Schlein: lusso e rosso

Schlein: lusso e rossoSchlein: lusso e rosso – Nemmeno la pazienza di farla struccare, nemmeno il tempo di attendere l’ultima foto, che già eravamo tutti lì a ridere a crepapelle.

Non è colpa nostra, ma l’armocromista potevamo sopportarla se associata a Sua Biondezza Ferragni, a Sua Argentinità Belen o a Sua Labbrosità Parietti, al limite anche a Fedez, principe consorte, ché magari una consulente d’immagine normodotata, avrebbe potuto consigliare di smetterla di vestirsi un giorno da clown e l’altro da scemo.

L’autogol di Vogue

Quando invece, quattro albe orsono, scopriamo che a pagare l’armicromista e a posare per Vogue è la Schlein, cominciano a volare pernacchie dal web come guano dai nidi.

Non perché i leader non si debbano occupare dell’abito, anzi in vita e in morte, a nord e a sud lo hanno sempre e giustamente fatto.

Il fascismo infilò la divisa a grandi e piccini e, all’avanguardia come spesso fu, impose scandalosissimi pantaloncini corti alle ginnaste per poi fondare, nel 1935, l’Ente Nazionale della Moda.

Figlia della sinistra liberal

Quel che però, con la Schlein brucia, stride e puzza è il contatto di due mondi, di due entità, lusso e rosso che, da quando si frequentano, hanno disintegrato la vecchia sinistra e svezzato una sua versione riveduta e corretta.

Questa sinistra, gaia, ballerina e zoccoletta, come certe subrettine di terza categoria – non ha retto a lungo la ribalta ed ha già annoiato la platea mentre persino il palcoscenico dà segni di cedimento.

Se ne odono già, malinconici come grilli a fine estate, gli scricchiolii: le pubblicità gay friendly non funzionano, ai genitori le favole queer non piacciono e destano più scalpore i pubblici Rosari polacchi che i gay pride americani.

Cosa fare, cosa non fare “è chiaro che vanno riallacciati i rapporti col mondo operaio … tutti d’accordo compagni? Siiii! Avanti compagni!” e poi telefonano alla Schlein! Scelta nel mazzo, famiglia ricchissima ed altolocatissima.

In vita sua Ellie non ha mai incrociato un metalmeccanico, nemmeno uno della Ferrari; non è mai entrata in una fabbrica, nemmeno in una della Bugatti.

Il PD ostaggio dei radical chic

Ellie, già emiliana, già svizzera, già statunitense, sbarca a Roma e non prende lezione da Berlinguer, ricco aristocratico massone che ipnotizzò milioni di lavoratori, ma telefona alla Chicchio per discettare, tra guerre, pandemie e morti improvvise, di giacche e paletot.

Il nuovo che avanza? No. È la giovane che copia, anzi … scopiazza. Ne è passata di sinistra ricca e chic sotto i nostri ponti!

I compagni, ricredutisi sulla perniciosità della proprietà privata, occupano da anni gli attici di un quarto di penisola, le ville dei capipopolo comunisti sono patrimonio della sinistra nostrana come i monumenti italiani lo sono dell’Unesco.

La lunga tradizione snob della sinistra nostrana

Bertinotti indossa da decenni il cashmere con la disinvoltura di un marchese d’altri tempi; D’Alema, dileguatosi con intelligenza, snobba lo yatch e cazza la randa con la nonchalance dei nati ricchi (e non lo è!) mentre stringe affari plurimilionari da rais di provincia; le belle ville dei Cossutta e dei Draghi popolano i boschi umbri più numerose dei lupi in rapido ripopolamento; Renzi il saudita sfoggia il rolex e incassa, mentre gli Emirati gli rispondono prodighi e cinguettanti.

La Schlein non avrebbe dovuto assoldare un’armicromista, ma un conoscitore di Guareschi.

Tanto per iniziare, via coi pubblici roghi di Vogue e di altre riviste buone solo per gli “sporchi capitalisti sfruttatori del sangue del popolo”; immediatamente dopo fitta ricerca di “papaveri” convinti, gente dello stile del Brusco, del Bigio, dello Smilzo e del Nero, se ancora da quelle parti ne hanno; per finire, un’unica divisa, uguale per tutti, identica in ogni occasione: il fazzoletto rosso.

Con gente così ci parlerei anch’io, ma la Schlein, scelta dalla “signorina” Klaus Schwab, non lo è mai stata, la sinistra non lo è più e il futuro sarà, fra dieci o fra cent’anni, consapevoli o no i posteri, inconfutabilmente nero.

Irma Trombetta