Distruzione dell’agricoltura, attacco all’uomo

Distruzione dell’agricoltura, attacco all’uomo

 

Distruzione dell’agricoltura, attacco all’uomo – Mai come stavolta vorremmo aver torto. Ci piacerebbe, a futura memoria- se resterà traccia delle nostre riflessioni- che si dicesse: quel pazzo non aveva capito niente, un paranoico complottista, bastian contrario per partito preso, un disadattato incapace di capire il tempo suo.

Ci riferiamo all’attacco sferrato dalla catena di comando occidentale, supportata in Europa dai fedeli esecutori dell’Unione Europea, all’agricoltura e all’allevamento.

Sappiamo da alcuni anni dell’impegno tecnoscientifico degli oligarchi per sostituire i cibi naturali con quelli artificiali, rimpiazzando così l’alimentazione umana legata all’agricoltura e all’allevamento con prodotti industriali e di sintesi.

OGM e carne sintetica

Si parla sempre più di carne artificiale mentre la chimica interviene pesantemente nell’intera filiera della coltivazione, conservazione e trattamento di tutte le materie prime destinate all’alimentazione: dalle sementi e dai terreni sino agli Organismi Geneticamente Modificati, alle monoculture, ai diserbanti industriali senza i quali è impossibile ottenere risultati produttivi, che hanno irreversibilmente cambiato l’agricoltura a favore delle multinazionali del settore minando gli interessi e la sopravvivenza di milioni di piccoli e medi coltivatori.

Lo spauracchio del clima

Sempre più chiaro è l’impegno del potere volto a far cambiare le abitudini alimentari onnivore della specie umana, scoraggiando l’allevamento, le coltivazioni tipiche delle varie aree del mondo, il consumo di carni sino alle intense campagne di promozione dell’alimentazione a base di insetti. La giustificazione più comune è legata al clima, la nuova pseudo religione green inventata per mutare antropologicamente l’uomo a partire dai suoi comportamenti primari.

Le novelle rivolte contadine

Assistiamo sempre più spesso all’ esplosione di rivolte e proteste da parte di agricoltori e allevatori un po’ dovunque nel mondo e in Europa, dall’Irlanda alla Germania, dalla Francia alla Polonia, dall’Austria all’Olanda, dove gli attacchi dei governi alle categorie legate alla terra hanno prodotto la nascita di un partito contadino che ha contribuito a rovesciare il governo dei Paesi Bassi.

Ovunque, le decisioni governative- prese per adeguarsi, anticipare o addirittura superare i regolamenti e le direttive dell’UE, serva della volontà oligarchica- non si sono limitate alla tassazione o a imporre regole asfissianti come nel passato. Hanno apertamente introdotto divieti e limitazioni orientate alla fine programmata di buona parte delle attività agricole e zootecniche.

Le politiche criminali UE

La natura di operazione politica, economica e antropologica (ma questo è taciuto…) è evidente, ed ha lo scopo di azzoppare prima, rendere non economico poi e infine distruggere il settore agricolo e l’allevamento, che è detto primario precisamente per la sua connessione profonda con la natura dell’essere umano e della sua presenza nel mondo.

Evidentemente, in alto qualcuno – i soliti noti- ha deciso così. Basta agricoltura, stop all’allevamento, sì ai cibi artificiali, agli insetti, all’industria e alla chimica al posto della terra e dei suoi ritmi.

L’Europa ha rinunciato da tempo, in ossequio al “libero” mercato e alla delocalizzazione (che non vale solo per l’industria), ossia alla globalizzazione, a una politica agricola propria. Nonostante i suoi limiti, la chiara preferenza per le produzioni dell’area centro e nordeuropea spesso penalizzanti per l’Italia, viene da rimpiangere la vecchia PAC (Politica Agricola Comune) che, se non altro, assegnava al settore fondi e rilievo nell’ambito dell’autosufficienza alimentare della Comunità Europea diventata Unione.

Che importa, penserà qualcuno: niente di più di una riconversione economica in linea con i tempi. Non è assolutamente così.

Un colpo all’essenza stessa dell’uomo

Se l’operazione di rimpicciolimento e progressiva distruzione dell’economia agricola verrà portata a compimento, si tratterà di uno dei passaggi decisivi della storia umana. La vicenda della nostra specie conobbe un fondamentale cambiamento tra dieci e ottomila anni fa, all’alba del periodo neolitico.

Fino a quel momento le tribù umane erano formate da cacciatori e raccoglitori nomadi. Con la fine delle glaciazioni si modificarono le abitudini, gli uomini divennero stanziali, edificarono i primi villaggi e le prime abitazioni fisse, cominciando a coltivare le terre adiacenti e ad allevare animali con i quali integrare l’alimentazione.

Divennero depositari di un sapere ogni giorno più ampio e diversificato, sino ad avvertire la necessità della scrittura, per fissare miti, storie, conoscenze pratiche. Inventarono- se così si può dire- l’arte, insieme con attrezzi e meccanismi sempre nuovi. Si dotarono di leggi per strutturare un’organizzazione sociale complessa.

L’agricoltura motore delle trasformazioni

L’importanza dell’agricoltura – che rimase la principale attività umana anche in Europa fino allo sviluppo industriale del XIX secolo – e le conseguenze della sua introduzione ne fecero il motore che avrebbe innescato importanti trasformazioni. Oltre alla scrittura, la metallurgia, l’edilizia, la conservazione di beni e alimenti. Dalla preistoria l’uomo entrò nella storia. Anche il concetto di proprietà risale a quella remota rivoluzione; forse lo slogan di Davos non avrete nulla e sarete felici evoca una regressione antropologica guidata dai signori del mondo.

Dunque, lo smantellamento progressivo dell’agricoltura avrebbe bisogno quanto meno di un dibattito chiaro, l’analisi delle conseguenze, la valutazione degli effetti. Pensiamo alla facilità con cui le popolazioni europee soggiogarono sino allo sterminio gli indiani d’America, popolazioni fierissime e combattive, ma nomadi, dedite esclusivamente alla caccia e alla raccolta, prive della scrittura, con modestissime cognizioni tecnologiche.

Chi controlla la tecnologia domina il mondo e lo cambia a piacimento. La fine dell’allevamento degli animali e della coltivazione dei campi sarebbe la fine di gran parte della storia della nostra specie, con conseguenze di ogni tipo.

Un Italia incolta, in tutti i sensi

Cambierebbe in maniera totale perfino il panorama, il paesaggio cui siamo abituati, adattato dall’ uomo nei millenni alle esigenze agricole, ai pascoli, sino a costruire civiltà intere lungo le vie d’acqua, in prossimità delle zone più temperate, improntando le diverse aree della varietà delle attività agricole e zootecniche.

Per restare in Italia, pensiamo alla bellezza “umana” del paesaggio delle Langhe, del Chianti, delle innumerevoli altre zone collinari vocate alla vite; e poi il paesaggio degli ulivi, i frutteti, i prati alpini strappati alla boscaglia per farne pascoli, la meraviglia geometrica –autentica arte materiale- del paesaggio delle coltivazioni cerealicole, la severa bellezza dei pascoli magri, dedicati agli ovini.

Tutto questo potrebbe presto cedere il passo a qualcosa di molto diverso, assai simile al deserto suburbano. Se pensiamo che tutto questo sia lontanissimo nel tempo, non preoccupante, basta consultare la legislazione dell’UE che diventa immediatamente diritto positivo inderogabile degli Stati membri. La preferenza per gli insetti, sotto forma di cibi e farine, è così netta che il governo italiano ha dovuto limitare i danni con quattro decreti in cui, non potendo, rectius , non avendo la volontà e gli strumenti giuridici per opporsi al diritto dell’Unione, ossia non possedendo sovranità, ha almeno stabilito che gli alimenti contenenti ingredienti ricavati da insetti siano dotati di etichetta specifica con indicazione dell’origine, della tipologia e della quantità.

Il laboratorio emiliano

In Italia l’avanguardia dei tempi nuovi è l’Emilia-Romagna.

Bologna sta diventando la prima città italiana immobile, con divieto di superare i 30 km orari in omaggio ai deliri climatici; un esempio di città “smart” (furba…) disegnata a Davos. La regione di Bonaccini e Schlein ha messo a bilancio fondi a favore di agricoltori e allevatori che accettano di dismettere le loro attività. Finiranno i raccolti in uno dei granai d’Italia, tra le terre più fertili e ricche d’Europa, popolata da generazioni laboriose, inventive e capaci.

Il programma regionale prevede il progressivo abbandono dell’agricoltura attraverso un compenso mensile ventennale calcolato in base alla superficie dismessa. Il progetto fa parte dell’agenda dell’UE chiamata detta “legge sul ripristino della natura” – neolingua invertita, come al solito- che obbligherà gli Stati membri a “restaurare”, ossia sottrarre all’attività umana entro il 2030 almeno il venti per cento delle aree terrestri e marine e, entro il 2050, tutti gli “ecosistemi”.

La marcia dei nuovi disoccupati

L’Europa si sta imbarcando in un impressionante suicidio economico non meno che culturale e in un cambio antropologico di gigantesca portata metastorica.

L’Emilia-Romagna è una delle regioni europee più ricche. Sinora. A questa regione – poi toccherà alle altre – viene imposto di rinunciare nel tempo alle sue straordinarie, antiche tradizioni agricole e zootecniche, tra cui spiccano eccellenze mondiali come la produzione del formaggio parmigiano, del prosciutto di Parma, delle carni suine e bovine, di vini come il Lambrusco, il Trebbiano e il Sangiovese. Gli agricoltori devono smettere di lavorare: coltivatori e dipendenti ingrosseranno le fila della disoccupazione. Oltre al reddito, sarà disperso un tesoro di conoscenze, abilità, tenuta e conservazione del territorio, parte essenziale della nostra identità comune, del modo di essere del nostro popolo e di tutti gli altri popoli investiti dallo tsunami anti-agricolo.

L’Europa intera ne è minacciata, come sanno i contadini tedeschi che hanno preso a bloccare le autostrade con i loro trattori nel corso di proteste sempre più estese. Ciò che la Commissione europea intende, con il suo ambientalismo da poltrona, è costringere tutti gli ecosistemi “danneggiati” (ossia assoggettati all’attività umana!) – a tornare alla loro condizione originale.

Il futuro che ci aspetta

Applicato alla lettera, ciò significherebbe riportare le campagne alla situazione che avevano nel Mesolitico, prima della grande rivoluzione neolitica. Secondo alcuni calcoli, almeno il quaranta per cento delle superfici agricole, pastorali e zootecniche diventerebbero improduttive perché non sarebbero più consentite attività che hanno attraversato i millenni e improntato il tessuto economico, civile, culturale, umano delle nostre popolazioni.

Una gran parte del territorio diventerà terra desolata, in cui a regime scompariranno campi, stalle, frutteti, vigne, forse sostituiti da industrie per la “produzione” e trasformazione di insetti, in cui lavoreranno e di cui si nutriranno le popolazioni destinate a sostituire gli europei.

Incubi, pessimismo senza speranza? Può darsi. Non ci piace il ruolo di Cassandra e speriamo di tutto cuore di equivocarci. Tuttavia, ci risuona nelle orecchie, sinistro, il canto disperato del poeta britannico William Blake all’alba della prima rivoluzione industriale. “E fu costruita qui Gerusalemme /tra questi oscuri mulini satanici? (…) Io non cesserò di combattere la battaglia spirituale, /né la mia spada sarà a riposo nella mia mano, /finché non avremo costruito Gerusalemme /nella verde e piacevole terra d’Inghilterra.”

Roberto Pecchioli

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