L’Unione Europea odia anche gli allevamenti

L'Unione Europea odia anche gli allevamentiL’Unione Europea odia anche gli allevamenti – Se un qualsiasi cittadino di questo tartassato continente poteva essere già seriamente preoccupato per le politiche UE contro le auto e contro le abitazioni ecco un’altra diavoleria partorita dalle geniali menti di Bruxelles: la direttiva ammazza stalle.

In realtà il titolo esatto sarebbe Direttiva sulle Emissioni Industriali (IED), ma il testo di questa ennesima trovata, steso lo scorso 16 marzo, sostanzialmente equipara, in materia di emissioni, gli allevamenti alle industrie, colpendo duramente il mondo rurale.

Il provvedimento è tanto più ingiusto se si considera che, nel periodo 1990- 2020 l’Italia ha ridotto di circa un quarto le proprie emissioni, grazie ai generosi sforzi compiuti dal comparto, mentre il Marocco e la Turchia le hanno aumentate del 23% e l’India del 21%.

La politica miope UE

È la solita politica miope della UE, che impone condizioni gravosissime ai produttori europei, destinate ad effetti risibili, considerato che il resto del mondo va avanti con altri criteri. La direttiva richiede soglie numeriche troppo basse per gli allevamenti bovini, che subiranno una sorta di polverizzazione, con aumento dei costi e abbandono del comparto da parte di imprenditori e forza-lavoro.

Inoltre, per soddisfare l’attuale fabbisogno alimentare, gli Stati membri saranno costretti ad acquistare carni ed altri prodotti zootecnici da paesi terzi, che se ne infischieranno bellamente delle emissioni da allevamento, continuando a produrre come sempre. Incalcolabili i danni non solo in termini economici e di perdita di posti di lavoro ma anche sotto il profilo della sovranità alimentare.

Perché è proprio in campo alimentare che, negli ultimi tempi, sembra essersi scatenata un’offensiva senza precedenti.

Da un lato l’attacco alle produzioni tradizionali (fermo restando che, a nostro avviso, gli allevamenti intensivi debbano essere vietati, insieme a tutto ciò che provoca inutili sofferenze agli animali) dall’altro la sempre più invadente propaganda a favore del consumo di insetti, di farina di grilli e similari, per non parlare della carne sintetica. Non è forse il cibo un ulteriore elemento identitario che il mondialismo sembra aver identificato tra i suoi bersagli?

L’Italia contraria

Ancora una volta va riconosciuto che l’Italia prova a distinguersi, esprimendo l’unico voto contrario alla direttiva, potendo però contare sul supporto delle maggiori organizzazioni agricole di Belgio, Repubblica Ceca, Spagna, Portogallo, Francia, Slovacchia e Germania. Basterà?

O non siamo forse in presenza dell’ennesimo segnale di allarme che dovrebbe imporre una riflessione seria sulla nostra permanenza in questa sciagurata Unione? Non è forse il caso di rivedere una buona volta le posizioni fermamente “atlantiste” ed “europeiste” sbandierate dalla Presidente Meloni in campagna elettorale?

Quale altra misura disastrosa dovrà essere concepita ai danni dei cittadini e dell’economia continentale prima che un sussulto di amor proprio o di semplice istinto di sopravvivenza ponga fine all’esperimento fallimentare che va sotto il nome di Unione (Sovietica) Europea?

Raffaele Amato