Salario minimo, se ne parli, ma in termini concreti

Salario minimo, se ne parli, ma in termini concretiSalario minimo, se ne parli, ma in termini concreti – Già, come al solito, infatti, la boutade propagandistica e strumentale della Sinistra, se da una parte rischia di trasformarsi in un’autorete, dall’altra vede gli “attaccanti” del Centrodestra nell’assurda situazione del giocatore che impedisce il goal, respingendo la palla proprio dalla linea di rete. Attualmente, i rapporti tra datori di lavoro e dipendenti sono regolati, a scendere, dall’articolo 36 della Costituzione, dalle norme del Codice civile, in gran parte nel Libro V di quel testo base, e infine dai Contratti collettivi nazionali di lavoro.

In Cassazione decisioni agghiaccianti

Questi ultimi, sono quelli prodotti dal confronto tra le parti sociali e sottoscritti dai sindacati e dalle organizzazioni imprenditoriali al termine delle varie trattative. Ora accade che, come in tutti gli altri ambito, chiamata a dirimere una vertenza specifica, la magistratura del lavoro, a livello di Cassazione – seppur, per fortuna, non ancora a sezioni unite – abbia rivoluzionato tutta la materia con decisioni, da un punto di vista sociale ed economico, a dir poco agghiaccianti.

In particolare, con quella, in base alla quale un lavoratore, pur essendo stato regolarmente assunto e retribuito con quanto stabilito da un Ccnl, può comunque chiedere – anche dopo la risoluzione del contratto stesso -, l’applicazione di quanto previsto da un altro contratto, se le condizioni sono maggiormente favorevoli. Infatti, essendoci più organizzazioni sindacali a rappresentare i lavoratori di uno stesso settore, in caso di contenzioso, di fatto il giudice del lavoro si arroga il diritto di stabilire quale possa essere, tra i diversi accordi, quello controfirmato dai sindacati a maggior rappresentatività. Col prevedibile risultato – come stabiliscono già alcune sentenze – che questa qualifica sia riservata alla “Triplice”, alla Cgil-Cisl e Uil, anche in settori dove, in realtà, la forza lavoro sindacalizzata è organizzata in larga parte sotto altre sigle.

Ovviamente, il parametro evocato dal magistrato del lavoro è quello costituzionale – la equa retribuzione proporzionata alla qualità e alla quantità del lavoro svolto, secondo quanto detta la Carta fondamentale -, ma interpretato alla luce di una considerazione del tutto soggettiva, mancando un fondamentale dato di riferimento, e, cioè, che solo il livello retributivo sottoscritto da alcune specifiche sigle sindacali soddisfi realmente quel requisito.

E quale potrebbe mai essere quel “dato fondamentale”?

Appunto, la fissazione per legge di un “salario minimo” – un po’ come avviene per il così detto “tasso di usura”, tanto per intendersi -, che consenta alle parti, da quel livello in su, di poter stringere accordi chiari e trasparenti e che tornino ad avere, come avevano prima di certe sentenze, forza normativa.

Se il Centrodestra fosse maggiormente attento alla realtà che si manifesta fuori dal Parlamento e dai talk-show, si sarebbe accorto di questa anomalia, nel ragionamento promosso da Elly Schleyn e Giuseppe Conte, andando spedito a fissare almeno per macro categorie – lavoro tecnico, operaio, intellettuale, educativo, sanitario, ecc. – i livelli minimi da cui far partire le contrattazioni, restituendo a tutte le sigle sindacali quella rappresentanza che ora vantano in virtù della fiducia che riscuotono tra i lavoratori e tagliando le unghie a chi – vantando ormai solo una lunga storia e un esercito di pensionati tra i propri iscritti – sostiene di avere ancora un peso tra le masse produttrici che non possiede più d decenni.

E restituendo, in questo modo, anche alle forze dell’impresa quella certezza nel Diritto che è l’unico dato fondamentale mancante in Italia per far tornare a decollare l’asfittica economia del Paese.

Non solo. Una presenza oggettiva, neutrale, preventiva e arbitrale dello Stato nella contrattazione collettiva – col ruolo di stabilire il perimetro minimo all’interno della quale questa si può svolgere tra le parti, ma solo in senso eventualmente migliorativo -, costituirebbe anche un argine al dilagare della jungla retributiva che caratterizza specialmente i lavori così detti “atipici” e i rapporti tra le potenti multinazionali e i rispettivi dipendenti.

Nel vuoto e nel silenzio della legge, saranno altri poteri – la magistratura, la Cgil-Cisl-Uil e chissà chi altri – a dettare legge, più che nell’interesse dei lavoratori, ai danni dell’impresa e della forza economica complessiva dell’Italia.

Massimiliano Mazzanti

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