MUCHACHOS !

Muchachos!MUCHACHOS ! Ho trascorso a Buenos Aires lunghi periodi della mia vita. Non come turista, dove tutto è bello e godibile, ma per lavoro. E ho vissuto come un porteño qualunque, frequentando amici, assaggiando da vicino il loro modo di essere, la loro mentalità, il loro asado, la loro esistenza di tutti i giorni.

I difetti di questo paese sono enormi, le colpe dei loro abitanti tante, le contraddizioni innumerevoli, la gestione della cosa pubblica disastrosa, le prospettive del domani precarie. Ma è pieno di rabbia, di generosità, di una reattività che quasi sempre gira a vuoto, nutrito di una continua speranza che si scontra con grandi delusioni che non hanno prodotto, però, rassegnazione.

I “Tanos

Una buona fetta della popolazione è composta da  Tanos – così sono scherzosamente chiamati là i discendenti  degli Italiani – diventati Argentini a tutti gli effetti. Difficile conservare interamente la propria identità in un territorio dai paesaggi forti, dagli spazi immensi, dalle tinte violente, popolato da un’immigrazione proveniente da molte nazioni. Tutto questo finisce per assorbirti, per trascinarti con sé fino a farti diventare parte di questo tutto.

Ma il sangue di 2.500.000 di loro – tanti furono, insieme a molti altri Europei, gli Italiani che attraversarono l’Atlantico fra il 1870 (quando la popolazione dello stato sudamericano era di 1.700.000 abitanti) e il 1925, per cercare fortuna sbarcando al vecchio porto della Boca – e degli altri Tanos arrivati dopo scorre nelle vene degli Argentini di oggi.

Il richiamo della Patria

E poiché (noi lo sappiamo bene) il sangue è spirito, ne consegue che la Argentinidad – espressione del loro spirito identitario – è anche roba nostra, cui ha contribuito la nostra nazione, nel vero significato di questo termine, vale a dire comunità etno-linguistica. Senza che la successiva integrazione in una società nuova e composita, in un territorio immenso, col naturale affievolimento dei legami col vecchio idioma. coi vecchi costumi e con la terra d’origine, faccia venir meno questa realtà.

Come è testimoniato, infatti, dall’arruolamento volontario di almeno 20.000 (alcune fonti indicano il numero di 32.000) volontari italo-argentini nel nostro esercito durante la prima guerra mondiale. Tra i quali Eduardo Alfredo Olivero, arruolatosi come soldato semplice, poi divenuto sergente pilota e incorporato nella 91^ squadriglia caccia comandata da Francesco Baracca, lì guadagnandosi tre medaglie d’argento al valor militare..

Argentinidad

La Argentinidad è a sua volta una realtà, un forte elemento caratterizzante, capace di distinguere l’Argentina da tutte le altre nazioni del vecchio impero spagnolo (fatta eccezione per l’Uruguay). Se il Martín Fierro, il poema epico di José Hernández scritto nel 1872, che celebrava lo stile di vita dei gauchos nei territori della Pampa, ha rappresentato il mito della identità argentina, questa ha finito per fondarsi e svilupparsi sulle radici europee della stragrande maggioranza del suo popolo.

E di questa consapevolezza gli altri paesi dell’America latina gliene hanno sempre fatto una colpa, quasi imputandogli una sorta di senso di superiorità, di pretesa di maggiore civiltà. Un’accusa recentemente riproposta nel delirio politicamente corretto del Washington Post, che ha puntato il dito contro l’Argentina, giudicata razzista per non aver schierato giocatori di colore nella sua Selección.

Un’America Europea

Il governo federale incentiverà l’immigrazione europea” stabiliva la prima parte dell’articolo 17 della carta costituzionale del 1949, quella varata durante il governo peronista. Oggi le cose sono cambiate, i sensi di colpa hanno portato alla rimozione della statua di Colombo, alla riformulazione dell’anniversario del 12 ottobre, data della scoperta dell’America, da Día de la Raza (in realtà, della nuova razza sorta dall’incontro dell’elemento europeo con quello indigeno) a Día del Respeto a la Diversidad Cultural,  all’accoglienza di indio boliviani e peruviani.

Ma l’Argentinidad, sia pur sotto assedio, rimane e si manifesta nei momenti di compattamento, si tratti della sacrosanta rivendicazione dei diritti di sovranità sulle Malvinas o di un più banale mundial. Oggi declinata nel ritornello cantato dai tifosi della Albiceleste, intitolato Muchachos.

Muchachos

Con le sue parole di passione sportiva e patriottica: « En Argentina nací, tierra de Diego y Lionel / de los pibes de Malvinas que jamás olvidaré ». Sono nato in Argentina, terra di Diego e di Lionel / dei ragazzi delle Malvinas che mai dimenticherò.

Il ritornello farà forse storcere il naso all’intellettualume di ogni colore, per il quale il sentimento populista ha lo sgradevole odore di sudore degli spogliatoi.

Si rilassino, i signori intellettuali, nessuno metterà mano alla Luger, basterà una pallonata.