La “nazione Mapuche”. Un bluff pro-britannico.

La “nazione Mapuche”. Un bluff pro-britannico.La “nazione Mapuche”. Un bluff pro-britannico – Proprio pochi giorni dopo la comunicazione del governo di Buenos Aires a quello di Londra della rottura del  ‘Pacto Foradori-Duncan‘, sottoscritto durante la presidenza Macri sulla reciproca collaborazione in tema di pesca e risorse naturali nell’arcipelago delle Malvinas, si è intrufolato, ospite inatteso, nella mai abbandonata questione della sovranità argentina sulle isole, un nuovo singolare pretendente: la c.d. nazione Mapuche.

Si tratta di un gruppo etnico indio, chiamato anche Araucano, che da un paio di decenni ha iniziato a rivendicare diritti di “proprietà ancestrale” e di autonomia politica su alcuni territori della Patagonia argentina e cilena.

Pretese inventate

Le loro pretese sono però storicamente infondate. Nonostante qualche tentativo volto a dimostrare un insediamento ab immemorabili degli Araucanos nelle regioni oggi sottoposte alla sovranità argentina, è unanime fra gli storici l’opinione contraria, ossia il loro recente spostamento – a partire dal XVII° secolo – dai territori (oggi) cileni, che furono quindi il loro vero originario insediamento.

Attraversavano le Ande, è bene aggiungere, per compiere razzie soprattutto di bestiame ai danni di comunità indie più pacifiche che col tempo, predatori ed aggressivi com’erano, conquistarono ed assorbirono, dunque installandosi oltre l’opposto versante andino; e la guerra coi colonizzatori argentini, anch’essi fatti oggetto di rapine e di violenze inaudite, durante il XIX° secolo, fu tempestata di crudeltà che non mancarono da entrambi i lati.

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Vi è, però, un punto chiave in questa vicenda: Il fatto che la sede dell’organizzazione Mapuche – Mapuche Nation è il suo nome – si trovi a Bristol.

Teleguidati dal governo di Sua Maestà

Proprio così. La intelligencija della “nazione mapuche” si trova oltremanica e conta sedici dirigenti su diciassette d’origine britannica; ed è grazie ai contributi provenienti dalle ambasciate e dai consolati inglesi di Buenos Aires e Santiago, che i Mapuche aprono sui territorii cileni e argentini imprese ed attività, occupano villaggi e terre, creando i presupposti per invocare future prerogative d’autonomia.

E non suona strano che proprio immediatamente dopo un significativo strappo del governo di Buenos Aires a un accordo che finiva per anestetizzare un conflitto dai risvolti geopolitici poco conosciuti ma importantissimi, l’organizzazione rivendichi, a nome della “nazione mapuche” diritti sulle Malvinas?

Questa è infatti la pretesa invocata in un articolo apparso nel portale dell’organizzazione, a firma di Danilo José Antón Giudice, membro del “Proyecto de Defensa Integral de los Derechos Humanos” del “COmité INternacionalista ARco IRis (COINARIR)”, dal titolo “Le Isole Malvinas: casa del popolo mapuche” .

Malvinas mapuches…

Quando la Repubblica argentina esige che le restituiscano le isole chiamate Falkland o Malvinas fondandosi in un diritto di prossimità (Falso, il diritto nasce dal trattato di Nootka Sound firmato nel 1790. Ndr) … bisognerebbe ricordare che le terre su cui basano i loro reclami erano terre mapuches internazionalmente riconosciute (?) poco più di un secolo prima”.

Dunque, “I mapuches erano il popolo nativo che nel secolo passato esercitava la sua sovranità sulle terre patagoniche di fronte alla isole Falkland o Malvinas e, in base a tali credenziali, hanno più autorità del governo argentino per reclamare le isole come proprie“.

Da qui, la proposta di cessione del territorio delle Falkland o Malvinas “…dal Regno Unito a una federazione di comunità mapuches come forma molto limitata di compensazione per i danni, offese e pregiudizi derivati dalla invasione cileno-argentina del secolo passato e le aggressioni imperialiste europee dei secoli XVI° al XVIII°“.

Mantenere alta la tensione

Che si tratti di una supercazzola è evidente a chiunque abbia un minimo di senso del ridicolo; immaginatevi quale impatto sulla politica del Foreign Office potrà mai avere una richiesta del genere.

Il punto, però, è che i Britannici la bega Mapuche (fatta di proteste, disordini, campagne di stampa, violenze) non ce l’hanno a casa propria, perché se la debbono sorbire i loro avversari nell’Atlantico Sud, ossia gli Argentini.

I quali, con questa ultima rivendicazione, si ritrovano ora un ulteriore, per quanto piccolo, sassolino nelle scarpe. Che finirà per aumentare il livello di conflittualità dei movimentisti/attivisti mapuche (che in realtà rappresentano la minoranza di quel popolo, in larghissima parte integrato nella multiculturale/multietnica società argentina) in un territorio, quale quello patagonico, dove la presenza dell’autorità statale (e anche dell’esercito) è ridotta ai minimi termini.

Mantenere alta, il più possibile, la tensione in quelle terre, favorita dall’isteria ideologica della sinistra sudamericana e indigenista – sdilinquita dalle pretese di un “popolo oppresso” – equivale a mantenere lo status quo nell’intera area dell’Atlantico del Sud.

E, così, Rule, Britannia.