La militanza e l’Europa, intervista a Cesare Ferri

La militanza e l’Europa, intervista a Cesare FerriLa militanza e l’Europa, intervista a Cesare Ferri – Con piacere vi proponiamo una breve intervista a Cesare Ferri, autore di saggi, romanzi e opere teatrali. Laureato in Filosofia presso l’Università di Bologna, da sempre si è dedicato ad una personale ricerca culturale che lo ha portato ad un crescente allontanamento da quell’interpretazione dell’esistenza propria della mentalità moderna.

Con i suoi scritti fotografa la realtà attraverso la parola, obbligando in tal modo il lettore a guardarsi dal di fuori, così che egli si renda conto che si sta muovendo in un mondo privo di senso e sprofondato nel nichilismo: l’unica possibilità che gli rimane per elevarsi è diventare consapevole, trasformando il nichilismo stesso da passivo in attivo.

 

In riferimento all’area radicale, la militanza di oggi è molto diversa da quella della tua generazione. Cosa pensi di un giovane che oggi decide di dedicare il proprio tempo alla militanza politica?

Un ragazzo che decidesse oggi di investire il proprio tempo e consacrare la propria vita alla militanza politica nel nostro mondo ha tutta la mia stima.

Mi capita di sentire dei miei coetanei fare dei confronti tra i nostri tempi e quelli odierni. Lo considero un cicaleccio fastidioso al quale non ho mai voluto prendere parte. Frequento poco i social ma quando accade trovo insopportabile questo confronto tra le diverse generazioni e i consigli paternalistici su cosa bisognerebbe fare.

Noi ai nostri anni, non abbiamo fatto niente di speciale: abbiamo solo fatto il nostro dovere esattamente come lo stanno facendo le generazioni di oggi, seppur in modo diverso. Non esiste un solo modo per fare il proprio dovere, ce ne sono tanti e tutti vanno rispettati in egual modo.

Trovo invece che un ragazzo di oggi abbia più difficoltà di quante non ne avessimo noi.

Il nostro nemico, se tacciamo della regia occulta che manovrava quei personaggi, era un nemico in carne ed ossa.

Un nemico riconoscibile col quale era possibile confrontarsi in piazza mentre ragazzi di oggi devono combattere contro delle potenze invisibili.

C’è certo una differenza tra salire sulle barricate e invece leggere libri, approfondire, capire e cercare collegamenti. Sono due cose entrambe faticose ma entrambe mirabili e non trovo che una sia più meritoria dell’altra.

Nel 2018 pubblichi “I giorni dell’onore”. Un libro che racconta di un futuro prossimo nel quale una rivolta armata da parte di gruppi di immigrati sconvolge l’Italia. Alla luce di quanto accaduto in Francia lo scorso giugno (gli scontri nelle banlieue a seguito della morte del maghrebino Nahel) credi che le cose possano andare davvero così?

Non ci dimentichiamo quanto accadde in America negli anni ’90. Grandi rivolte di stampo razziale che costarono la vita a parecchi manifestanti. Anche in questo caso, dunque, arriviamo tardi ma da quanto sta accadendo in Europa ce lo dovevamo aspettare.

Quando gli Imam dicono che “con le vostre leggi vi conquisteremo, con le nostre vi domineremo” oppure che “con i ventri delle nostre donne conquisteremo l’Europa” danno un messaggio alle migliaia di islamici residenti sul suolo europeo.

D’altronde nella dottrina islamica è insita l’idea della conquista.

Forse non i primi arrivati dopo la decolonizzazione ma le secondo e terze generazioni, ghettizzate ed escluse dal confronto pubblico, sono avvelenate verso la nostra tradizione e la nostra società.

È incontrovertibile dire che siamo per cultura e per sangue diversi da loro e i fatti di Parigi e tutti gli altri fatti di sangue e di violenza sparsi per l’Europa confermano che nessuna convivenza, nessuna integrazione è possibile.

Sancire il principio tale per cui si riconosce che etnicamente siamo diversi non comporta un tema legato ad una superiorità di una compagine etnica rispetto ad un’altra – cosa che ho sempre trovato una fesseria colossale -. Io ho ripetuto spesso che preferisco uno sciamano che vive in armonia con il suo retroterra culturale rispetto ad un bianco degenerato di Wall-Street.

Lo scontro sarà inevitabile tra le nostre culture. Lo diceva già Spengler negli anni ‘30 che si sarebbe arrivati ad un momento in cui la resa dei conti sarebbe stata a livello razziale. È dunque uno scontro inevitabile.

Se nel secolo scorso si identificava la potenza nel numero, nel mondo odierno il numero diventa prepotenza. Più questa massa allogena si allarga più diventa prepotente e più pretende spazio.

Ed è un fatto che il soggetto debole di questo scontro siamo noi europei.

Se ti dimostri debole e fragile sei già sconfitto.

Noi europei siamo fondamentalmente fragili perché abbiamo perso il nostro centro interiore. Oggi si segue l’onda e quanto accade fuori di noi ma non si lavora più su sé stessi per migliorarsi e per cercare la forza per superare le proprie fragilità. Le fragilità sono prettamente umane, certo, ma anche la volontà interiore lo è.

Una cartina al tornasole della miseria morale interiore della nostra società è la gran quantità di persone depresse.

A volte basta davvero la minima avversità per gettare una persona nello sconforto più nero. È un problema della generazione odierna che non è stata educata secondo dei modelli comportamentali alti e degni. È l’esempio che rende immortale. Un tempo si cresceva avendo come riferimento degli uomini che con i fatti e non solo con le parole erano esempio.

Matteo Carucci