Le radici culturali della destra Meloniana: un mito?

Le radici culturali della destra Meloniana: un mito?Le radici culturali della destra Meloniana: un mito? – In un articolo precedente Giovanni Preziosa fa una bella analisi su una questione estremamente dibattuta (a destra, quanto meno): quali sono le radici culturali di una destra che, potremmo dire, è nata con la vocazione maggioritaria? In premessa, in ogni caso io credo ci si debba fare una domanda fondamentale: siamo sicuri che la destra di Giorgia Meloni abbia delle radici culturali?

Il problema delle radici

Che se profonde, non gelano. E che, se vere, non soffrono del complesso dei reduci. Fratelli d’Italia nasce perché, dopo il PDL, qualcuno cominciava a sospettare che le cose fossero sfuggite di mano. Siccome su quel periodo si raccontano, con solennità allarmante, valanghe di sciocchezze, mi si consenta una testimonianza. Prima di tutto: il PDL è nato perché AN aveva un problema con Fini. Un problema enorme con cui la Destra (qui sì con la maiuscola) ha sempre faticato a fare i conti: che si fa se a tradire è il Capo? La risposta dei colonnelli (purtroppo non all’altezza del quadro cinematografico di Monicelli) decisero che se a Fiuggi si era abbandonata la Casa dei Padri, qui era opportuno bruciarla direttamente. Ora, non mi fraintendete, non sono qui per dare lezioni di purezza. Non ne ho titolo né voglia. Ma, ecco, io ricordo perfettamente chi teneva le torce, in quelle notti. E tra i piromani più entusiasti c’era tutta la dirigenza degli oggi Fratelli. Questo deve essere tenuto perfettamente presente, perché quel gesto traumatico ha, tra le altre cose, reciso tutte le radici che potevano essere sopravvissute a Fiuggi.

I dieci anni di marcia

La rottura con il PDL è stato un atto politico coraggioso, che doveva segnare la nascita di un ambiente protetto dove poter essere di destra senza chiedere scusa a nessuno e, in cambio, votandosi all’irrilevanza dal punto di vista del potere. Nobile obiettivo che doveva puntare a ricostruire un immaginario. Questa operazione si poteva fare in due modi. Il primo era rigoroso e metodologico. E di una noia mortale. Il secondo ce lo racconta Eco nel Nome della Rosa. A seguito del rogo del monastero il protagonista, Adso, raccoglie le pagine dei codici che volano nel vento. E forma, salvando i frammenti, una nuova cultura. Questa è la strada scelta. Dalle rovine fumiganti della Casa dei Padri si è raccolto qualsiasi cosa non scottasse troppo (e pure alcuni tizzoni come hanno dimostrato le cronache di Berizzi sotto elezioni) e si è costruita una identità. Che identità a tutta evidenza non è, se per identità intendiamo un corpus come quello Marxista. Ma è poi una colpa? Questa identità monolitica non la aveva nemmeno il MSI, che infatti era una comunità assediata, che a sediate risolveva le discussioni nei periodi di pace. E, se vogliamo essere cinici, nemmeno il frutto di San Sepolcro aveva più di tanto a che fare con il seme o con quel che nacque in provincia di Verona nel ‘;43. Ma stiamo divagando. Diciamo che a destra ci sono state idee, qualche volta valori, ma mai ideologie. Ecco perché quanto sto per scrivere fa davvero ridere.

Conservatori a chi?

Il conservatorismo può non piacere. È legittimo. Ma è una cosa seria. Nasce in un contesto, la politica anglosassone, che può aver fatto ogni danno del mondo, ma li ha fatti con profonda autocoscienza e consapevolezza. Quindi l’idea che davvero Giorgia Meloni fosse diventata conservatrice, solo perché è stata invitata a parlare negli States è stata, secondo me, parecchio travisata. In primis dall’ideologo che c’era dietro la cosa che, infatti, ora fa il consulente di Sangiuliano e non il parlamentare. In un partito che ha realmente candidato la qualunque, io credo che questo sia un indizio significativo.

Il conservatorismo e la difesa dello spaghetto alle vongole non vivono sullo stesso pianeta. Il conservatorismo e Coldiretti non appartengono nemmeno alla stessa galassia. E, tanto per essere chiari, il conservatorismo e l’identità digitale di Stato (qualsiasi cosa sia questa mostruosità) non appartengono nemmeno al medesimo spaziotempo. Questa bella idea, infatti, dopo lo scorso Natale è finita in soffitta. Dove tra qualche anno qualcuno la riscoprirà, in un eterno ciclo di sorpresa e delusione tipico di chi, pur guardandosi allo specchio, non sa nemmeno cosa cercare per riconoscersi.

Il segreto del successo

Quindi perché FDI non solo ha successo, ma sempre più ne avrà? Perché Giorgia Meloni ha capito una grande cosa: le idee, in Italia, non hanno mercato. I leader hanno mercato.

E lei si spende davvero molto e bene. Ho letto lodi sperticate per la sua presenza da Vespa dopo il fallimento epico della Finanziaria. Dopotutto, la Finanziaria cos’è? Aridi numeri e provvedimenti chiaramente scritti da gente che, come prima lingua, ha il fiammingo. E a Porta a a Porta chi ci va? Una leader. Fine.

Ultima considerazione: attorno alla leader si sta riunendo una vasta corte dei miracoli. Che farne? Delle due l’una: FDI diventa la DC 2.0 (con una mirabile rivincita del MSI sulla DN, vendicandone il tradimento) oppure, al primo, fisiologico, rallentamento elettorale, imploderà. Come un PDL qualsiasi. Soffrendo, così, la terribile

Brian Curto