Il lessico egemonico della sinistra

Il lessico egemonico della sinistra

 

Il lessico egemonico della sinistra – Nel Medioevo si ebbe la disputa tra i nominalisti e i realisti. Per i primi un concetto universalmente inteso non è reale, ma un mero flatus vocis.

O come sostenne, con più moderazione, un Guglielmo da Occam: gli universali hanno solo un valore convenzionale, di segno.

Da qui il nominalismo, che si opponeva tanto alla metafisica aristotelico-platonica, quanto al realismo di San Tommaso.

Quest’ultimo attribuiva in primis valore all’oggetto, alla cosa reale.

Rappresenta però il punto di partenza per astrarre da esso i concetti che, a differenza dei nominalisti , hanno piena corrispondenza con il reale.

Non sono artefizi della mente umana.

Il nominalismo della sinistra

La sinistra, il PD e tutto il cucuzzaro woke, nel proprio improbabile lessico, attinge appieno dal nominalismo.

Nel senso che coniano termini e concetti indimostrabili, avulsi dal reale. Ma hanno la capacità di dogmatizzarli nel campo politico e mediatico.

Questo anche con una buona dose di superbia sofistica. Per loro, quindi, non v’è nulla da dimostrare maieuticamente: è già vero in sé, poiché’ formulate dalle loro bocche sante.

Su tale assunto hanno edificato, anche con l’uso della violenza, decenni di boriosa egemonia culturale.

È sempre bene ricordarlo.

Tra i termini più inflazionati adoperati dalla Schlein e compagnia cantante abbiamo quello dell’inclusività.

Fino a qualche decennio fa se ne parlava solo in proposito all’ingresso dei disabili nella didattica ordinaria.

E fin qui nulla da eccepire.

Oggi, tuttavia, con una maestria subdola, né hanno ampliato il significato estendendolo in modo arbitrario e protervio a diverse categorie. Abbiamo, ad esempio, il maldestro tentativo di uniformare le classi multietniche.

Integrazione vs inclusività

Se prima il concetto tirato in ballo era quello di integrazione, che perlomeno alludeva alla volontà di inculcare nello studente straniero la base della nostra cultura nazionale, oggi con l’inclusività avviene l’esatto contrario.

Sono gli studenti autoctoni a dover rinunciare alla propria identità d’origine per assimilarsi agli altri. Insomma, il nominalismo inventa il concetto, non lo astrae dalla realtà, ma lo applica alla realtà stessa distorcendola (il cartesiano cogito ergo sum).

La faccenda di alcune scuole è paradigmatica a riguardo, dove in nome del principio di inclusività si escludono altri elementi.

Siano essi crocifissi, presepi dalle aule.

Siano bistecche di maiale dalle mense.

La dottrina gender

L’estensione della propaggine inclusivista non finisce qui.

Se il DDL Zan è naufragato in Parlamento, la dottrina gender – altro falso mito di progresso come direbbe il buon Battiato – entra negli istituti scolastici dalla porta di servizio.

E ancora una volta, mediante il concetto di inclusività, le docenze impegnate combattono la disparità di genere. Che diventa di punto in bianco, con un abile esercizio retorico, disforia di genere. E il gioco è fatto.

Chi ha orecchie per intendere, intenda. E le nostre si spera abbiano sensibilità sufficiente per captare gli inganni occultati dietro le parole d’ordine della sinistra.

La fluidità

Oggi trapela dalle loro lingue biforcute il termine fluido. Esso inerisce etimologicamente a qualcosa che scorre, al panta rei di Eraclito.

Segno evidente della loro inclinazione al cambiamento continuo, al sovvertimento della natura delle cose.

Non solo il gender fluid, dove non si danno più riferimenti alla propria sessualità.

Per cui si avranno bagni neutri, vocali neutre, abbigliamento unisex etc…

Ma anzitutto una società fluida, transumanista e globale, in cui ogni identità risulta evanescente in confronto all’oceano informe e, appunto, liquido che tende a sommergerla.

Non stanno al governo, ma vincono sempre

E impongono nominalisticamente tutto ciò che è funzionale alle loro visioni sfaldate.

Ecco allora che i clandestini non sono più tali, ma diventano dolcemente migranti. Al concetto di invasione, proiezione di una realtà palese e percettiva, fa posto quello illusorio di accoglienza.

L’utero in affitto assume i contorni indefiniti di una maternità surrogata, anche questo frutto di un nominalismo privo di ogni supporto reale.

Ancora più ingannevole l’idea di una transizione energetica, le cui prospettive rimangono ignote circa la possibilità di una futura autosufficienza.

Financo a destra si finisce, per una sorta di sudditanza ideologica, di cedere al nominalismo di sinistra pescando dal repertorio dialettico degli avversari.

Almirante ebbe a dire che “quando vedi la tua verità fiorire sulle labbra del tuo nemico, devi gioire, perché questo è il segno della vittoria”.

Stando ai fatti, di fronte a questa pervadente egemonia, siamo ben lontani da quel radioso momento.

Mario Pucciarelli

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