L’antifascismo è un pesce marcio

L’antifascismo è un pesce marcioL’antifascismo è un pesce marcio – In occasione di una manifestazione studentesca organizzata da alcuni collettivi, a Bologna, lo scorso 10 novembre, si è assistito all’ennesima, ormai rituale, macabra performance che la sinistra radicale, e non solo, usa mettere in scena contro gli avversari politici più odiati: la loro immagine a testa in giù. Utilizzando a mo’ di monito e di minaccia, uno degli episodi più osceni della nostra storia ossia la “macelleria messicana”(così fu definita dallo stesso comandante del CLN Ferruccio Parri) di piazzale Loreto dove furono esposti i corpi martoriati del Duce, di Claretta Petacci e di altri gerarchi fascisti.

Meloni a testa in giù

Un manichino raffigurante Giorgia Meloni, in abbigliamento militare, è stato appeso, rovesciato, durante lo svolgimento del corteo, in pieno centro cittadino, il tutto accompagnato dalla diffusione delle immagini sulle pagine social. La manifestazione era stata indetta per protestare contro il c.d. decreto anti-rave, preteso strumento di oppressione governativa contro la dissidenza.

Il messaggio via social si concludeva con un esplicito avvertimento da parte dei collettivi contro il Presidente del Consiglio in vista della sua imminente presenza nel capoluogo felsineo per l’inaugurazione del Tecnopolo. “Non è la benvenuta, rifiuteremo la Meloni”. Messaggi d’odio diffusi sui social , episodi di violenza e aggressione contro studenti appartenenti ai circoli giovanili di FDI, scritte minatorie apparse un po’ ovunque formano un quadro che, senza cadere nell’abituale costume tragediatore della sinistra, appare meritevole di attenzione.

Chi vuole gli anni di piombo?

Non riusciamo francamente a immaginarci una situazione paragonabile a quella degli anni settanta, ma è bene non abbassare mai la guardia e sarebbe, caso mai, preciso dovere dell’élite intellettuale di questa nuova destra governativa rimettere le cose al giusto posto, senza mostrare, come quasi sempre è capitato, atteggiamenti di passività di fronte ai ditini alzati dei professorini progressisti che accompagnano le solite geremiadi sul “pericolo fascista”, alibi delle intemperanze e delle prepotenze dei gruppuscoli di estrema sinistra.

E cominciare a dire che – come ricorda il nostro Massimiliano Mazzanti nel suo “Costituzione in Rosso e Nero” – i padri costituenti non scrissero nulla nel testo della Carta che assomigliasse minimamente a una presa di posizione ideologica contro il fascismo, anzi respinsero due richieste provenienti da Togliatti che la pretendeva esplicita e da un giovane (ex fascista) Aldo Moro, che la chiedeva seppur più sfumata. Et pour cause. Fino a pochi anni prima il regime godeva di un ampio consenso popolare e la guerra civile aveva visto come protagonisti un esercito di cinquecentomila volontari contro gruppi partigiani che non superarono mai le sessantamila unità, col popolo italiano che desiderava soltanto che le ostilità terminassero.

La costituzione non poteva, non doveva, servire ad approfondire un solco fra gli Italiani ma, al contrario, a sanare le piaghe, a ricucire gli strappi. A “democratizzare” le pulsioni, i sentimenti, le idee, gli uomini della parte perdente (in realtà, come affermò Croce davanti all’Assemblea costituente il 24 luglio del 1947 in occasione della discussione sulla ratifica del trattato di pace imposto dai vincitori: “Noi italiani abbiamo perduto una guerra, e l’abbiamo perduta tutti”), per assorbirli nella nuova Italia del dopoguerra.

Fascismo: il convitato di pietra della Repubblica

E non a caso molto del fascismo fu assorbito nell’assetto repubblicano e vi fu quindi una parziale ma importante continuità istituzionale; le leggi sociali e previdenziali, le leggi bancarie, le riforme scolastiche, l’IRI, i codici per non citare che gli esempi più rilevanti e che riguardano materie fondamentali nella vita di uno stato. Del fascismo fu espressamente proibita la sola sua ricostituzione in un partito che ne mutuasse le forme, le finalità, la struttura così come si erano manifestate durante la sua esistenza, scelta coerente poiché la sua natura esclusivista e totalizzante non sarebbe stata compatibile col governo democratico del paese.

Panzana propagandistica

Il preteso antifascismo ideologico dell’atto di nascita della repubblica italiana si riduce quindi a una panzana propagandistica, a uno stratagemma furbesco che hanno garantito rendite di posizione e permesso alla Sinistra comunista (quella che in Italia ha sempre contato, le altre o s’inchinavano ai voleri del Pci o diventavano social-fasciste o reazionarie) e poi alla struttura del Pd di occupare le posizioni strategiche del paese, cultura, informazione, magistratura, scuola. Per rimuovere questi bubboni occorre una vera e propria campagna di pulizia (tra cui una commissione d’inchiesta sulla sovversione di estrema sinistra degli anni sessanta/ottanta); che si ricominci ad insegnare la verità, fin dai primi anni di scuola; che si spalanchino le finestre, che si faccia entrare aria pulita, che scompaia quell’odore di stantio, quella puzza di pesce marcio.