Travaglio e la legge bavaglio: Dov’è lo scandalo?

Travaglio e la legge bavaglio: Dov’è lo scandalo?Travaglio e la legge bavaglio: Dov’è lo scandalo?

Tanto clamore per la così detta “legge bavaglio”, in base alla quale non sarà più pubblicabile dalla stampa, né per intero né per estratto, il contenuto delle ordinanze cautelari.

È filo caso di dire che, così come due volte al giorno anche l’orologio rotto segna l’ora giusta, qualche volta, anche questo governo ne azzecca una.

Attenzione, non sarà proibito scrivere o informare circa l’arresto di Tizio o di Caio; bensì non si potranno dare informazioni circa le motivazioni che hanno indotto i “gip”, su richiesta dei pubblici ministeri, ad assumere un sì pesante provvedimento.

E non si potrà più fare non in senso assoluto, ma solo fino a quando il procedimento non sfoci nel rinvio a giudizio.

Dov’è lo scandalo?

Cosa significa? Che gli indizi – giudicati “gravi” dai magistrati, ma che spesso sono tutt’altro che tali – non devono essere dati in pasto all’opinione pubblica fino a quando anche i difensori dell’imputato non abbiano la concreta possibilità di fornire la loro versione alternativa dei fatti, dando all’informazione un panorama più completo e preciso delle posizioni da cui muove il procedimento penale o civile e in un rapporto di effettiva parità tra accusa e difesa.

Dov’è lo scandalo? Dov’è l’attentato ai poteri del procuratore o del giudice?

Dove sta scritto – nelle leggi e nei codici – che la stampa e le televisioni debbano giocare un ruolo nel confronto tra accusa e difesa nel processo penale e civile?

Per altro, la stampa – cartacea o virtuale – non è impedita a svolgere autonome indagini sulle inchieste aperte; solo che non potrà più farlo, mascherandosi dietro le decisioni temporanee dei procuratori.

In altre parole, non potrà più dare notizia – come se fossero già “verità acclarate”, poiché vergate sulla carta intestata della Procura – delle ipotesi accusatorie, assumendosi così, la stampa, la responsabilità di ciò che scrive.

Era necessario un tale provvedimento?

Sì e non solo, come si scrive, per il malcostume di certi procuratori di celare l’eventuale sostanziale debolezza del loro lavoro col clamore suscitato intorno agli indizi di cui dispongono o, addirittura, permettendo la pubblicazione di materiale investigativo che nulla ha a che vedere col reato contestato, ma contribuisce magari bene alla “mostrificazione” dell’indagato; è necessario anche a causa del malcostume di certa stampa che – dopo aver dato per scontate (non per settimane, ma a volte per mesi e per anni) le ipotesi accusatorie, magari con pagine e pagine sui quotidiani o con “minutaggi” infiniti nelle reti televisive – poi, si limita a poche righe o a qualche battuta o poco più, quando deve comunicare all’opinione pubblica l’eventuale crollo del teorema inquisitorio.

Il risultato di questa pratica è noto: persone distrutte o fortemente compromesse nella reputazione e nell’onorabilità, anche se risultate innocenti al processo.

Anzi, spesso è accaduto che il clamore dell’indagine sia stato tale da impedire ai lettori o ai telespettatori di accorgersi addirittura dell’eventuale assoluzione, lasciando nell’opinione pubblica l’idea della colpevolezza dell’indagato.

Opinione pubblica condizionata

O anche, in altri numerosi casi, la rappresentazione delle ragioni dell’accusa, nelle fasi iniziali del procedimento, è stata tale da rendere quasi impossibile, per l’opinione pubblica, comprendere come l’eventuale assoluzione sia stata il frutto di una miglior e più giusta lettura dei fatti contestati, lasciando intendere, quindi, che l’imputato sostanzialmente l’abbia prosaicamente solo “fatta franca”.

Non solo. L’attuale sistema tradisce un altro elemento di disparità tra le due parti del processo. Una buona difesa, capace di dimostrare nel processo l’innocenza dell’imputato, spesso non ha anche la capacità o la possibilità che ha un magistrato di “fare notizia” con le ragioni del suo cliente, il quale, appunto, può essere mandato assolto in tribunale, ma essere costretto a scontare una sorta di “condanna” nella pubblica opinione.

Un pessimo procuratore, il quale rovina la vita a un soggetto, magari giocando di sponda con la stampa interessata al caso delle cui indagini è responsabile, se viene smentito dai suoi colleghi “giudicanti”, nella quasi totalità dei casi non subisce alcuna conseguenza, né sul piano professionale né nella sua reputazione pubblica.

Dunque, Travaglio ha ben poco da strillare sulla “legge bavaglio”, poiché corre il rischio – come si dice a Bologna – di risultare solo un “bagaglio”.

Massimiliano Mazzanti