alla ribellione di una donna oppressa in un contesto famigliare fatto di degrado, sopraffazione maritale, becero e violento maschilismo diffuso.

Gli uomini sono rappresentati (dal suocero, al marito e perfino il futuro sposo della figlia) come orchi ignoranti, che vivono al bar, pretendono ossequiosa e riverente obbedienza dalle donne di casa (che ovviamente vivono nel terrore e nella soggezione) e le picchiano brutalmente ad ogni singolo futile pretesto.

Le donne poi, sono umili serve, dimesse, sacrificate al dovere e alla sottomissione che vivono come connaturato alla loro essenza.

Il ruolo eroico del “salvatore” viene poi immancabilmente riservato al soldato afroamericano bombarolo (non aggiungeremo altro per non privarvi della sorpresa del pirotecnico artificio narrativo…).

Buttare fango sulle nostre radici

Terminata la visione, ovviamente culminata in un climax festante di orgoglio e liberazione …. Resta un senso di fastidio per il messaggio roboante, monocorde ed inquisitorio.

Era forse l’Italia della seconda metà degli anni ’40 un paese retrogrado, incivile e violento? Tutt’altro.

Era una Paese povero ma fatto di gente umile, laboriosa, orgogliosa

Una generazione che dalle macerie di un devastante conflitto, avrebbe costruito, con il concorso di tutti, uomini e donne, una Italia destinata ad entrare nelle grandi potenze mondiali

Ma soprattutto caratterizzata da un tessuto sociale modesto ma ordinato, semplice ma pulito.

Un contesto caratterizzato da solidi legami sociali e soprattutto famigliari, nel quale erano proprio le donne a rivestire un ruolo di coordinamento, equilibrio e guida.

Chi non ricorda le proprie madri, nonne e bisnonne, perno e baricentro delle famiglie e non come schiave umiliate!?

Motori indefessi della vita sociale e della economia famigliare con un ruolo tutt’altro che passivo se non centrale ed autorevolmente dominante

Più che un impegnato film di autore (ed inspiegabile campione di incassi), l’ennesima occasione persa per trattare con obiettività e non a senso unico, anzi squilibrato verso la faziosità, temi complessi ed importanti ridotti banalmente a macchietta da strapaese.

Un mal recitato minestrone fatto di stereotipi come la c.d società patriarcale cui oggi sembra essere vezzo e moda attribuire le peggiori nefandezze (dalla violenza di genere al femminicidio).

Luca Armaroli

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