Dopo oltre un anno di guerra – Conclusioni e una previsione per il 2023 – la stesura di questo capitolo di conclusioni è al 16 marzo 2023 – possiamo tentare di immaginare quale possa essere l’evolversi della situazione bellica.
Questa va vista alla luce degli obiettivi strategici delle due parti contendenti e perciò vanno valutati i rispettivi fini ultimi e, rispetto a questi, le rispettive capacità militari per raggiungerli effettivamente.
Da parte russa, bisogna considerare che, fallito il tentativo iniziale di generare un rapido crollo del governo di Kiev con l’azione di forza del 24 febbraio, non si è rinunciato (e ciò è stato ribadito più volte da parte del Cremlino), agli obiettivi iniziali dell’operazione.
Nessuno spazio ai negoziati
Anzi, nel corso delle trattative avutesi nel corso di marzo 2022 tra russi e ucraini Putin aveva avvertito che, qualora gli ucraini non avessero svolto le negoziazioni in maniera “seria”, l’Ucraina avrebbe potuto perdere le caratteristiche di entità statuale ovvero minacciando l’annientamento completo dell’Ucraina in caso di esito insoddisfacente per la Russia delle negoziazioni.
Le negoziazioni, come noto, sono fallite, probabilmente più che per una genuina volontà ucraina in tal senso, per pressioni e interferenze occidentali, in particolare, stando alle dichiarazioni di una fonte autorevole come l’ex premier israeliano Naftali Bennett (con Israele, non facente parte della NATO ma naturale alleato degli Stati Uniti, che si era proposto in quel frangente come possibile mediatore), le negoziazioni ormai prossime a produrre un esito positivo, saltarono per l’intervento di Boris Johnson che, recatosi a Kiev in tutta fretta, avrebbe imposto a Zelensky di interrompere qualunque dialogo con Mosca e di continuare la guerra.
Retorica della guerra
Da allora, la posizione diplomatica ucraina è divenuta sempre più intransigente e Zelensky, che già il 25 febbraio 2022, a neanche 24 ore dall’inizio dell’invasione, aveva subito chiesto i negoziati e che nel corso di marzo aveva fatto dichiarazioni di buonsenso circa l’impossibilità di recupero della Crimea e di ingresso nella NATO per l’Ucraina, si è adeguato invece su una retorica massimalista circa la necessità di sconfiggere militarmente la Russia, di recuperare non solo i territori persi dal 24 febbraio ma anche Donetsk, Lughansk e, per l’appunto la Crimea, escludendo de facto ogni possibile soluzione diplomatica (oltre che de jure, visto che, nel frattempo, ha firmato un decreto per dichiarare illegale qualunque discussione diplomatica con la Russia fintantoché Putin rimarrà presidente).
Il susseguirsi degli eventi, come la mobilitazione russa, l’annessione, non solo delle province del Donbass di Donetsk e Lughansk, ma anche delle due province occupate di Kherson e Zaphoryza e l’avvio di una prolungata campagna di bombardamenti strategici, danno tutta l’impressione di significare che Putin abbia l’intenzione di rendere reali le minacce fatte in precedenza.
A Mosca la guerra sarebbe perciò ormai diventata una guerra di annientamento, il cui esito sarebbe quello che a Roma antica si chiamava debellatio ovvero la soppressione e disparizione totale dell’avversario.
I piani russi
Guerra di annientamento volta a cancellare l’Ucraina dalle mappe geografiche, non a caso, sempre più nei discorsi di Putin e di altri dignitari russi è ricomparso anche il termine di “Malorussia” ovvero di “Piccola Russia”, usato per indicare l’Ucraina come si faceva ai tempi degli Zar, quando la “Piccola Russia” non era che una provincia dell’Impero Russo, con chiaro rimando etimologico all’appartenenza al mondo russo della stessa.
Allo stesso tempo, però, non sono mancati da parte di Putin, riferimenti, come già fatto nel discorso del 24 febbraio, agli “errori di Stalin”, reo di aver annesso nel 1939 (e poi di nuovo nel 1945) alla Repubblica Socialista Sovietica di Ucraina, Leopoli e i territori galiziani strappati alla Polonia e oggi costitutivi dell’Ucraina occidentale dove sono più virulenti i sentimenti antirussi.
Non è mancato Putin di riconoscere che quei territori, polacchi tra il 1918 e il 1939 e prima del 1918 facenti parte dell’impero degli Asburgo per secoli, non fanno parte del “mondo russo”e che uniti al resto dell’Ucraina, non fanno che aumentarne l’instabilità e l’ingestibilità politica.
Scenari ambiziosi
Con ogni probabilità, quindi, vista anche l’esperienza delle annessioni delle regioni russofone già compiute, Mosca punti ad uno scenario di partizione a tre ovvero in cui l’end state finale (per dirla con stile anglosassone) sarebbe quello in cui: tutti gli oblast ucraini con popolazioni russofone finirebbero annessi direttamente alla Federazione Russa (ossia Kharkov, Odessa, Nykolaiev e probabilmente anche Sumy e Dnipro, coincidenti con il concetto di “Nuovarussia” più volte evocato da Putin), l’Ucraina centrale, controllata da Kiev verrebbe ridotta ad una riedizione moderna di stato malorusso, integrato con la Federazione Russa come tende ad esserlo la Bielorussia (ossia con una sovranità formale ma nella quadra di “unione di stati” con integrazione economica, militare e in ultimo politica, con la Russia), infine un’Ucraina occidentale-galiziana, con centro di gravità in Leopoli come stato indipendente e possibile funzione cuscinetto rispetto alla Polonia e alla NATO.
Lo scenario è quantomai ambizioso e si scontra con la resistenza che, almeno la parte maggioritaria degli ucraini, hanno opposto e stanno opponendo all’intervento russo.
Territori vasti e popolazioni ostili
Detto questo, al Cremlino, probabilmente si è coscienti delle difficoltà implicate dal progetto di governare territori così vasti con una popolazione così ostile.
Già al termine della Seconda Guerra Mondiale, per altro, ci vollero anni per i sovietici per pacificare i territori dell’Ucraina occidentale dove fino al 1956 hanno continuato a combattere bande partigiane e gruppi resistenziali antisovietici (cosa simile, per un periodo addirittura prolungato, è avvenuto nei paesi baltici).
Anche l’esperienza dei più recenti interventi militari occidentali, come quello americano in Iraq e in Afghanistan o le operazioni francesi nel Subsahel, probabilmente suggeriscono a Mosca che non è sufficiente vincere militarmente il nemico (magari anche in un lasso di tempo molto breve), per poter conseguire dei sostenibili obiettivi di stabilizzazione delle aree oggetto di intervento.
Come evitare quindi, di vincere militarmente il nemico ma di dover fronteggiare al contempo decine d’anni di guerra insurrezionale?
L’insegnamento spagnolo
È possibile che Mosca, per conseguire questo duplice scopo, possa approfittare della guerra per drenare dall’Ucraina ogni potenziale forza resistenziale antirussa.
Approfittare della guerra per eliminare nelle trincee ogni uomo che possa avere la disposizione ad imbracciare un fucile contro i russi.
Cosa simile fu, d’altra parte, la strategia applicata da Franco nel corso della Guerra Civile Spagnola, guerra che fu protratta dal Caudillo e condotta con pazienza snervante (soprattutto per gli alleati italiani e tedeschi che invece facevano pressioni per una condotta più rapida delle operazioni al fine di poter ritirare i propri contingenti), il tutto per condurre lucidamente una politica di annientamento della resistenza repubblicana e di ogni suo appoggio (finita la guerra, per quanto poi la Spagna risultò politicamente isolata a livello internazionale, Franco riuscì a governare la nazione senza opposizioni o guerriglie interne per quasi 40 anni, morendo serenamente nel suo letto).
Secondo quest’ottica, la guerra sarà ancora lunga e inevitabilmente comporterà un numero estremamente elevato di vittime, soprattutto ucraine, dal momento che i russi, invece, continueranno ad operare con flemma e prudenza, senza spendere troppe forze per rapide avanzate territoriali, puntando invece al logoramento umano e materiale del nemico, che invece smania per riconquistare il terreno perduto o che è pronto a sacrifici enormi per non cederne di nuovo (come sta accadendo a Bakhmut dove gli ucraini continuano a non contemplare l’ipotesi di una ritirata strategica).
È guerra totale
Oltre al logoramento meramente umano e materiale, i russi, verosimilmente puntano ad ingenerare in Ucraina un processo di annientamento anche morale, politico e psicologico simile a quello esperito dalla Germania nel contesto dell’apocalittica sconfitta della Seconda Guerra Mondiale.
Il regime di Zelensky, infatti, è, come già ribadito, ormai intrappolato dalla sua stessa propaganda da “Vittoria Finale”, in cui la totalità della popolazione è mobilitata per lo sforzo bellico e vengono imposte alla popolazione sempre più privazioni in vista e con la giustificazione di una “Vittoria Finale” che dovrebbe essere certa (come è sempre certa una “Vittoria Finale” quando questa è proposta al popolo) e palingenetica delle sorti della nazione.
Nell’eventualità in cui la “Vittoria Finale” non dovesse materializzarsi, venendo anzi sostituita da uno scenario di “Sconfitta Totale” con annientamento della nazione e resa incondizionata (e non di mera resa a tavolino e negoziata, come capitò alla Germania al termine della Prima Guerra Mondiale, capace di ingenerare ancora miti circa una “Vittoria Rubata” o di una “Vittoria Tradita”, come il mito tedesco del primo dopoguerra della “pugnalata alla schiena”), è possibile quindi aversi un crollo psicologico e morale generalizzato nella popolazione, indotta a ritenere la propria vecchia dirigenza quale principale responsabile del proprio stato catastrofico, più che il vincitore, con il quale invece si tende a fare ormai causa comune.
Se questi sono gli obiettivi russi, bisogna considerare che gli obiettivi ucraini sono, evidentemente, specularmente inversi.
La mano USA
Da parte ucraina, dal momento che è stata introiettata la linea occidentale di evitare il negoziato e ci si è incanalati sulla via dello scontro frontale, l’obiettivo è quello di resistere, sopravvivere come entità statuale e riconquistare i territori perduti (o almeno, al netto della retorica, gli oblast di Kherson e Zaphoryza).
Discorso a parte va invece fatto sugli interessi occidentali che si intersecano con quelli ucraini.
Da parte occidentale, angloamericana in particolare, si può in un certo senso già considerare la guerra come un successo a sé stante (e la mancata applicazione di Minsk per la regolazione del problema del Donbass, l’appoggio ad Euromaidan nel 2013, il mantenimento della politica delle “open doors” della NATO per Kiev e insomma tutto il pregresso allo scoppio della guerra, fanno pensare che in effetti si sia lavorato nel corso degli anni proprio per ottenere questo risultato).
Blocco continentale
La guerra ha comportato, infatti, una cesura netta tra Russia ed Europa, laddove non è mistero che la costituzione di un blocco continentale europeo che contempli la Russia, l’Europa da Lisbona a Vladivostock, era (ed è) un incubo geopolitico per Washington (e visto l’attivismo britannico nel conflitto, a quanto pare, anche per Londra).
Le esplosioni del gasdotto North Stream, che collegava Russia e Germania, di palese matrice angloamericana (come riportato anche dall’inchiesta del giornalista premio Pulitzer Hersch, anche se forse non c’era bisogno di un Pulitzer per sospettare che non fosse nell’interesse russo il sabotare un’infrastruttura di propria proprietà) lo mostrano plasticamente.
Detto questo, visto, per altro, il fallimento militare iniziale russo e l’ondata di sanzioni economiche, è lecito pensare che nel corso del marzo 2022, quando per l’appunto si interveniva per sabotare i negoziati tra Kiev e Mosca, si auspicasse anche un crollo generalizzato della Russia, con un annientamento in Ucraina del suo dispositivo militare e di un possibile collasso economico e del fronte interno per un “effetto panico” indotto dall’applicazione delle sanzioni.
Biden, in visita in Polonia, a poca distanza dal confine ucraino, in quei giorni parlò solennemente e a chiara voce della necessità di compiere un “regime change” a Mosca.
Lo spirito russo
Tuttavia, nel momento di maggior crisi, i russi hanno mostrato flessibilità, riorganizzando il proprio dispositivo militare (in due momenti, il primo in primavera, con il ritiro dal fronte nord, il secondo in settembre con la mobilitazione parziale), similmente l’economia russa ha reagito e retto alle sanzioni.
La popolazione russa, invece, sembra, almeno nella sua componente maggioritaria, invece, aver percepito il pericolo esistenziale per la Russia comportato dalla guerra e per il momento pare lungi dal voler ritirare il proprio sostegno a Putin.
Riassumendo: gli USA potenzialmente potrebbero ritenersi già soddisfatti degli obiettivi già ottenuti (la rottura delle relazioni euro-russe e lo sfiancamento delle capacità militari russe in generale), mentre l’obiettivo massimo auspicabile (il cambio di regime a Mosca ed una eventuale disgregazione della Federazione Russa) potrebbe anche essere abbandonato poiché non raggiungibile.
Per tornare invece a Kiev è ormai, come già detto, impossibile fare ormai un passo indietro e l’unica soluzione possibile è una chiara vittoria sul campo.
Per ottenerla gli ucraini non hanno altra scelta che nell’organizzare una guerra di movimento, con offensive veloci volte a riconquistare i territori perduti e infliggere allo stesso tempo gravi perdite ai russi.
La guerra di attrito
Questo perché, ovviamente, nella guerra sulla lunga durata, la Russia, che ha una popolazione di oltre 5 volte quella ucraina, un’industria bellica con enormi capacità produttive, riserve di materiali ancora mobilitabili, tenderà sempre più a consumare le risorse ucraine, laddove l’Ucraina, tanto più progredisce il consumo delle sue risorse materiali, tanto più è dipendente dalle forniture di armamenti occidentali (che però hanno solo un interesse indiretto nel proseguire la guerra, oltre che una capacità produttiva ancora ridotta per quanto in espansione).
Coinvolgimento diretto NATO?
Inoltre, al di là delle forniture di armamenti, molto cinicamente, non si potranno sostituire gli uomini, dal momento che all’esaurirsi del bacino di uomini mobilitati ucraini, questi, nonostante il supporto di truppe sotto copertura, reparti speciali etc… non si potranno sostituire con intere brigate occidentali (pena ovviamente di una guerra diretta tra NATO e Russia con evidenti possibili ricadute nucleari disastrose per tutte le parti).
A Kiev, perciò, si dovrà sperare di riorganizzare offensive di successo come quella di Kharkov del settembre 2022, al momento unico chiaro caso di guerra di manovra e movimento.
Sull’attacco ucraino
Per farlo, si stanno armando due nuovi corpi di armata ovvero tra le 15 e le 20 brigate (probabilmente 19) , rispetto al centinaio di brigate esistenti (più di quello di cui può disporre, in termini di forze realmente capaci di combattere, l’esercito di un grande stato dell’Europa occidentale), che dovrebbero essere armate quasi esclusivamente con i materiali occidentali forniti dai paesi NATO a seguito della riunione di Ramstein del 20 gennaio 2023 (carri armati inclusi).
Questo gruppo di combattimento probabilmente verrà usato come gruppo di “shock” per colpire duramente i russi, sperando di ottenere una crisi del fronte, che da locale possa divenire generalizzata.
Dove colpire?
L’obiettivo privilegiato dovrebbe essere la regione di Zaphoryza, puntando sul Mare d’Avoz che dista dalle prime linee ucraine circa 150khm.
Rompere su tale sezione del fronte vorrebbe dire isolare Kherson e Zaphoryza dal resto del dispositivo russo.
I problemi, tuttavia, non sono pochi al riguardo.
Il protrarsi della situazione di crisi a Bakhmut, in città sono ancora sotto assedio quasi 10 brigate e attorno alla città ne combattono almeno altrettante, sembra ancora assorbire risorse preziose per Kiev.
Dal momento che la città è praticamente circondata e che nessun ordine di ritirata è arrivato (e supponendo che a Kiev l’ipotesi del suicidio militare non sia contemplata) è lecito pensare che si pensi invece ad una controffensiva anche su questo quadrante per sbloccarne la situazione.
Tale scenario, tuttavia, potrebbe comportare il rischio di una frammentazione delle forze in riserva, risultando in una possibile vanificazione degli sforzi.
Inoltre, anche, a prescindere da Bakhmut, la possibilità di replicare a Zaphoryza il successo di Kharkov appare ardua da concepire.
Manca l’effetto sorpresa che sussisteva a Kharkov, manca, inoltre la superiorità numerica di truppe di cui si disponeva allora, vista l’intervenuta mobilitazione russa.
Conclusioni
I russi, adesso, semplicemente hanno una densità di uomini al fronte decisamente maggiore rispetto a quanto accadeva prima della mobilitazione e linee di difesa in profondità già preparate per assorbire l’urto offensivo.
Inoltre, va considerato che le brigate ucraine equipaggiate con materiali NATO non potranno comunque operare secondo gli schemi usuali della NATO se non altro poiché quest’ultimi, tipicamente, prevedono di operare in un contesto di totale supremazia aerea, supremazia che, come visto nel capitolo “La Guerra Aerea”, è in mano russa.
Detto tutto ciò, lo scenario che sembra profilarsi all’orizzonte è quello ancora di una guerra prolungata, che potrebbe superare anche l’orizzonte del 2023, in cui la sfida tra il “centometrista” ucraino e il “maratoneta” russo, per quanto nulla possa dirsi certo, continuerà ad erodere le forze sempre più scarse di Kiev, lavorando per la realizzazione del piano di annientamento russo.
Filippo Deidda