Il consumatore consumato

Il consumatore consumatoIl consumatore consumato – Dopo una giornata di studio immerso nel pensiero filosofico di Alberto Magno, e dopo una estenuante lettura in merito al rapporto tra l’umanità – perfetta – dell’essere animale razionale e l’animalità – imperfetta – degli esseri animali non razionali all’interno di un quadro gerarchicamente pensato, una macrostruttura metafisico-teologica, decido di concedermi una distrazione dai libri – stordenti anch’essi! – bevendo e pasteggiando nel bar sotto casa.

Uno svago semplice, rilassante e al contempo fruttuoso!

Chiacchere da bar

Nel mentre gusto una abituale bevanda al gusto di Campari, mi lascio trasportare dai primi gradevoli e spensierati effetti dell’alcool e da quelle che in gergo si definiscono “chiacchere da bar”.

Il tema delle “chiacchere” in questo caso verte sui costi spropositati di componentistiche meccaniche – e non solo – di automobili e il costo della relativa manodopera meccanica per la loro manutenzione, e ad un tratto mi ritrovo a parlare di un elemento fondamentale dell’auto: la batteria.

E il proprietario del bar, si lamenta che la batteria della sua auto l’ha lasciato a piedi per la quarta volta nel giro di tre anni, e questa volta non è nemmeno valso lo sforzo di ricaricarla, maledicendo stupito di come sia possibile che una batteria acquistata soltanto tre anni fa sia già a terra, scarica, inutile e da sostituire e “con quello che costano oggigiorno!”, dice.

Man mano che il dibattito si accende e prende le direzioni più disparate, la testa è ormai leggera e il flusso di pensieri mi trasporta sopra una considerazione che cerco di fare mia imbrigliandola per poi svilupparla. E inizio a vedere la batteria, oggetto vitale per le automobili che impieghiamo quotidianamente, come metafora della nostra esistenza nella società consumistica.

Penso che non sia soltanto la batteria a ‘durare’ poco nel tempo, ma sono tanti gli oggetti ad avere vita breve, ed essi sono il frutto di una società che studia, progetta, plasma e produce oggetti il cui destino materiale è deperire nell’arco di un periodo medio-breve.

La società consumistica

Gli oggetti che il nostro modello di società produce e propina a noi, consumatori prima di tutto e poi individui, hanno un’aspettativa di vita corta, futile. E mentre penso alla durata relativamente breve della batteria dell’auto, inizio anche a pensare che non sono esclusivamente questi oggetti a deperire e a consumarsi, ma in egual misura si deteriorano i suoi fruitori, cioè noi consumatori, che subiamo per riflesso questo deterioramento diventando consumatori consumati. Una forma di deterioramento che non avviene nella configurazione esterna del consumatore/individuo, bensì nella parte interna del corpo, ovvero nello spirito dell’essere razionale che ne risente e viene inficiato dalla fugacità che lo circonda.

Questo modello di società dimostra un atteggiamento e un approccio alla vita che delinea l’assenza di un concetto: eterno.

Diversamente, se nella forma mentis dell’ambiente in cui viviamo ci fosse un’idea del concetto di ‘eternità’, se pur sotterranea e non esplicita, avremmo potenzialmente come effetto una propensione ad un’esistenza che cammina in direzione di un orizzonte la cui prospettiva concepisce la ‘solidità’ e la ‘durata’ della vita, pilastri funzionali allo slancio verso un obbiettivo: conquistare la vita stessa e non limitarsi a consumarla.

E questo lo possiamo vedere nelle architetture – spesso fatiscenti – che la modernità concepisce. Quelle strutture che formano e abitano i nostri centri urbani, infrastrutture i cui scheletri di acciaio e cemento sono vuoti di quell’idea di conservazione nel tempo, proprio perché assente l’idea di imperituro, che una civiltà come quella dell’antica Roma testimonia ancora oggi dopo millenni.

Dunque, consumare per consumare.

Consumare per vedersi consumati. Quale altra potrebbe essere la prospettiva, se non consumare per soddisfare esclusivamente l’immediato, subitamente pronto a svanire nell’atto? È una condizione degradante che vede l’animale razionale – perfetto secondo la visione albertina – prosciugarsi in virtù della sua stessa razionalità che l’ha condotto a realizzare il migliore dei mondi possibili dove il consumo è al contempo atto fondativo e identità di ciascuno di noi.

E dal sudiciume della catena di montaggio che produce senza sosta l’usa e getta, ci sentiamo superiori rispetto al mondo animale, alla natura, innalzandoci con superbia rispetto alla più piccola ape, pronti a calpestare qualsiasi dimensione che non contempli la logica del consumo, poiché tutto si deve e dev’essere omologato.

L’uomo moderno non riesce a concepire la natura come macchina perfetta scevra dalla logica del consumo, quasi la invidia, e questa visione gretta e meschina lo priva di prospettive che vadano oltre il suo naso o al massimo non superano l’estremità della propria forchetta quando va per imboccarsi.

Dunque, che cosa rimane? Rimane la prospettiva di un’esistenza inquadrata in un divenire esclusivamente destinato a reiterare il consumare per consumarsi lentamente e poi spegnersi, proprio come una batteria.