Morte e suicidio

Morte e suicidioMorte e suicidio – Nell’antichità classica romana, durante il periodo di Seneca, contemporaneo di Gesù Cristo, vi erano due sostanziali filosofie riguardo la morte e il suicidio: una, sostenuta dallo stesso Seneca e dallo stoicismo, sosteneva che in certi casi in nome della dignità, occorreva saper sacrificare la propria vita, la quale dunque non costituiva un bene assoluto.

L’altra invece, sposata da Cicerone, vedeva nella vita una militia, “Vita militia est”. Un uomo non si è dato la vita e quindi non se la può togliere.

Secondo Cicerone la vita rappresentava una militia , cioè un compito che occorreva portare a termine. Tale concezione filosofica precede e anticipa la visione cristiana della vita stessa, essendo l’Arpinate morto oltre 40 anni prima della nascita del Salvatore.

Nelle varie contraddizioni nella vita di Seneca, consigliere di Nerone e da lui costretto appunto al suicidio, egli tenne dunque una posizione coerente.

Il dialogo fra Plotino e Porfirio

Sull’aspetto della morte e del suicidio si dedicò anche Porfirio, parlando di Plotino. Porfirio, suo allievo, a un certo punto fu colto da una grave crisi esistenziale e meditò il suicidio. Prima di metterlo in atto, si consigliò con il suo maestro, il quale però riuscì a dissuaderlo.

Leopardi ripercorrerà questo dialogo drammatico tra Plotino e Porfirio. Quel che può sorprendere in questo dialogo è che Plotino, pur non coltivando un’assoluta considerazione della vita quale bene più prezioso del mondo, sia riuscito con argomenti abbastanza semplici a far desistere il suo allievo dal compiere il gesto estremo.

Secondo Plotino, la dignità, il coraggio, la fedeltà all’idea, erano cose di gran lunga superiori alla vita stessa e senza le quali essa perdeva valore e si svuotava di senso. Plotino stesso si vergognava perfino di avere un corpo e non voleva essere ritratto in alcun modo perché già egli considerava il proprio corpo una copia sbiadita di un essere e vietò a un pittore di nome Carterio di ritrarlo.

Tuttavia, nonostante in lui non albergassero l’attaccamento all’aspetto materiale della vita e l’idea di una sua assoluta sacralità, Plotino riuscì a convincere Porfirio proprio sulla base di questa stessa premessa, ossia che non bisognava attribuire soverchia importanza all’esistenza e, inoltre, che l’uomo non poteva cedere alla superbia decidendo lui stesso di darsi la morte. La vita secondo Plotino era un’avventura, un viaggio da percorrere fino in fondo, accettando anche amarezze e cadute.

Il suicidio come fuga

Il mondo classico si era dato quindi due risposte di fronte alla disperazione dell’esistenza: la dignità del suicidio e, di contro, la sottovalutazione della vita stessa, da cui l’ineludibile conseguenza che chi se la toglie le attribuisce eccessiva importanza.

Aspetti filosofici questi che risultano inapplicabili ai casi di suicidi per disperazione tipici dei giorni nostri, quasi sempre estranei a motivazioni esistenziali e che si ricollegano a una volontà di fuga per mettere fine al dramma e all’insofferenza economica, sociale e sentimentale.

Un altro importante aspetto del suicidio e di spiegazione di atto supremo, è quello del suicidio rituale che ci avvicina a quelli del mondo classico, spiegati da Seneca o a quelli di devotio compiuti in quel tempo per propiziarsi attraverso gli dèi una vittoria militare.

Due suicidi rituali dell’era contemporanea. Mishima e Venner

Due sono i suicidi rituali che vengono così in mente: quello dello scrittore Yukio Mishima che col rito del seppuku si tolse la vita in diretta televisiva per protestare contro la perdita di spiritualità, tradizione e identità del suo Giappone sempre più occidentalizzato e americanizzato; l’altro, più recente, dell’intellettuale e scrittore scrittore francese Dominique Venner, che si uccise per rivolta contro il proprio tempo decadente, sparandosi un colpo di pistola nella cattedrale di i Notre-Dame. Ultimi richiami, questi, di un’epoca antica che testimoniano le due visioni filosofiche della classicità, attraverso due personaggi sfuggiti all’era contemporanea.

Il suicidio pensato dai classici era senza dubbio una forma di libertà dalla vita, a significare che noi valiamo più del suo scorrere materiale; dunque, che lo spirito è più importante della materia.

Igor Colombo