La morte dell’attentatore di Togliatti

La morte dell'attentatore di TogliattiLa morte dell’attentatore di Togliatti – Quando il Pci aveva le armi 

È di pochi giorni la notizia della morte di Antonio Pallante – in realtà avvenuta mesi fa e solo ora comunicata alla stampa dai familiari – lo studente catanese che il 14 luglio 1948 attentò alla vita del Migliore, alias Palmiro Togliatti, mentre stava uscendo da Montecitorio in compagnia di Nilde Jotti.

Attinto da tre colpi, di cui uno alla testa, riuscì a scamparla per la cattiva qualità della pistola e dei proiettili.

I commenti del Borghese e del Candido

In un almanacco pubblicato nel 1971 dal Borghese – intitolato “Il ventennio della pacchia” –  curato da Mario Tedeschi e Gianna Preda, rispettivamente direttore e redattrice-anima di quella rivista, si legge che una volta trasportato al Policlinico il capo dei comunisti fu sottoposto a numerose trasfusioni e che i donatori furono un frate cappuccino e un cuoco democristiano.

E inoltre che, una volta destatosi dallo choc, Togliatti ebbe a pronunciare queste parole “Dio mio, aiutami”.

«La paura può far miracoli, sebbene provvisori» commentarono i due giornalisti.

Il quotidiano di sinistra Milano-Sera in quei giorni scriveva «Dodici infermieri comunisti a turni di quattro vegliano sul ferito, coadiuvati da tre medici» suscitando il commento beffardo di Giovannino Guareschi che, dalle colonne del Candido, replicava «Già, perché adesso nell’Italia progressiva sono i medici che coadiuvano gli infermieri. E, naturalmente, nei giornali comunisti è il direttore che coadiuva i fattorini nella stesura degli articoli di fondo»

Il Pci soffia sul fuoco

Intanto Stalin telegrafava da Mosca deplorando la mancata vigilanza prestata all’incolumità del “compagno Togliatti” e il segretario della CGIL, Giuseppe Di Vittorio, con la piena approvazione dei vertici del PCI, proclamava lo sciopero generale dando fuoco alle micce. Mentre i due vicesegretari comunisti, lo stalinista Pietro Secchia e Luigi Longo, indicevano cortei e manifestazioni chiedendo le dimissioni del governo.

Ben sapendo costoro che cosa avrebbe significato in termini di scatenamento della violenza. Che infatti non tardò a manifestarsi.

Gli incidenti erano comunque già iniziati prima dell’annuncio dello sciopero e subito dopo la notizia dell’attentato, a Roma, Napoli, Genova, Livorno, La Spezia, Taranto. A Torino gli operai della Fiat sequestrarono nel suo ufficio l’amministratore delegato Vittorio Valletta.

A un passo dalla guerra civile

Nel giro di pochi giorni gli scontri fra i manifestanti comunisti – nel senso che manifestarono la precisa volontà di una insurrezione armata oltre quella di assalire sedi e circoli di partiti e far fuori avversari politici – e forze dell’ordine portarono alla morte di trentuno persone, fra cui nove agenti, oltre a diversi civili, comunisti e non, di seicento feriti e a migliaia di arresti.

La circolazione ferroviaria fu bloccata per due giorni e di fronte al precipitare della situazione intervenne anche l’esercito.

Le operazioni di polizia permisero poi la scoperta di numerosi depositi segreti di armi a disposizione delle strutture militari che il PCI aveva accuratamente mantenuto dopo la fine della lotta partigiana.

Furono poi gli stessi vertici del partito a esortare i propri militanti alla calma, ben sapendo che una sollevazione non avrebbe avuto alcuna possibilità di riuscita.

Ci pensa Gino Bartali

E soprattutto ci pensò Gino Bartali – ironia della sorte, un ex milite della Repubblica Sociale Italiana – vincendo una decisiva tappa del Tour de France il 16 luglio a salvare il Paese dal pericolo di una guerra civile. Così almeno ci tramanda la vulgata storico-aneddotica.

A dare notizia dell’impresa, in piena bagarre parlamentare, fu un deputato democristiano. Immediatamente, nell’emiciclo la tensione lasciò il posto a manifestazioni di giubilo.

Tutto è bene quel che finisce bene, dunque. A cominciare dalla vittima che, dimessa dall’ospedale un mese dopo l’attentato, iniziò la sua convalescenza nella bella villa dei  miliardari Rothschild, sul lago d’Orta, presa in affitto dal partito degli sfruttati per il benessere del Migliore.