Tutti i processi di Trump

Tutti i processi di Trump

 

Tutti i processi di Trump – Fatto inedito delle prossime elezioni presidenziali americane è sicuramente che uno dei due candidati sia attualmente braccato da numerose inchieste giudiziarie.

Va rimarcato come il pubblico americano, generalmente decisamente puritano, a questa tornata, non sembri in alcun modo impressionato dalle vicende legali di Trump, di cui si percepisce chiaramente il risvolto politico e l’intento di azzoppare il candidato presidente dato per favorito nei sondaggi al momento attuale.

In ogni caso, c’è da riconoscere che l’offensiva giudiziaria si è scatenata, in particolare da quando è divenuto certo che Trump si sarebbe ricandidato per il 2024, su diversi fronti: in totale con 4 procedeimenti di natura penale e 1 di natura civile.

  1. Stormy Daniels

Passandoli in rassegna si può partire dal caso “Stormy Daniels” che ha avuto il 15 aprile il suo primo dibattimento presso la corte penale di Manhattan.

Essenzialmente la vicenda riguarda un pagamento di 130.000 dollari effettuato da Micheal Cohen, ex legale di Trump e ora testimone d’accusa, alla Daniels, professione pornostar, per comprarne il silenzio, nel corso della campagna elettorale del 2016, in riferimento a dei rapporti che quest’ultima avrebbe avuto in passato con The Donald.

Il denaro sarebbe stato poi restituito a Cohen da Trump successivamente, usando fondi della campagna elettorale.

Che per l’ordinamento americano, dei privati possano sottoscrivere accordi di riservatezza contro pagamenti in denaro, non è nulla di illecito né di particolarmente inusuale.

Quello che viene contestato dai procuratori di Manhattan (distretto iperdemocratico) è che i pagamenti siano stati effettuati con risorse della campagna elettorale, i quali avrebbero rappresentato una sorta di distrazione di fondi da quest’ultima.

Considerando che Trump contribuì nel 2016 alle casse della propria campagna per decine di milioni di dollari, supporre che il pagamento di 130.000 dollari (che, per quanto impiegati per un caso “singolare”, sarebbero stati impiegati comunque nell’interesse del candidato) possa costituire effettivamente una distrazione illecita di fondi, è qualcosa di chiaramente pretestuoso e infatti così viene denunciato tutto il caso da parte di Trump.

  1. I documenti trafugati

Il secondo caso riguarda la distrazione di documenti riservati da parte di Trump all’abbandono della Casa Bianca, documenti i quali sarebbero poi stati trasferiti nella residenza privata dell’ex presidente a Mar-O-Lago in Florida (poi oggetto di perquisizione da parte dell’FBI). Trump avrebbe poi mostrato, come si può ritenere in base ad una intercettazione audio in cui Trump si lamentava di esser stato attorniato da guerrafondai sempre pronti a spingerlo verso nuovi conflitti, alcuni di questi documenti, relativi ad un piano di attacco all’Iran sviluppato dall’ex generale capo di stato maggiore Mark Milley, a dei visitatori privati.

In questo caso i legali di Trump arguiscono che il presidente ha il potere di declassificare documenti e che i documenti in questione, venendo trasferiti a Mar-O-Lago ben prima del gennaio 2021 ovvero prima del termine della scadenza dell’amministrazione Trump, sarebbe implicitamente designabili per la declassificazione e per la riduzione a “personal records”.

Detto questo, da parte repubblicana, si ha anche facile gioco, su questo caso, a denunciare il doppiopesismo dei democratici, dal momento che Biden è implicato in un caso quasi assolutamente analogo, relativo a documenti della Casa Bianca che Biden avrebbe trattenuto in maniera illegittima, al termine della propria vicepresidenza con Obama.

Si passa poi a due casi relativi al turbolento seguito delle elezioni del 2020.

  1. Le elezioni 2020 in Georgia

Il primo riguarda il presunto tentativo di interferenza elettorale nello stato della Georgia.

La Georgia, stato tradizionalmente repubblicano, è stato vinto a sorpresa da Biden nel 2020 con meno di 12.000 voti di margine ed è stato uno degli stati in cui le contestazioni di Trump sull’esito del voto e connesse denunce di frode elettorale sono state più forti (in particolare con quanto accaduto a Fulton County, ad Atlanta, dove nella notte dello spoglio si annunciò l’interruzione delle operazioni di conteggio per un allagamento dovuto a un disfunzionamento dell’impianto idraulico, salvo poi scoprire, con tanto di prove video, che nella notte le operazioni di conteggio erano proseguite senza interruzioni, senza sorveglianza alcuna).

Anche qui c’è un’intercettazione, questa volta telefonica, di una conversazione di Trump, al tempo ancora presidente in carica, il quale parlando con Brad Raffensperger, repubblicano segretario di stato della Georgia, chiedeva di “trovare” 12.000 voti necessari per la vittoria e l’assegnazione dello stato.

Il caso è essenzialmente presentato come episodio di concussione, in cui il presidente in carica, facendosi forte della propria posizione, avrebbe esercitato una pressione indebita su di un funzionario locale.

Va osservato, tuttavia, il contesto e il senso generale della conversazione, dalla quale l’accusa estrapola solo alcune parole. Trump essenzialmente si lamentava di come fossero state condotte le operazioni di voto, del fatto che erano presenti voti illegali e che questa grave anomalia, di fatto una frode, andasse sostanzialmente sanata.

Il presupposto della richiesta di Trump a Raffensperger, richiesta che in ogni caso, concretamente, non ha mai avuto alcun seguito di nessun tipo, era, chiaramente, che vi fosse in atto una mega frode elettorale, verso la quale le autorità della Georgia erano state fino a quel momento meramente passive (se non complici).

  1. L’assalto al Congresso

L’ultimo caso è invece quello relativo ai fatti del 6 gennaio del 2021 e il celeberrimo assalto al Congresso da parte della folla di manifestanti pro-Trump.

Trump è accusato di cospirazione e di incitamento alla sedizione per sovvertire il risultato elettorale, la quale si sarebbe svolta diffondendo false informazioni circa l’esisto del voto, esercitando pressioni sul vicepresidente Mike Pence che, in qualità anche di Presidente del Senato, avrebbe potuto (e secondo Trump dovuto) rigettare la presentazione delle liste di grandi elettori arrivate dagli stati oggetto di contestazione al Congresso, rimettendo ai congressi statali degli stati chiamati in causa di deliberare sui rispettivi casi, suscitando, infine, la reazione scomposta e violenta della folla.

Il caso di cospirazione è per certi versi paradossale, dal momento che Trump ha denunciato (e continua a denunciare) il voto del 2020 come fraudolento ad alta voce e in tutte le salse; la difesa di Trump potrebbe sempre arguire che tali dichiarazioni debbano essere comunque tutelate dal Primo Emendamento e che, dal momento che Trump non ha mai formulato direttamente un invito ad operare in modo violento, non può sussistere alcun reato.

Dei quattro casi penali aperti, quello relativo ai fatti del 6 gennaio è probabilmente quello potenzialmente foriero delle ripercussioni più ampie. Essenzialmente, si sta cercando di ricostruire in un’aula di giustizia quella che a buon diritto si può considerare una pagina di storia americana, rendendo così il confine tra giustizia procedurale e battaglia politica più labile che mai.

  1. Le agevolazioni finanziarie

Infine, c’è la causa civile, intentata dalla procura di New York, sempre con il supporto dell’ex avvocato infedele Cohen, contro la Trump Organization, con l’accusa di aver nel passato inflazionato e sopravvalutato alcuni beni immobiliari al fine di ottenere agevolazioni su finanziamenti bancari (concessi in particolare dalla branch americana di Deutsche Bank). In caso di condanna definitiva Trump sarebbe obbligato a pagare oltre 450 milioni di dollari, dei quali 175 milioni gli sono stati richiesti come cauzione sull’eventuale passività futura conseguente da una possibile condanna definitiva.

Anche questo procedimento, considerato il tempo trascorso dai fatti, la tempistica preelettorale con la quale è stato aperto, il fatto che nessuno dei finanziamenti oggetto di contestazione sia mai andato in default, è facilmente apprezzabile presso il pubblico per la sua intrinseca pretestuosità.

Giustizia all’italiana

In generale, da parte di Trump, la speranza piuttosto manifesta è quella di arrivare a novembre senza avere una sentenza definitiva su nessun procedimento, in modo poi da poter esser schermato dall’immunità presidenziale, la quale potrebbe essere superata da una procedura di impeachment, che però per passare al Senato avrebbe bisogno di un voto di maggioranza di due terzi, praticamente impossibile da raggiungere per i democratici.

In ogni caso, si nota una sorta di “italianizzazione” dello scenario politico e giudiziario americano, se si pensa ad esempio all’offensiva della magistratura italiana nei confronti di Silvio Berlusconi che per anni e anni ha caratterizzato il nostro dibattito politico.

Dall’esperienza italiana si potrebbe trarre che il tentativo, più o meno fondato, di eliminare per via giudiziaria un avversario politico rischia di essere non solo inutile e fallimentare ma addirittura controproducente, laddove l’elettorato percepisca che a danno del candidato-imputato si stia svolgendo una vera e propria azione di persecuzione giudiziaria politicamente fondata.

Ovviamente serve che sussista una forte disillusione e un forte senso di sfiducia verso le istituzioni affinchè un tale sentimento possa affermarsi.

Indubitabilmente Trump è stato ed è ancora espressione di tale sentimento, la forza del quale, probabilmente, determinerà anche questa volta l’esito della contesa.

Filippo Deidda

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