Che succede in Brasile? Una nazione spaccata in due

Che succede in Brasile? Una nazione spaccata in dueChe succede in Brasile? Una nazione spaccata in due – L’assalto di migliaia di manifestanti ostili alla presidenza di Lula agli edifici sede dei tre poteri nella capitale Brasilia – Parlamento, Governo e Corte suprema – con una occupazione durata più di quattro ore, è la prova manifesta della spaccatura della nazione in due fazioni contrapposte, come già era emerso dai risultati delle elezioni presidenziali.

Un’iniziativa comunque velleitaria poiché diretta, secondo quanto si è saputo, a sollecitare un intervento delle forze armate per invalidare l’esito delle urne.

La posizione dei militari

È certamente vero che un buon numero degli assalitori – e degli elettori di Bolsonaro – provengono da ambienti militari o di polizia, molti dei quali pensionati o riservisti, ma è altrettanto vero che l’epoca dei golpe è definitivamente tramontata e altri strumenti di controllo politico, non solo in Brasile ma ovunque, svolgono la medesima efficacia.

Senza contare che, tradizionalmente, le forze armate brasiliane non hanno mai avuto – a differenza per esempio di quelle argentine – una vocazione golpista, al contrario essendo sempre state legalitarie. Quello che si produsse nel 1964, con l’abbattimento del presidente eletto Joao Goulart e che mantenne i militari al governo per oltre vent’anni, non fu un colpo di stato improvviso bensì il frutto di una lenta maturazione; non avvenne per mere questioni di potere ma per tenere sotto contollo una situazione sociale che poteva esplodere da un momento all’altro e che l’intervento dell’esercito finì, con le buone e le cattive, per normalizzare.

Una storia di relativa stabilità

Il Brasile, potenza regionale, militare ed economica, con i suoi 214 milioni di abitanti – metà della popolazione sudamericana – e una superficie di 8.516.000 km quadrati – poco meno della metà dell’estensione del subcontinente – non può evidentemente permettersi situazioni di disordine, da qualunque parte esse provengano.

Una lacerazione del suo tessuto istituzionale finirebbe per rifrangersi in tutto il sub-continente. Non è un caso che – si sa ma non si dice – a comandare realmente in Brasile sia una sorta di cupola di poteri – economici, finanziari e militari in primis – volta a mantenere dritta la barra dello Stato, qualunque sia il governo eletto.

Del resto, la sua storia è quella di una nazione che volle e riuscì, fin dalla proclamazione dell’indipendenza dal Portogallo, che avvenne in maniera indolore, mantenersi unita e stabile a differenza dei territori posti sotto il dominio spagnolo che subirono una vera e propria balcanizzazione, frutto di prolungate e sanguinose lotte intestine.

L’unità territoriale risparmiò, invece, al Brasile guerre e impoverimento permettendogli uno sviluppo economico costante e più avanzato rispetto a quello dei suoi vicini, pur con tutte le contraddizioni che una terra così vasta comporta.

Futuro immediato

Non è improbabile che il presidente Lula approfitti di questo scivolone e della solidarietà raccolta un po’ ovunque per radicalizzare la sua agenda politica. Peraltro ricca della tipica mercanzia progressista: liberalizzazione dell’aborto, libero consumo di droga, apertura all’insegnamento LGTB, assistenzialismo a pioggia, eco-indigenismo.

Dovrà però considerare il peso di quelle élite economiche in grado di condizionare le sue politiche e che, come successe nei suoi due precedenti mandati, moderò gli istinti massimalisti di un uomo di formazione comunista come lui.

Ma dovrà anche fare i conti con una metà del paese che, votando Bolsonaro, si è opposta a questi programmi e a una popolazione che, durante il mandato dell’ex presidente, grazie alla generosità nella concessione dei porti d’arma da fuoco, ne ha approfittato per aumentare il suo già ricco arsenale di oltre il 240 %. Una variabile da non sottovalutare.