Berlusconi non è un nostro morto

Berlusconi non è un nostro mortoBerlusconi non è un nostro morto – Si è vero Berlusconi non è un “nostro morto”.

Non possiamo sentire come “nostro” chi si è sempre definito un liberale, liberista, atlantista, filoamericano e filoisraeliano. Ma soprattutto è stato un uomo di grandi contraddizioni. Uno che sembrava aver aperto vie che si sono poi rivelate essere strade chiuse.

Ha tolto il monopolio ad una RAI lottizzata ed in gran parte egemonizzata dalle sinistre, ma ha creato una TV spazzatura americanizzata.

Ha sdoganato la Destra chiudendo l’epoca dell’arco costituzionale (anche se ormai era una destra che si era già ampiamente addomesticata da sola), ma non ha voluto andare fino in fondo chiudendo con la retorica dell’antifascismo.

Luci e ombre

Ha certamente incarnato la figura del “capitalista”, ma di un capitalismo italiano, nazionale. Probabilmente meno di altri colluso con un certo giro fatto di finanza apolide e cosiddetti “poteri forti” che, infatti, nel 2011 lo fecero defenestrare. È stato un garantista, sicuramente per interesse personale, ma comunque in opposizione a quella parte di magistratura politicizzata (a sinistra) ed alla canea di forcaioli alla Travaglio.

In politica estera non benissimo

Ha fatto intravedere come avrebbe potuto essere una politica estera italiana capace di dialogare con i paesi arabi, ma poi ha tradito Gheddafi. Ha intrecciato buoni rapporti con la Russia di Putin, ma non ha saputo o voluto sganciarsi dalla fedeltà atlantica. Anche se alcune sue parole “dal sen sfuggite” hanno fatto pensare per un attimo che non fosse poi così allineato. ”a parlare con Zelensky? Se fossi stato il presidente del Consiglio non ci sarei mai andato perché stiamo assistendo alla devastazione del suo paese e alla strage dei suoi soldati e dei suoi civili. Bastava che cessasse di attaccare le due repubbliche autonome del Donbass e questo non sarebbe accaduto, quindi giudico, molto, molto negativamente il comportamento di questo signore”.

Insomma, sembra essere stata la storia talvolta del vorrei ma non posso, sempre quella di un uomo con un ego ipertrofico, un po’ giullare e un po’ trasformista, dalle indubbie doti manageriali di organizzatore e comunicatore, ma politicamente caratterizzato più dalle intuizioni che dalle realizzazioni.

Antonio Gatti