Governo: Mica abbiamo il 51 per cento!

Governo: Mica abbiamo il 51 per cento!Governo: Mica abbiamo il 51 per cento! – Il talento di un analista politico sono direttamente proporzionali al coraggio che lo spinge a fare previsioni su quel che accadrà: per raccontare quel che è sotto gli occhi di tutti, non sono necessarie chissà quali abilità.

Per tanto, la scommessa è questa: a breve, Giorgia Meloni o chi per lei se ne uscirà fuori con la fatidica frase: “Mica abbiamo il 51 per cento!”

Un refrain

Una sorta di refrain, già udito da Silvio Berlusconi e da Matteo Salvini, qualche anno or sono, a giustificazione del fatto che, ogni volta che si intenderebbe caratterizzare in modo forte l’azione di governo, qualcuno, fuori e dentro i confini, mettendosi di traverso, impedirebbe a premier di turno di portare fino in fondo la sua azione, magari facendo leva su qualche componente secondaria della maggioranza.

Ora, definire “iniziative caratterizzanti” il tetto al contante; oppure il limite all’uso obbligatorio del “pos”; un po’ di più, forse, l’annullamento delle multe a chi ha resistito al ricatto del vaccino anti-Covid o delle cartelle esattoriali; francamente, si fa fatica.

Promesse da campagna elettorale

Certamente, però, erano tutte “promesse” e tutti “annunci” ascoltati, in campagna elettorale e immediatamente dopo, dalla viva voce della presidente del Consiglio o dei suoi più stretti collaboratori. Ora, la parola d’ordine “indietro tutta” che sembra ispirare il governo, a fronte dell’incalzare degli organismi europei, non induce a riflessioni positive. Anche perché è sempre la stessa Giorgia Meloni, quando la polemica politica gliene offre l’occasione, a ricordare la forza e la dignità – manifestate proprio in opposizione con Bruxelles – di paesi come la Polonia e l’Ungheria che, per inciso, si ricordano insieme a dimostrazione del fatto che non sia l’atteggiamento verso la Russia, il discrimine, visto che Varsavia e Budapest hanno su questo atteggiamenti molto differenti.

La tutela dell’interesse nazionale

A fare la differenza sono due fattori, che poi altro non sono che le due facce di una stessa medaglia. Da una parte, la reale volontà di governare a tutela del vero interesse nazionale, che non coincide necessariamente con le personali fortune o tranquillità di chi siede sullo scranno più alto di Palazzo Chigi; dall’altra, la curiosa tendenza degli organi di formazione della pubblica opinione – e si sottolinea la differenza tra “formazione” e “in-formazione” – a rappresentare i politici italiani tanto meglio quanto più questi si dimostrino disposti e capaci, una volta raggiunto il potere, di rimangiarsi, scordarsi o rinnegare programmi, idee e valori che gli hanno consentito di scalare la vetta.

Una rappresentazione che, in qualsiasi altra parte del mondo si definirebbe grottesca, e sarebbe un eufemismo, ma che, invece, in Italia, diventa cara, apprezzabile, se non addirittura motivo d’orgoglio per la personalità a cui viene modellata addosso come un vestito della festa.

Autonomia sofferta

Polonia e Ungheria, per tornare agli esempi che piacciono a questo governo, hanno sofferto per e da anni, pur di affermare l’autonomia delle rispettive nazioni dai diktat di una Ue a tratti isterica e senza una reale politica di sviluppo del Vecchio continente.

A Roma, gli starnuti di tale Ursula von der Layen, come prima quelli dei predecessori, vengono percepiti come scosse telluriche di portata gigantesca, annunciatrici di chissà quali sciagure. Di conseguenza – dato che nessuno ha il 51% -, rifugiarsi nel “vorrei… ma non posso!” diventa, oltre che facile, necessario.

Poi, se si può dare la colpa a qualcun altro – per il “Mes” si è già candidata candidamente Forza Italia -, meglio ancora: sarà possibile chinare il capo e, da una posizione di circa 90 gradi, gridare al popolo, che sta ancora più sotto, che è il destino cinico e baro, a impedire il rispetto degli impegni assunti, il mantenimento delle promesse.

Il governo durerà 5 anni!

D’altro canto, dal palco di piazza del Popolo, quale messaggio è stato lanciato e subito reclamizzato da tutta la stampa e da ogni canale televisivo? “Il governo durerà 5 anni!”: come se l’autorevolezza di un esecutivo e di un premier fosse determinata dal calendario. O, forse, è proprio questa la cifra del Paese legale, di quello che si alimenta e prospera nelle strutture pubbliche, elettive, professionali od occupazionali che siano: l’anzianità di servizio. Al pari di ogni altro settore della Pubblica amministrazione, anche la politica si misura con la longevità esistenziale: più duri, più sei bravo.

A fare cosa, duri?

Chissenefrega, mica si sta a guardare quello… Altro che Enrico Mattei, il partigiano democristiano a cui ci si abbevera ogni giorno di più; l’Italia è pronta alla beatificazione di Giulio Andreotti, della politica del “tirare a campare”, nella speranza di “tirare le cuoia” il più tardi possibile.

Come recitava la battuta finale di quel film di Luigi Magni? Ah, sì: “Buonanotte, popolo…”