Processo banda della Uno bianca: Nuove indagini sul “terzo livello”

Processo banda della Uno bianca: Nuove indagini sul “terzo livello”

Processo banda della Uno bianca: Nuove indagini sul “terzo livello” – Caro lettore, oggi mi rivolgo a te quasi confidenzialmente, dato che, in parte, io stesso “costituisco la notizia” di cui si parla in prima pagina, sulle edizioni nazionali e locali del “Resto del Carlino”.

Francamente, sorrido amaramente nel leggere che ora la Procura della Repubblica “accelererebbe” nello svolgimento delle nuove indagini sul “terzo livello” della “Banda della Uno bianca”, aperte a seguito dei due esposti che, ormai più di tre anni or sono, depositai in quegli uffici giudiziari. Esposti chiari e ben documentati, in cui, si inquadra perfettamente il depistaggio che, nel 1988, quando neanche si parlava ancora di “Banda della Uno bianca”, fu compiuto per mascherare il ruolo avuto da un carabiniere dell’allora Nucleo operativo di Bologna nella strage di Castel Maggiore, dove furono assassinati due giovani militari della stessa Arma, Umberto Erriu e Cataldo Stasi.

I lettori del 2diPicche, quelli che seguono il nostro lavoro anche su YouTube e che hanno letto anche la versione cartacea del nostro giornale, sanno bene di cosa stiamo parlando.

Quale direzione seguiranno i Magistrati?

Ora, se è vero che finalmente si sta arrivando a quadrare il cerchio di quella parzialmente ancora oscura vicenda, vedremo in quale direzione si saranno mossi gli attuali magistrati e, specialmente, se avranno avuto il coraggio di mettere in discussione seriamente l’operato di uno, se non due loro colleghi, i quali, nell’88, non sembrano poter aver commesso tutti quegli errori sempre e solo “in buonafede”.

Errori che sono stati ripetuti, poi, negli anni successivi, quando la banda dei fratelli Roberto, Fabio e Alberto Savi dispiegò tutta la sua geometrica potenza criminale, senza che la magistratura riuscisse anche lontanamente ad avvicinarsi a loro.

Anzi, con la Procura della Repubblica di Bologna impegnata, sulla scorta dei soliti “pentiti” che in certe inchieste spuntano come i funghi dopo le piogge autunnali, a perseguitare duramente una sequela infinita di innocenti.

In particolare, c’è adesso la curiosità di vedere se, in questa nuova inchiesta che pare riaprire giustamente il caso della “Uno bianca”, siano state seguite le indicazioni di chi ha lavorato per anni per far emergere documentazioni che si è tentato di tenere nascoste, oppure se, al contrario, ci si è lasciati far distrarre da nuovi tentativi di depistaggio – uno dei quali tentato e “rimangiato” nel giro di un paio di giorni da parte dello stesso Roberto Savi –  finalizzati a politicizzare anche questa inchiesta, col fine, scontato per certi versi, di gettare anche questa croce sulle spalle di una non meglio precisata “estrema destra”.

Un chiarimento

Un ultimo aspetto, caro lettore, oggi è importante che io chiarisca con te.

Chi ha letto i miei due libri sulla materia – ormai introvabili – potrebbe rimproverarmi circa il fatto che, in quei due lavori, io abbia sempre negato che ci fosse un “grande vecchio” dietro alle azioni criminali dei fratelli Savi.

Ed è in parte vero e me ne scuso con te, con tutti, ma richiamando l’attenzione a un particolare decisivo: in quei libri non scrissi – nel 2008 e nel 2013 – che dietro ai Savi c’era un altro e più alto livello a orchestrarne i crimini; scrissi, da una parte, che non esistevano carte, documenti, indizi di una certa rilevanza, che avrebbero permesso di fare una tale affermazione con la dovuta serietà; dall’altra, sottolineai come, se anche fosse esistito un “grande vecchio” dietro ai Savi, le carte a disposizione della magistratura avrebbero erano comunque sufficienti a individuare gli assassini già dal 1991.

Un debito d’onore

Poi, però, diversamente da tutti gli altri colleghi – pochi in verità, rispetto alla gravità della vicenda – che hanno scritto dei Savi, quelle carte ho continuato a cercarle e, trovatele nel 2018, le ho “lavorate” fino a quando mi hanno permesso di sollevare i sospetti e di formulare le accuse precise che da tempo sono al vaglio dei nuovi pubblici ministeri e che potrebbero presto portare a un nuovo processo.

Insomma, non ho cambiato idea, ho solo lavorato con coscienza, senza rincorrere sensazionalismi e non per “monetizzare” qualche “scoop” – è da due anni che rimando la pubblicazione del libro in cui illustro tutte queste nuove investigazioni giornalistiche -, ma solo per saldare un debito d’onore che sento di aver contratto già dal lontano 1990 – quando iniziai a scrivere di questi delitti – coi familiari delle vittime della “Uno bianca”.

Massimiliano Mazzanti

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