ILVA Taranto: il governo tentenna – La città di Taranto da oltre 130 anni ha un fiore all’occhiello e questo è l’Arsenale militare che dà lavoro a tanti operai specializzati. Costruito tra il 1883 e il 1889, l’Arsenale è stato attivo sia nella costruzione di importanti navi da guerra, allorchè l’Italia volle darsi una efficiente marina militare, sia nel supporto e nella riparazione di svariate unità navali civili e militari. Altrettanto non si può dire invece dell’ILVA, ex Italsider, attualmente Arcelor Mittal, un mostro cresciuto alle porte della città, che con le sostanze nocive emesse in enormi quantità soprattutto a partire dal momento della sua privatizzazione, ha avvelenato la città e l’ambiente circostante causando un aumento esponenziale di casi di leucemia che hanno colpito anche tantissimi bambini.
L’inquinamento dell’area
Secondo quanto accertato dalle numerose perizie ufficiali, avviate negli ultimi anni, l’Ilva ha causato un totale di 11.550 morti, con una media di 1.650 morti all’anno. I decessi sono stati dovuti soprattutto a cause cardiovascolari e respiratorie. 26.999 le persone ricoverate, con una media di 3.857 ricoveri l’anno. Nei quartieri Borgo e Tamburi, i quartieri più vicini alla zona industriale, i decessi sono stati 637, con una media di 91 all’anno. La causa indicata nei rapporti risulta essere il superamento dei limiti di PM10, relativo al materiale particolato aerodisperso, di 20 microgrammi a metro cubo. Come è noto, a produrre il PM10 sono innanzi tutto gli impianti di riscaldamento che però non raggiungono valori così pericolosi.
L’impianto posto sotto sequestro
L’insorgere dei fenomeni degenerativi in diversi apparati dell’organismo umano accertati in una perizia medico-epidemiologica avviata nel 2012 indusse, un magistrato coraggioso, il GIP di Taranto, Patrizia Todisco, a porre l’intero impianto sotto sequestro. Nel rapporto stilato dai medici nominati dal Gip si tratta di ricoveri per patologie cardio-respiratorie cui si aggiunge un elevato numero di tumori in età pediatrica. Ad ammalarsi sono stati non solo gli operai all’interno degli stabilimenti ma anche, come osservato, gli abitanti dei quartieri circonvicini, primo tra tutti il rione Paolo VI.
Una città attanagliata dalla crisi economica
Particolarmente impressionante un filmato trasmesso dalla RAI qualche tempo fa, nel quale un abitante del rione Tamburi, pulendo con la scopa il pavimento della sua abitazione, mostrò la quantità di polvere metallica raccolta. E sono appunto le polveri sottili a scatenare la tragedia. Tutto questo, ha avuto nel tempo un impatto fortemente negativo sull’economia tarantina sia per il danno procurato alla coltivazione delle prelibate cozze allevate nel bacino del Mar Piccolo, adiacente alla città Vecchia, e alle attività ittiche in generale, sia per il progressivo spopolamento della città con centinaia di attività commerciali chiuse.
I Riva
A finire sotto accusa sono stati principalmente i fratelli Riva, proprietari dell’impianto a partire dal 1995 indagati per disastro colposo e doloso, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele contro gli infortuni sul lavoro, danneggiamento aggravato di beni pubblici, getto e sversamento di sostanze pericolose e inquinamento atmosferico. Ma non solo su di loro è caduta la responsabilità, anche infatti lo Stato italiano è stato messo in stato di mora dalla Commissione Europea per non aver rispettato le regole a tutela della salute e dell’ambiente. I numerosi processi susseguitisi hanno portato a svariate condanne non solo nei confronti dei fratelli Fabio e Nicola Riva ma anche dello stesso ex presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, colpevole di aver coperto le irregolarità nella gestione del controllo ambientale e nella tutela della salute dei cittadini. Tanti i comitati cittadini sorti nella città ionica, costituiti in massima parte dai parenti delle vittime che hanno chiesto senza mezze misure, ma invano, la chiusura degli impianti.
Arcelor Mittal
Nel dicembre del 2019 il Tribunale di Taranto ha confermato il sequestro e lo spegnimento dell’altoforno respingendo la richiesta di un’ulteriore proroga da parte dell’ILVA, nel frattempo passata ad Arcelor Mittal, la nota società internazionale di produzione dell’acciaio. Situazione questa che ha portato ad un aumento del numero dei lavoratori in cassa integrazione. Ed è proprio in questi giorni che la vicenda dell’ILVA si è riaccesa, dopo che Lucia Morselli, amministratrice delegata di Acciaierie d’Italia ed espressione di Arcelor Mittal, multinazionale che detiene ancora la maggioranza delle quote della joint venture che, insieme allo Stato italiano attraverso Invitalia, gestisce l’acciaieria tarantina, ha posto fuori dall’indotto 145 imprese mettendo a rischio il posto di circa 2000 lavoratori.
Le reazioni politiche
Immediata la reazione del governatore Emiliano che ha accusato l’azienda di continuare ad abusare della salute dei cittadini e dell’Arcivescovo Santoro che ha usato parole dure: “La vita è vilipesa ed è vilipesa la dignità delle persone, in particolare dei lavoratori”. Nella riunione tenutasi lo scorso Giovedi 17 novembre alla presenza del ministro dello sviluppo economico, allo scopo di fare chiarezza sulla situazione, visto il bilancio fortemente in perdita dell’Azienza, si sono presentati i sindacati ma non i dirigenti di Arcelor Mittal che reclamano il miliardo previsto con il Decreto Aiuti e che non è ancora arrivato.
Cambiano i governi ma i problemi restano
La situazione è rimasta dunque ad un punto morto e i sindacati hanno indetto il solito inutile sciopero che non servirà a niente. Mentre l’impianto risulta ancora sotto sequestro, in attesa delle motivazioni della sentenza, mentre i 2000 lavoratori vedono confermata la perdita del lavoro, l’unica soluzione è quella di una intera statalizzazione dell’ILVA che ne permetterebbe il risanamento e il rilancio. Avrà il governo Meloni il coraggio di agire? Staremo a vedere.
Nicola Cospito