Anarchismo, vittimismo e terrorismo

Anarchismo, vittimismo e terrorismo. Anarchismo, vittimismo e terrorismo

Se una qualche utilità il recente, e non ancora sopito, interesse mediatico per le sorti di Alfredo Cospito e del 41 bis ha portato, è stato quello di rimettere sotto la lente le azioni e la natura dell’anarchismo.

Lello Valitutti, vecchio militante di quel movimento, ospite nel salotto di Giletti, seppur con toni un po’ più sfumati rispetto ad una precedente intervista, intinti in un umanitarismo buono per gli allocchi, ha ribadito i suoi lugubri messaggi contro i – futuri ed eventuali – assassini di Cospito e ha manifestato la sua approvazione per la gambizzazione del dirigente dell’Ansaldo, Roberto Adinolfi;  finendo così per passare come un povero matto in preda a deliri ideologici, con un’immagine un po’ caricaturale che ha smorzato il livello di gravità delle parole che lui andava pronunciando.

A ridimensionare il tutto ci hanno pensato anche le figlie di Giuseppe Pinelli, precipitato da una finestra della Questura di Milano la notte del 15 dicembre 1969, cui l’intervistatrice si rivolgeva citando una frase attribuita al padre “L’anarchismo non è violenza”. Quasi che Cospito e i suoi emuli, oggi, rappresentassero una sorta di scheggia impazzita di un nobile ideale.

Anarcopiagnucoloni

Eppure, l’anarchismo è sempre stato esattamente quella roba vomitata dal Valitutti.

Limitandoci ai tempi recenti, lo ribadisce, ex cathedra, proprio l’attuale capo indiscusso, Alfredo Cospito il quale, in un documento del 2015, pubblicato nella rivista Croce Nera Anarchica, intitolato “Alle origini del vittimismo”, ha messo bene in chiaro alcuni semplici concetti.

Primo fra tutti, il rifiuto del ricorso al vittimismo di cui diede prova l’intero movimento anarchico dopo la morte di Pinelli e l’incriminazione di Valpreda per la strage di Piazza Fontana.

“Lo scopo di questo scritto – scrive il nostro – è quello di andare alle origini di quel vittimismo che ha ammorbato e continua ad ammorbare il movimento anarchico italiano da più di quaranta anni, dalla strage di piazza Fontana in poi”.

“Pinelli era un anarchico violento”.

La tragica fine del ferroviere anarchico scatenò un’ondata di vittimismo che ben presto assorbì anche la gravissima posizione processuale del Valpreda.

Lasciamo però parlare Cospito, il quale esprime “la convinzione che Giuseppe Pinelli non fosse un pacifista, un non violento, martire della sinistra, santino della democrazia, ma un anarchico rivoluzionario che poco prima di essere ucciso da Calabresi e soci aveva collaborato attivamente e concretamente con un’organizzazione anarchica che praticava la lotta armata con bombe e sequestri di persona in mezza Europa, il Gruppo internazionale anarchico Primo maggio, diretta emanazione delle FIJL e che di conseguenza, come ogni anarchico coerente con quello che faceva, credeva nella violenza rivoluzionaria”.

Secondo un rapporto della Polizia del 13 gennaio 1970, Pinelli avrebbe ricevuto alcuni mesi prima, dall’estero, del materiale esplosivo poi destinato in Grecia. E, il questore di Milano, dopo la morte di Pinelli, in una conferenza stampa sulle modalità della morte dell’anarchico, affermò che egli era fortemente indiziato della strage e che il suo alibi sul pomeriggio del 12 dicembre era caduto. Le BR, nella loro inchiesta privata sulle responsabilità dell’eccidio, erano giunte alla conclusione che la bomba era stata collocata da Valpreda con la collaborazione degli anarchici del circolo Ponte della Ghisolfa, di cui Pinelli era appunto l’animatore.

Dinamite

Scrive Cospito: “Non si possono comprendere a pieno i fatti tragici di Milano e il conseguente panico e scompiglio tra le fila anarchiche senza fare un breve accenno alla lenta ma graduale evoluzione che coinvolse una parte del movimento negli anni che vanno dal 1962 al 1969. In tutta Italia in quegli anni gli anarchici d’azione attraversarono un momento di grande vitalità, direi quasi di rinascita. Diversi nuclei e gruppi di affinità molto mobili, di giovani e meno giovani, crebbero nella potenza delle loro azioni, da attentati di bassa intensità col nitrato fino a più potenti attentati con la dinamite”.

La strage alla Questura

Il trend informativo che vedeva gli anarchici come vittime di complotti, provocazioni e infiltrazioni proseguì anche dopo la strage di via Fatebenefratelli, avvenuta in occasione della cerimonia di scopertura del busto del commissario Calabresi, che causò quattro morti e una cinquantina di feriti.

Gianfranco Bertoli, che rivendicò la sua appartenenza anarchica e la matrice ideologica del gesto fino alla fine dei suoi giorni, fu trasformato, con la compiacenza di tutta la sinistra e di gran parte dell’anarchismo – e la mala fede di certa magistratura – in uno strumento dei fascisti.

E Cospito non manca di esprimere “…la convinzione che Gianfranco Bertoli fosse un anarchico individualista -non un fascista, una marionetta o un utile idiota in mano ai servizi “deviati” come molti anarchici senza vergogna ancora oggi sostengono- e che la sua azione rientri perfettamente nella tradizione della propaganda del fatto, del terrorismo individualista anarchico”.

I buoni sono loro

Ostaggi della supremazia informativa – e delle falsità – della sinistra, neppure gli uomini di una destra qualificabile come “nazionale” osano più opporsi alla narrazione imposta dalla propaganda.

Quando Valitutti, nel suo sproloquio arrivava ad affermare che l’anarchismo colpiva i simboli del potere ma non la povera gente e che erano stati i fascisti a mettere le bombe a Piazza Fontana, a Brescia, sui treni, a Bologna, qualcuno lì presente – che c’era e rappresentava un certo “mondo” – avrebbe dovuto interromperlo e  (a parte ogni altra considerazione sul resto) scaraventargli sul muso “Piazza Fontana è roba vostra!”.

Ma non è successo e, così, il messaggio, pur mescolato ai deliri apologetici del Valitutti, ossia che i meno cattivi sono loro, perché se sparano e ammazzano lo fanno per un ideale, ha finito per passare.