Cresce la tensione in Kosovo: Belgrado mobilita le truppe

Cresce la tensione in Kosovo: Belgrado mobilita le truppeCresce la tensione in Kosovo, Belgrado mobilita le truppe – Avevamo già trattato del riaccendersi delle tensioni in Kosovo, tra minoranza serba e maggioranza albanese, con un articolo il 24 dicembre 2022. Perciò, gli ultimi accadimenti non sono una novità per noi.

Nell’ultima settimana, tra il 28 e il 30 maggio si sono avuti duri scontri tra i manifestanti serbi di quattro comuni del Kosovo settentrionale e le forze di polizia kosovare, spalleggiate dagli uomini di EULEX, la missione UE di cui fa parte un nutrito contingente di nostri carabinieri e KFOR la missione NATO “forza di interposizione”, anch’essa con buona presenza italiana.

D’obbligo le virgolette per la dicitura “forza d’interposizione” perché una dicitura simile dovrebbe lasciar intendere una certa neutralità tra le parti, laddove invece il KFOR si è schierato nettamente dalla parte degli albanesi, aprendo il fuoco con proiettili di gomma sui manifestanti serbi; d’altra parte, esistendo il Kosovo come entità a maggioranza albanese sperata dalla Serbia, solo grazie alle bombe della NATO, poteva essere altrimenti per una missione a guida NATO?

Il motivo del contendere?

L’insediamento nei comuni serbi di sindaci albanesi, eletti dopo un voto farsa che ha avuto appena il 3% di affluenza, visto il boicottaggio delle urne da parte della popolazione avvenuto il 23 aprile.

Passato un mese dal voto farsa, il “primo ministro” Kurti di Pristina ha rotto gli indugi cercando di imporre forzosamente l’insediamento dei sindaci albanesi nei comuni serbi, suscitando l’ovvia reazione della popolazione, che, per l’appunto, si è cercata di reprimere impiegando i militari occidentali presenti sul terreno (di questi 34 sono finiti contusi, di cui 11 italiani, 3 in condizioni serie per quanto non in pericolo di vita).

In maniera ipocrita il segretario generale della NATO Stoltenberg ha parlato subito di “inaccettabili aggressioni agli uomini del KFOR”. Da segnalare l’atteggiamento dei reparti antisommossa ungheresi che si sarebbero rifiutati di contrapporsi ai manifestanti serbi.

Ultima goccia?

Un gesto simile sembra essere l’ultima goccia di un vaso sul punto di traboccare e segna l’apice del tentativo kosovaro di estirpare l’autonomia delle enclavi serbe e del legame di queste con Belgrado (che ufficialmente continua a non riconoscere il Kosovo come stato sovrano ma come una propria provincia), alle quali si è cercato di imporre di recidere i legami amministrativi con la Serbia e la soppressione di una forza di polizia autonoma rispetto a quella albanese.

Il presidente serbo Vucic ha parlato alla nazione dichiarando che la Serbia non resterà a guardare “al pogrom di centomila serbi in Kosovo” e ha ordinato alle forze armate di mobilitarsi e di mettersi in stato d’allerta.

Allo stesso tempo, però, si è rivolto all’Occidente affinché faccia pressione su Kurti per indurlo ad una marcia indietro e a tornare al difficile tavolo negoziale nel quale, la Serbia, dal canto proprio, prometteva di cessare di ostacolare il riconoscimento del Kosovo quale entità statuale a livello internazionale, in cambio di uno status di larga autonomia e di federazione interna al Kosovo stesso per i comuni della minoranza serba.

Al momento, tuttavia, nonostante una verbale presa di distanze del segretario di stato americano Blinken rispetto all’insediamento dei sindaci, nei fatti, non si vede alcun segno di distensione da parte di Pristina, che appare quantomai determinata a voler schiacciare la resistenza interna serba, sentendosi ben spalleggiata dalla tutela delle truppe internazionali del KFOR (senza la presenza delle quali, è quasi fuor di dubbio, una reazione militare serba sarebbe già scattata da tempo).

Russia e Cina

Vucic, non avendo raccolto molto dai sordi interlocutori occidentali, si è invece intrattenuto con gli ambasciatori di Russia e Cina.

La Russia in quanto ovvia alleata e storicamente “nazione sorella” della Serbia, la Cina, poi, non ha perso occasione per segnalare che ritiene ogni questione relativa al Kosovo un problema interno serbo, non riconoscendo Pechino l’indipendenza di Pristina.

Il principio di integrità territoriale è d’altra parte un faro per la politica estera cinese, che si attacca a tale postulato per negare ogni pretesa indipendentista di Xinjiang, Tibet, Hong Kong, Taiwan e lo rinfaccia ad ogni momento che l’Occidente lo applica a corrente alternata (per la Serbia no, per l’Ucraina sì).

Non resta che vedere come evolverà la crisi.

Molto probabile che l’Occidente lasci cadere l’appello di Vucic e non faccia alcunché per indurre Kurti e gli albanesi a tornare sui propri passi.

A quel punto nulla potrà essere escluso.

Indotti al suicidio?

 Per quanto chiaramente sgradita (e quasi suicidaria, visto il rischio di scontrarsi direttamente con la NATO) l’opzione militare non può essere tolta del tavolo a Belgrado.

Da una parte un intervento armato in un territorio con presenza di truppe NATO la cui reazione, in caso di ingresso di truppe serbe in Kosovo, sarebbe imprevedibile (gli uomini del KFOR riceverebbero l’ordine di aprire il fuoco sui serbi? I serbi reagirebbero tirandosi addosso quindi la reazione di tutta la NATO? Oppure il KFOR lascerebbe correre, come hanno fatto le truppe di interposizione russe in Nagorno-Karabach, volgendo gli occhi da un’altra parte, per chiaro interesse di Mosca a non avviare un nuovo conflitto, nel momento in cui le truppe azere aggredivano gli armeni?).

Dall’altra, l’ipotesi inaccettabile per la Serbia, di vedersi non solo mutilata di una sua terra ancestrale ma anche umiliata politicamente e diplomaticamente, e di dover accettare soprattutto la fine e l’abbandono della comunità serba in Kosovo.

Filippo Deidda