Il valore pedagogico dello sport: intervista a Gianluca Favro

Il valore pedagogico dello sport: intervista a Gianluca FavroIl valore pedagogico dello sport: intervista a Gianluca Favro – Violenze sessuali commesse da giovanissimi come successo questa estate a Palermo ed a Caivano. Baby gang in forte crescita tra crimini e violenza, insegnati aggrediti dagli alunni tra sedie lanciate addosso e aggressioni verbali.

Uno scenario sconfortante che non rincuora certo su ciò che sarà la società di domani.

Di tutto questo parleremo con lo scrittore Gianluca Favro, analizzando la situazione da una visione prettamente sportiva, ossia su come e quanto lo sport possa incidere sui giovani.

Gianluca, quanto e come pensa che lo sport possa servire nell’educazione ma anche nella rieducazione dei giovani?

Il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva è in tutte le sue forme.

La responsabilità che le associazioni sportive, gli allenatori e gli istruttori hanno sempre sentito essere parte integrante della propria attività, viene in ultima sottoscritta anche dallo Stato.

Nei campi di gioco delle diverse discipline, nel corso dei decenni, si sono affrontati i grandi temi sociali del nostro Paese e con lo spirito dello sport che chiede di conoscere e di condividere alcune semplici regole di gioco. Sono state trovate soluzioni più veloci e di gran lunga migliori di quelle che le leggi provano ad immaginare per l’integrazione etnica.

La correzione del bullismo, la disparità di opportunità in base al reddito, la premialità del merito, dell’impegno e del talento.

Lo sport crea una piattaforma di relazione, di competizione e di accettazione dei risultati e dei limiti, di riconoscimento delle qualità fisico-atletiche e mentali.

Lo sport propone un’alternativa al nichilismo, che ovatta la vita delle nuove generazioni e delle famiglie di riferimento. Lo sport concorre a definire un modello di valori, che la scuola e ancora una volta la famiglia dovrebbero arricchire e corroborare”.

In questi giorni l’art. 33 della Costituzione è stato modificato ed ora riconosce “il valore educativo, sociale e di promozione del benessere psicofisico dell’attività sportiva in tutte le sue forme”

Da uomo che ha sempre dedicato la vita allo sport, ma anche da padre, cosa pensa di questa novità giuridica? Ma soprattutto cosa si aspetta a riguardo?

Non mi aspetto nulla di concreto, che faccia seguito al pur decisivo passaggio giuridico.

La potenza della nostra scienza è stata smantellata negli anni ’60 del secolo scorso, quando in Italia tra laboratori medico farmaceutici e centri di ricerca per la fisica nucleare lavoravano dodici premi Nobel.

Quando la Olivetti fu svenduta agli americani, che reclamavano il primato nell’elettronica dei computer, quando Mattei fu ucciso per la sua visione di ENI come strumento di cooperazione nel Mediterraneo, attraverso la formazione di ingegneri, geologi, chimici.

Cosa potrà mai fare di più e di diverso lo sport nel momento in cui è al vaglio del Parlamento una legge fiscale che obbligherà buona parte delle società di base a chiudere, per impossibilità di adeguarsi ai nuovi termini?

Questo è il Paese che sancisce con trent’anni di ritardo il lavoro quotidiano, certosino e silente svolto dalle società dilettantistiche e dalle accademie, ma che le lascia a bocca asciutta per sostegni concreti, economici, legislativi e politici.

Lo sport nell’art.33 della Costituzione è stato affiancato come attività benemerita alla scienza e all’arte. Non trova che questa visione stoni con la moda politicamente corretta della body positivity o sono forse due aspetti conciliabili?

Una ricerca medico sociale di qualche anno fa evidenziava come il 36% dei bambini italiani fosse gravemente sovrappeso.

Nella patria della dieta mediterranea, che viene riconosciuta dagli enti internazionali preposti dall’OMS ad occuparsi del tema come la migliore per salubrità, longevità ed apporti nutritivi, questo è particolarmente grave e porta in evidenza un’ennesima mancanza educativa dopo quella civica e scolastica: quella alimentare.

Lo sport non discrimina e anzi accoglie chi è di robusta costituzione o sovrappeso, offrendo l’opportunità per correggere la rotta e innescare il virtuoso binomio movimento/corretta alimentazione e dando occasioni di correlare la propria struttura fisica ad un’attività sportiva specifica.

Insegna e mette alla prova la funzionalità del corpo, che risulta in deficit, ad esempio, ad abbinare velocità o tenuta nella corsa con i chili di troppo oppure la velocità negli spostamenti con la difficoltà a muovere una massa fisica eccessivamente imponente.

Ancora una volta lo sport offre una piattaforma di confronto e propone la determinazione e la passione come soluzioni quando vi è una incompatibilità tra attività fisica e massa corporea.

Body positivity

Con buona pace di quello che si intende per body positivity: nessuna preclusione è opposta a chi è sovrappeso, nessuno shaming è concesso a compagni e avversari.

Ma la verità diventa evidente. È scuola per la vita.

Ai miei figli ho trasmesso la cura di sé, il senso che benessere e salute derivano da una serie di equilibri, tra i quali attività fisica e cura dell’alimentazione. Ma anche amore per il buon cibo e passione per la fatica che alcuni sport hanno in sé.

Socialità a tavola come in palestra.

Determinazione e capacità di ragionare per obiettivi, analisi serena dei risultati, gioia per i successi e riconoscimento delle sconfitte, in ogni caso accettazione equilibrata di entrambi. Io dopo 50 anni di sport porto a casa questo insegnamento: siamo centro del nostro mondo, ma quello che c’è intorno definisce il contesto. Quindi mentirsi è da scemi”.

Nemes Sicari