Gate Keeping: una storia di centrodestra

Gate Keeping: una storia di centrodestraGate Keeping: una storia di centrodestra – Il motivo per cui disprezzo profondamente il fenomeno italiano noto come centrodestra sta nel doverne constatare, ad ogni tornata elettorale, la disarmante nullità politica.

Riguardo le ultime elezioni

Mi spiego meglio: per tutta la parabola storica del grillismo si è fatto un gran parlare dell’ignavia del Movimento 5 Stelle, letto come un partito pigliatutto privo di contenuti eccedenti la democrazia diretta ed un’esibita posa d’anticorruzione.

Ma a ben vedere, quantomeno dal 2013 (anno in cui ho compiuto la maggior età), una pur vaga linearità nella costruzione di un populismo welfarista in questo decennio la si può riconoscere nell’esperienza pentastellata.

È invece il centrodestra post-berlusconiano ad essere stato un insieme di istanze, sovente ideate da spin doctor e mal ripetute, dove la contraddizione ha sempre fatto da ulteriore condimento per politicanti di professione in buona parte non vuoti di contenuti, ma proprio di (sia pur elementari) ideali.

Ciò ha però generato la fortunata narrazione di un potenziale anti-sistema in questo statico monolite elettorale, ampiamente sfruttata dal gruppo GEDI e dalle strutture elettoralistiche rivali, facendone uno strumento di gate keeping per vari moti che hanno interessato l’Europa in questo decennio post-ideologico, dal sovranismo alla critica al globalismo liberale passando anche per l’opposizione al modello multiculturalista.

Due facce della stessa medaglia

E nel mentre tra chiacchiere vernacolari si è passati in 13 anni da un sottosegretariato a un ministero per indubbi outsider come Daniela Santanchè o Roberto Calderoli, l’identità politica di questo carrozzone si è dimostrata, in soldoni, un miscuglio ributtante di garantismo svuota-carceri e piccolo liberismo di classe che accarezza l’ego delle partite IVA del Nord sostenendo il leitmotiv delle privatizzazioni.

Niente di più che una variazione sul tema delle proposte economiche del centrosinistra, çe vans dire.

E basta la retorica connessa a queste inutili regionali (inutili quanto le stesse regioni), di un Minzolini che si gloria del fatto che la regione più economicamente avanzata del paese è guidata da un ventennio da suddetta super-coalizione, dal biasimarsi in tv per la scelta di candidare Michetti a Roma, cioè uno dei pochi volti con idee sociali marcate presentati nei menù della neo-Casa delle Libertà.

Beninteso, la presente non vuole nemmeno somigliare ad un’analisi, anche perché è semplicemente l’opinione severa ma onesta di qualcuno che con il nocciolo dell’agenda Capezzone non vuole avere nulla a che spartire, specie dopo il rinnegamento della briosa politica estera berlusconiana.

Tutti ostaggio della Meloni

Tuttavia, se il commentare il risultato del 25 settembre, di oggi e quelli che seguiranno fino allo sgonfiarsi del Melonismo, vi deve portare a dubitare dell’effettivo peso di questioni politicamente fondamentali perché non influenti sulla resa o disfatta elettorale del fenomeno centrodestrista, ponetevi una sola domanda:

l’opposizione al green pass, a Maastricht, all’immigrazione di massa, all’invio di armi in Ucraina, all’austerità e alle privatizzazioni sono indiscutibilmente istanze di nicchia o forse, accanto alla crescente astensione e alla dispersione di voto nei 5Stelle, la mitologia del voto utile è venuta in soccorso di una componente elettorale miope e gretta di brambilli e briatori che garantiscono il paradigma gattopardiano per cui tutto deve cambiare perché non cambi nulla?

Lorenzo Roselli