Decreto Lavoro: piccoli passi e provvedimenti non risolutivi

Decreto Lavoro: piccoli passi e provvedimenti non risolutiviDecreto Lavoro: piccoli passi e provvedimenti non risolutivi – Il governo ha tenuto a battesimo, con insolita seduta del Consiglio dei ministri il 1° maggio, un pacchetto di provvedimenti, ridenominato “Decreto Lavoro”.

Tra questi si possono trovare essenzialmente cinque aree di intervento principale: una revisione complessiva del reddito di cittadinanza, una riduzione una tantum del cuneo fiscale a beneficio dei lavoratori, una semplificazione e liberalizzazione normativa per le imprese, un sostegno alle politiche formative e di inserimento al lavoro e un tentativo di sostegno per i lavoratori con figli a carico.

Demolito il RDC

Innanzitutto, il reddito di cittadinanza, che è l’unica azione “sistemica” intrapresa dal governo.

È ridotta la platea dei beneficiari e ridotti sono gli importi erogati sotto forma di “Assegno di Inclusione”, pari a 500 euro mensili più un contributo per 280 euro mensili per pagare un affitto, a cui potranno accedere solo i nuclei familiari con minori, disabili o ultrasessantenni a carico. Per gli altri arriva invece lo “Strumento di Attivazione” ovvero un contributo di 350 euro mensili a cui si potrà accedere partecipando a progetti formativi di accompagnamento al lavoro.

Si perderà il beneficio nel caso venga rifiutata un’offerta di lavoro. Come in precedenza, restano beneficiari anche tutti i cittadini UE residenti in Italia e gli extracomunitari residenti di lungo corso (in barba al fatto che fosse di “cittadinanza”, supponevamo, noi stolti, italiana).

Così riformulata il costo per le finanze pubbliche del reddito di cittadinanza si dovrebbe ridurre dai circa 8 miliardi del 2022 a 5,4 miliardi.

Incentivo alle assunzioni e taglio al cuneo fiscale

In arrivo anche una decontribuzione al 100% per 12 mesi per chi assume con contratto a tempo indeterminato (o per 24 mesi se con contratto a termine) percettori dell’Assegno di Inclusione o per chi assume giovani né studenti né attualmente occupati.

Vi è poi il taglio aggiuntivo del 4% al cuneo fiscale, una tantum e della durata di appena 6 mesi, fino ai redditi per 35 mila euro lordi annui, che si somma a quello già approvato del 3% per i redditi fino a 25 mila euro.

Per le imprese si estende la facoltà di prolungare da 12 a 24 mesi i contratti a termine, aumentando le relative causali giustificative e si concede una sforbiciata sugli obblighi burocratici e informativi dovuti al precedente “Decreto Trasparenza” varato dal governo Gentiloni e dal ministro Orlando nel 2018.

Transizione digitale ed ecologica

C’è l’istituzione di un “Fondo Nuove Competenze”, da finanziarsi con risorse PNRR e che dovrebbe quindi avere un orizzonte di vita limitato fino (teoricamente fino al 2027) e che secondo i programmi del NextGeneratioEU (sic) dovrebbe favorire la transizione digitale ed ecologia e favorire l’inserimento nel mondo del lavoro di donne e giovani (non è chiarissimo come) e di un “Fondo Indennizzi” per gli incidenti avuti nei rapporti scuola-lavoro e più controlli e condivisioni di dati per le imprese, per restringere il lavoro nero e l’elusione delle norme sulla sicurezza.

Politiche a sostegno della famiglia al palo

Infine, i sostegni per i lavoratori con figli a carico. Vista la grancassa mediatica che si era fatta sul tema si può dire che la montagna ha partorito un topolino (piccolo, piccolo). Essenzialmente si ha un aumento dell’Assegno Unico per il genitore con figlio a carico e coniuge defunto e si estende a dai 258 euro attuali a 3.000 euro la soglia di detassazione per i benefit aziendali riconosciuti a lavoratori con figli a carico.

Un giudizio sul Decreto Lavoro

Detto tutto ciò, quale può essere una valutazione complessiva del Decreto Lavoro del governo Meloni?

Francamente, come si può intuire dalla disanima dei punti di cui sopra, si tratta di un insieme di mezze misure, tutte piuttosto rabberciate e incapaci di imprimere un cambiamento strutturale al sistema economico italiano.

Sul taglio al cuneo fiscale ad esempio: ha senso proporre tagli una tantum di 6 mesi? È evidente che un taglio del costo del lavoro di così breve termine, non crea alcun mutamento della propensione delle imprese ad assumere o meno (lo stesso dicasi per le decontribuzioni al 100% per i neoassunti di soli 12 mesi di durata).

Anzi, la propensione, tutta italiana, di distribuire bonus, benefit, tagli e mancette varie, in maniera erratica e sporadica, ha sempre avuto (e continua ad avere) l’effetto di creare un sistema fiscale sempre più complesso e indecifrabile, in cui, al carattere di un alto grado di entropia interna, si aggiunge il carattere dell’assenza di stabilità e di continuità nel tempo. Anche gli interventi, come questi, concepiti con una minima ispirazione di espansionismo fiscale, possono finire, già nel medio periodo, ad appesantire, più che a sostenere il sistema economico.

Sugli altri grandi temi del declino italiano, vedi la situazione di crisi demografica drammatica, inutile soffermarsi sui provvedimenti presi in sede “Decreto Lavoro” in quanto palesemente privi di qualunque impatto.

Sulla riforma del reddito di cittadinanza, unico intervento di ampia portata, si può dire che si stia perdendo un’altra occasione per riformare in maniera più funzionale uno strumento che, al netto di ogni polemica ideologica, ha avuto una sua ragion d’essere nello stato di profondo malessere in cui versa una parte della popolazione italiana.

Mezze misure non risolutive

Dal momento che è piuttosto noto che vi sono alcuni settori economici (agricoltura in primis) dove il costo del lavoro è compresso ad un livello di sussistenza (pagato in nero e in molti casi a lavoratori immigrati), si sarebbe potuto concertare con le associazioni di categoria la definizione di un salario minimo che i datori di lavoro di tali settori possono garantire di corrispondere, il più, per raggiungere una soglia di retribuzione dignitosa, lo avrebbe potuto corrispondere lo Stato in via integrativa (ad es. per un lavoratore agricolo l’azienda avrebbe potuto pagare 700 euro mensili decontribuiti e lo Stato altri 700 come reddito integrativo, il risultato sarebbe un lavoratore italiano impiegato per 1.400 in luogo di un lavoratore straniero, verosimilmente clandestino, pagato 700 euro in nero e un italiano assistito tramite reddito di cittadinanza).

L’impressione che si ha è quella di un governo delle mezze misure delle “manovrette”, che naviga a vista, sempre ben timoroso di suscitare, dovesse intraprendere qualsiasi progetto con un minimo di ambizione, nelle ire dei propri tutori di Bruxelles.

La vocazione sembra essere quella della gestione, più che della reversione, del declino.

Filippo Deidda