Figli di una sola cultura – I cittadini del mondo, i senza patria non esistono.
Chi vi racconta il contrario non vi vuole uomini, ma numeri. Noi esseri umani, invece, numeri non siamo e già prima della nascita cominciamo ad assimilare la cultura della quale siamo figli.
Le neuroscienze lo dimostrano sempre più incontestabilmente.
Ci assillino quanto vogliono con le loro smanie multiculturaliste e ci ripetano pure fino alla nausea che possiamo essere ciò che vogliamo e che le culture si equivalgono fino ad essere interscambiabili.
Continuino a farlo e convinceranno solo i cretini perché ogni uomo ben nato sa di esser parte, profondamente, visceralmente ed intimamente, di un solo popolo e di una sola cultura che esprime la lingua che impara per prima e in maniera peculiarissima.
L’importanza del linguaggio
Gli idiomi, espressioni proprie ed essenziali del mondo che li crea, sono anche insostituibili non solo per quel mondo, ma, individualmente, per tutti coloro che ne fanno parte e racchiudono tanti e tali segreti che l’antropologia a ragione considera la morte di una lingua la fine di un modo originale e, purtroppo o per fortuna, irripetibile di guardare la realtà.
Gli uomini sono strutturati per appartenere al loro contesto sociale in maniera esclusiva e la lingua materna ne è la prova.
Sono rarissimi, a meno di non considerare chi dedica una vita allo studio di un idioma straniero, i casi di persone bilingui la cui pronuncia e la cui competenza è assolutamente perfetta in entrambe le lingue, in ogni circostanza e ad ogni livello in cui queste vengono parlate.
Siamo nati per portare con noi, a vita, l’accento della lingua della donna che ci ha partoriti e cresciuti e della cultura in cui abbiamo mosso i primi passi.
I bambini bilingue
Nei rari casi in cui il bambino è esposto prima dei cinque anni ad una seconda lingua e successivamente costantemente la parla e la scrive fino a raggiungere il livello della lingua madre, sembra che nessuna differenza ci sia, per lui, nel padroneggiare entrambe.
Sembra, ma così non è! Neppure in questo caso il cervello, ascoltando le due lingue, reagisce allo stesso modo: anche al bilingue apparentemente perfetto servono molte meno risorse cerebrali per intendere la lingua madre, cioè quella che ha ascoltato nel ventre materno e che gli è stata insegnata, anche impercettibilmente, come prioritaria.
Il lavoro degli interpreti è uno dei più faticosi: cosa strana se si pensa che costoro conoscono in maniera perfetta la lingua nella quale traducono.
Proprio sugli interpreti, a Milano, sono stati condotti studi interessantissimi. Coloro che ne hanno fatto parte conoscevano la seconda lingua ad un livello tale da non essere distinguibile dalla lingua madre.
I risultati?
Il cervello reagisce in modo unico all’ascolto della lingua materna! Spiegato in maniera semplicissima, ma precisa: c’è una parte della corteccia cerebrale che si attiva in maniera diversa se viene stimolata dalla lettura o dall’ascolto di una parola nella lingua materna o nella seconda lingua provando che quella che ci ha accompagnati durante la gestazione e negli anni appena seguenti continua ad avere un ruolo centrale, un ruolo che nessun’altra potrà mai sostituire anche se acquisita molto presto ed in maniera apparentemente equivalente.
A sei mesi il bambino raggiunge la perfetta capacità di captare i suoni di una lingua, capacità che sicuramente ha anche nel ventre materno, non sappiamo bene da quale momento in poi. Dimostra uno studio fonologico molto interessante e condotto su neonati figli di madri francesi e tedesche che i loro bambini piangevano in modo diverso riproducendo piuttosto fedelmente le intonazioni melodiche delle lingue che avevano ascoltato durante la gravidanza.
L’esperimento giapponese
In estremo oriente hanno dimostrato, con uno studio che ha coinvolto centinaia di bimbi, che neonati di poche ore si girano più facilmente verso coloro che parlano la lingua della madre piuttosto che verso chi si rivolge loro in una lingua straniera.
Se dunque la lingua nativa rimane un marchio indelebile anche a livello cerebrale, non va trascurato il fatto che, per quanto faticoso e pur certi che non si raggiungeranno mai risultati perfetti, imparare lingue nuove aiuta a combattere le malattie degenerative del cervello e fa di noi autentici esploratori di culture che, sia chiaro, ci rimarranno, comunque e sempre, intimamente estranee.
Irma Trombetta