Angola: morte senza paga

Angola: morte senza paga – Le ex colonie portoghesi in Africa hanno dovuto attraversare un lungo periodo di violenza ed instabilità prima di arrivare ad un’indipendenza che, come in tutto il processo di decolonizzazione del Continente nero, si dimostrerà essere il frutto avvelenato di scelte affrettate da parte di un governo europeo, succube della pressione dei partiti di sinistra e di quella diplomatica americana, da sempre intenta a sostituirsi ai governi bianchi nello sfruttamento delle materie prime dei paesi africani, favorendo la destabilizzazione interessata di quest’ultimi.

L’MPLA

La guerra fece la sua prima comparsa in Angola nel 1961; il 4 febbraio un centinaio di aderenti del Movimento Popular de Libertaçao de Angola (MPLA), armato di bastoni e lunghi coltelli, assaltò la prigione di Sào Paulo, nella capitale Luanda, nel tentativo di liberare alcuni dirigenti politici, catturati dal Pide, la polizia segreta portoghese.

L’attacco venne respinto con pesanti perdite fra i ribelli e sette morti fra i poliziotti. Il giorno dopo, alcuni colpi sparati sul corteo funebre degli agenti uccisi, provocheranno la rappresaglia feroce dei coloni bianchi: nel corso di due settimane di scontri le vittime saranno più di tre mila. Per l’MPLA si trattò di una disfatta sul piano tattico ma di una vittoria su quello politico poiché l’eco del bagno di sangue rimbalzò sulle pagine di tutti i giornali del mondo, finendo sui tavoli delle Nazioni Unite che, da quel momento, pose il problema delle province di oltremare lusitane sulla sua agenda di lavoro.

La mano lunga di Mosca e quella di Washington

L’Unione Sovietica fu abile a porsi come immediato paladino dei rivoltosi, gettando un’ipoteca ideologica sul futuro sviluppo degli eventi. Una mozione di sfiducia verso il Portogallo, già membro della NATO, venne però rigettata dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, nonostante il sostegno datole dal Governo USA, a presidenza John Kennedy, in sospetto allineamento con quello di Mosca.

Un’ alleanza d’intenti, apparentemente innaturale fra le due super potenze che segnerà il continuo di una strategia, disegnata a Washington e perfezionata dalle crisi in corso in Algeria e nel Congo ex belga, per estromettere la presenza degli europei dall’Africa e sostituirla con quella di elementi nativi favorevoli alla penetrazione commerciale del capitale nord americano.

Nonostante il supporto dei paesi dell’Est e di Cuba, l’egemonia del MPLA veniva però contestata da altri due movimenti di liberazione; il Frente Nacional de Libertaçào (FNLA) di Holden Roberto, operante da basi territoriali situate in prossimità dell’appena nata Repubblica Democratica del Congo e dalla Uniào Nacional para a Indepèndencia Total de Angola (UNITA) di Jonas Savimbi, situata nella parte meridionale del paese; in un perfetto trittico di violenta litigiosità politica e tribale.

La caccia al bianco

Nel marzo dello stesso anno, nel timore di essere scavalcato in popolarità dall’azione appena condotta dal Mpla ed in coincidenza con la riunione del Consiglio di Sicurezza al Palazzo di Vetro, Holden Roberto scatenò i suoi uomini, in parte disertori di colore dell’esercito coloniale di Lisbona, contro le famiglie dei bianchi residenti in alcuni centri agricoli nell’Angola settentrionale. La sorpresa sarà totale, consentendo alla rivolta di allargarsi a macchia d’olio; nel giro di alcune settimane verranno massacrati, senza pietà, oltre 500 europei e 6.000 lavoranti di colore, rimasti fedeli sul posto di lavoro.

La risposta portoghese

La risposta di Salazar, capo del governo di Lisbona, fu di militarizzare il territorio con l’invio di altri 70.000 soldati; il rafforzamento del supporto aereo e l’inizio di una vasta campagna di reclutamento fra la popolazione africana; saranno necessari, comunque, molti mesi e l’applicazione di norme legislative draconiane verso i ribelli, per riprendere il controllo militare ed amministrativo del territorio.

Nel tentativo di attrarre il supporto internazionale, furono inoltre aperte le frontiere a possibili investimenti stranieri per lo sfruttamento delle ingenti risorse minerarie presenti e varate una serie di riforme volte al miglioramento delle condizioni educative e sociali dei nativi.

Il protrarsi della guerra in corso, onerosa in termini di vite umane perse e di risorse economiche impiegate, comincerà però a creare una crescente insoddisfazione fra i portoghesi metropolitani che, opportunamente sfruttata dai militari di sinistra aderenti al Movimento de Forcas Armadas, porterà al colpo di stato del 25 aprile 1974 ed al successivo abbandono di tutti i territori d’oltremare, dopo 500 anni di dominio; Mozambico e Guinea Bissau inclusi.

Avvisaglie di guerra civile

Un atto di totale irresponsabilità storica e politica che, nel giro di soli 19 mesi, consegnerà, a popoli impreparati e litigiosi, l’amministrazione di paesi enormi e complessi, aprendo la strada a due, prevedibili, sanguinose guerre civili; quella decennale in Mozambico fra il partito di governo del FRELIMO (Frente de Libertaçào de Moçambique) ed i ribelli del RENAMO (Resistènçia National Moçambicana) e quella ventennale, in Angola, fra il MPLA e l’UNITA appoggiata, fino al 1988, dal Sud Africa. Centinaia di migliaia di morti rimangono indelebili sulla coscienza di un Portogallo vile ed arrendevole, reso tale da un’irresponsabilità dogmatica, camuffata da progressista.

Sono scappati da un dovere storico per poi divenire un popolo di camerieri nei locali di Londra. Il giusto destino di una nazione che scelse di essere vigliacca.

Al momento del collasso politico del Portogallo, le tre organizzazioni della guerriglia, colte di sorpresa dagli eventi imprevisti, si affrettarono ad uscire dall’anonimato ed a cercare di consolidare le proprie posizioni prima di accettare, nell’ottobre del 1974, il cessate il fuoco proposto da Lisbona.

L’addio portoghese

Quando l’ultimo soldato lusitano lascerò la baia di Luanda, nel novembre 1975, l’Angola non sarò una nazione in festa ma un Paese dilaniato dalla lotta fratricida; un bagno di sangue che si trascinerà fino agli anni 2000, lasciandosi oltre 500.000 caduti alle spalle.

Holden Roberto, forte dell’aiuto di Mobutu, dittatore del Congo e suo cugino, nonché della CIA, concentrò tutte le sue forze nel nord della capitale, rafforzandole con alcune centinaia di mercenari europei, di dubbia qualità combattiva, raccolti in fretta a Londra da tale John Banks, un ex parà improvvisatosi Security Advisor. Jonas Savimbi, leader UNITA di notevole capacità carismatica, abbandonando ogni residua retorica maoista, dispose i propri uomini nella parte meridionale, popolata dalla tribù di maggiore consistenza etica: gli Ovimbundu, alla quale apparteneva: lanciando segnali rassicuranti agli europei ancora rimasti.

La parabola di Agostino Neto

Per quanto riguarda l’MPLA, risolte le molteplici controversie interne, grazie alla mediazione dei presidenti della Tanzania e dello Zambia scelse Agostino Neto, intellettuale marxista, come proprio capo, intuendo un probabile trattamento privilegiato da parte di una giunta militare di Lisbona, vicina ideologicamente che aveva scelto Rosa Coutinho, “l’ammiraglio rosso”, quale Alto Commissario per l’Angola per il periodo di transizione all’indipendenza che avrebbe dovuto concludersi l’11 novembre 1975 con la proclamazione ufficiale della raggiunta indipendenza, da parte di un governo regolarmente eletto da elezioni generali da tenersi entro il 31 ottobre precedente.

La realtà sarà un’altra cosa come spesso succede in Africa. La vittoria conseguita dall’MPLA avvenne sì ma a fronte di un atto di forza e non di un voto regolare mai celebrato. Fu una vittoria il cui merito esclusivo va associato agli ingenti aiuti militari, in termine di uomini ed armi, ricevuti da Cuba e dalla Unione Sovietica, a partire dal maggio 1975, ben in anticipo su quel 31 ottobre che avrebbe dovuto portare gli angolani nei seggi elettorali.

Il Sudafrica si mobilita

Questa preoccupante interferenza militare esterna portò il governo sudafricano, i cui territori nazionali dell’allora South West Africa (oggi Namibia) confinavano con l’Angola, ad autorizzare un’operazione militare preventiva per contenere la minaccia di una probabile invasione verso sud a supporto dello SWAPO (South West Africa People’s Organization) il locale movimento nazionalista della guerriglia, ovviamente a connotati comunisti.

Venne così attivata l’Operazione difensiva Savannaha, nell’ottobre 1975: una contingente motorizzato, forte di circa mille uomini, per la maggior parte di colore, con il supporto di pochi pezzi di artiglieria, Land Rovers armate ed una decina di blindati Eland 90, attraversò il confine angolano per muovere verso nord in supporto all’Unita ed al FNLA.

La mossa militare, tanto brillante quanto spregiudicata, avrebbe potuto chiudere la partita con successo in poche settimane, essendo arrivata in vista di Luanda ma dovette essere abortita per ragioni politiche legate al ruolo ambiguo giocato dall’Amministrazione USA che pure ne aveva sollecitato l’invio, tramite l’onnipresente Segretario di Stato Kissinger.

Kissinger, sempre lui

Segretario che però aveva in testa fini ben diversi da quello di evitare che l’Angola finisse nella sfera d’influenza sovietica ma piuttosto di mettere il Sud Africa nell’angolo della riprovazione internazionale per indebolirne la forza contrattuale presso l’ONU.

Da perfetto lettore del Machiavelli, sotto disposizione delle organizzazioni mondialiste di cui faceva parte, leggi Council on Foreign Relations e Trilater Commision, entrambe finanziate dalla famiglia Rockfeller, era stato proprio lui uno degli artefici del colpo di stato del 25 aprile a Lisbona, ben intuendone le conseguenze destabilizzanti, per l’Africa Australe tutta, con Rhodesia e Sud Africa quali vittime prescelte.

Ora il suo “gioco sporco” doveva concretizzarsi nell’autorizzare Pretoria a fare quello che alla CIA non era riuscito con ingenti risorse economiche a disposizione, per poi negarne la paternità ed accusare i sud africani di aggressione militare nei confronti di un Paese “libero ed indipendente” che però tale non era vista la presenza in loco di 60.000 ascari cubani e migliaia di “consiglieri militari” di oltre cortina ed una sanguinosa guerra fratricida in atto.

Pretoria fiuta la trappola diplomatica ed agisce in tempo, ritirando le proprie forze in South West Africa, lasciando l’Angola in un baratro di sangue che si sarebbe potuto evitare facilmente se solo la colonna Savannaha avesse avuto il via libera definitivo.

La nascita della Repubblica popolare di Angola

Con la sconfitta a Quifandongo (11 novembre) delle truppe di Roberto, il MPLA ed i suoi alleati cubani assumeranno il controllo della parte settentrionale del territorio, imponendo la nascita della “Repubblica Popolare di Angola” ed iniziando a spostare la loro attenzione verso sud, dove Savimbi, pur godendo di un vasto supporto popolare, non era in grado di affrontarli apertamente; armi leggere contro carri russi T-54 ed aeri Mig-19 non potevano reggere l’offensiva.

Diventerà allora inevitabile il ricorso a quella strategia di guerriglia, fatta d’imboscate a convogli militari ed attacchi ad obiettivi economici che porterà, a fine anni 80, gran parte del territorio meridionale nelle mani dell’UNITA, grazie anche agli aiuti, aperti o sotterranei, dell’esercito sudafricano, con le sue truppe speciali e mezzi meccanici di avanguardia, come i G5, pezzi di artiglieria da 155mm di una precisione unica, con potere devastante fino a 30km.

Oil and blood diamonds

Nella logica fredda USA del tutto si fa per interesse; nel corso di questi anni di guerra dura e spietata, le società americana Gulf Oil ed Exxon continueranno indisturbate nei loro affari, estraendo, per conto del governo marxista di Luanda, il petrolio dai giacimenti di Cabinda ed, ugualmente, farà la potente compagnia mineraria di Johannesburg, la De Beers, relativamente alla commercializzazione dei diamanti estratti localmente; dimostrando, ancora una volta, come il totalitarismo comunista ed i grandi concentramenti finanziari potessero avere interessi convergenti a danno di quelli nazionali che, a parole, avrebbero dovuto proteggere.

Oil and blood diamonds univano due mondi, a chiacchiere contrapposti ma uniti in quella moneta che, a facce alterne, proponeva la stessa realtà di oppressione. i Popoli non esistono ma solo l’interesse ad egemonizzarli. In questo Marxismo e Capitalismo hanno genitori in comune che si chiamino Marx piuttosto che Weber.

Gli anni ‘90

Ad inizio anni 90, con crollo del muro di Berlino, inizia il disimpegno militare dei boeri e dei cubani e lo scenario finale si trasforma in quello di uno scontro fratricida aperto fra Luanda e Savimbi.

Il primo cessate il fuoco, fra le parti, avverrà il 16 maggio 1991 con l’impegno, da parte dell’MPLA di tenere, sotto supervisione ONU, quelle libere elezioni già dovute 16 anni prima.

Elezioni che avverranno nel settembre del 1992; né libere né oneste, come prassi nel continente nero ove, citando Robert Mugabe del neonato Zimbawe (ex Rhodesia): “la democrazia è un lusso che i popoli africani non si possono permettere”, questo dopo aver combattuto la “tirannia dei bianchi” che una Repubblica pur l’avevano, con tanto di opposizione e rappresentanza di colore in Senato…che però non piaceva alle borse di Wall street ed a quelle del London Excange….mentre il compagno Robert..andava bene poiché consentiva alla British Petroluem di continuare a fare affari in Nigeria ed alla multinazionale Lohnro di operare liberamente, con franchigia esente tasse per 5 anni, nello Zimbabwe marxista oltre a poter disporre di una milizia privata a difesa dei propri interessi.

Elezioni truccate

Torniamo alle elezioni del settembre 1992. Elezioni truccate che consegneranno la sospetta vittoria all’MPLA, a cui seguirà un’azione di rivincita sanguinosa contro gli oppositori politici che li forzerà a riprendere le armi. Risultato: una tragedia umana che causerà almeno 100.000 morti e forzerà molti altri a rifugiarsi nei territori vicini, facendo dell’Angola uno stato in frantumi, devastato da distruzioni e sofferenze, ove, gran parte del prodotto interno lordo verrà dissipato in armamenti e spese di reclutamento di una compagnia sud africana di sicurezza, chiamata Executive Outcomes: l’assurdo totale di mercenari sud africani a protezione delle loro strutture minerarie; gli stessi che, qualche anno prima, aveva combattuto mentre indossavano la divisa regolare. Avevamo un acronimo per questo modo surreale di comportarsi: TIS (This Is Africa), come dire: è così, punto.

Tale situazione di emergenza, caduta la protezione di Mosca, porterà il governo di Luanda ad indebitarsi sempre più verso gli istituti di prestito internazionali, a livelli tali da condizionare il futuro del paese per molti anni a venire.

Queste organizzazioni usuraie, che fanno capo al FMI, erano le stesse che avevano finanziato il mercato delle armi non per interesse immediato ma per quello successivo, più remunerativo nel tempo: l’acquisizione pluri decennale del debito pubblico, conseguente al caos che loro stessi avevano generato. È così che si compra l’anima ed il destino delle nazioni; l’Ucraina, nella supponenza arrogante del suo Zelensky, sarà la prossima a pagarne il conto.

La pace ottenuta sarà provvisoria e senza valore concreto, avendo il governo di Luanda dissipato quattro anni di relativa tranquillità, garantiti da un nuovo cessate il fuoco, siglato nel 1994, adoperandosi non ad una riconciliazione nazionale ma ad un nuovo tentativo di repressione di ogni attività politica legata all’UNITA.

Savimbi

Nel 1998, rifiutando la carica di vicepresidente, Savimbi riaccende le ostilità: un Savimbi cresciuto a livello di popolarità internazionale grazie al supporto ricevuto da Regan e dal suo successore George H-W. Bush nonché di parte della Comunità Europea.

Un Savimbi non leader africano qualunque ma conoscitore di ben sette lingue, incluso Francese, Tedesco ed Inglese, oltre ad avere cultura universitaria in Scienze Politiche. Se dovessi fare un paragone penso che quello con Moise Ciombe sarebbe il più azzeccato.

Uniti nella visione di un’Africa ove gli europei avrebbero potuto avere un ruolo determinante.

Con la guerra nuovamente in corso, le forze armate del nuovo presidente angolano Jose Dos Santos, stremate nell’impegno non solo interno ma anche esterno a sostegno del presidente congolese Lauren Cabila, furono costrette a ricorrere alla coscrizione obbligatoria di ragazzi di 16 anni, ovviamente inesperti.

Savimbi invece poteva contare su di un esercito maturo, reso efficace da decenni di lotta ed aumentato nei ranghi dall’afflusso di reparti ribelli Hutu del Rwanda; di gendarmi katanghesi e di soldati fedeli a Pascal Lissouba, presidente estromesso del Congo Brazaville. Un esercito non privo di risorse dal momento che riceve ingenti aiuti militari dall’Occidente oltre ad essere in controllo delle maggiori aree diamantifere del Paese.

Armi in pugno

Per vincere, a Savimbi, serviva solo qualche tempo aggiuntivo e così porre termine a quel regime socialista che aveva fatto precipitare gli angolani in un abisso di sangue e povertà.

Dopo aver subito sette attentati e riportato decine di ferite in combattimento, il 22 febbraio 2002 la Fortuna gli girerà però le spalle e morirà nell’ennesimo conflitto a fuoco con le forze governative, riportando ben 15 ferite.

Morirà armi in pugno da vero Capo. Sei settimane dopo un accordo di pace definitivo verrà siglato fra UNITA ed MPLA: accordo che porterà alle elezioni generali del Settembre 2008, vinte dall’MPLA in maniera sempre molto dubbia. Sullo sfondo, dal 1988 al 1995, il fantasma della presenza dell’ONU che, sotto la sigla UNAVEM I e II, aveva tentato inutilmente una qualche azione pacificatrice dopo aver provato ad imbrigliare Savimbi nell’accettazione delle votazioni manipolate del 1992, affinché non turbasse i sogni di profitto dei grandi complessi multinazionali che avrebbero preferito un Angola docile e socialisticamente ordinata, con un’Unione Sovietica non più garante alle spalle, per poi appropriarsi sia della ricostruzione che dello sfruttamento delle risorse del sottosuolo.

Un paese senza futuro

Nel 2008 il Paese si presentava in una condizione irreversibile di agonia, schiavo della corruzione e dell’incapacità amministrativa, figlia dell’utopia collettivistica e dell’ambizione sfrenata della sua classe politica e militare legatasi al gioco interessato del FMI e dei potentati economici di oltre oceano, i veri padroni di quella tragedia umana che aveva costretto i nativi a vivere nell’elemosina e nello squallore dei campi profughi mentre, forse, i più fortunati giacevano nelle fosse comuni di una morte ricevuta senza paga. Nello stesso anno il reddito pro capite, di un paese pazzescamente ricco, era di meno di 80 $ al mese; dall’altro lato una classe dirigente che si arricchiva a dismisura, dopo aver opportunamente smesso la falce ed il martello.

Arrivano i cinesi

Nel tempo le cose cambieranno grazie alla Cina, la cui banca nazionale ha rilevato parte del debito contratto con gli avvoltoi del FMI ed ha finanziato quota della ricostruzione, alzando il reddito individuale a 100$. Paese ricco di risorse minerarie, l’Angola continua a vivere una grave crisi economica ed a rimanere fra i più arretrati al mondo, registrando, in un fiume di flussi finanziari che non controlla, una drammatica carenza di generi alimentari ed una diffusa condizione di povertà ed analfabetismo.

A chiudere; un enorme cartina geografica rosso sangue, di devastazione e massacri che si sarebbe potuta evitare se solo un Paese Europeo, il Portogallo, avesse sentito il dovere di una responsabilità storica dovuta e non accettare la logica ideologica di un marxismo inspirato dalla Casa Bianca, per proprie

ragioni geopolitiche. Non dimentichiamolo mai: bisognava arrivare al controllo della Rotta del Capo e la guerra in Angola era una pedina fondamentale nel gioco del domino del Nuovo Ordine Mondiale in Africa ove, la morte senza paga, rimaneva solo un trascurabile danno collaterale.

Enrico Maselli