L’Antimafia torna sul delitto Pasolini

L’Antimafia torna sul delitto PasoliniL’Antimafia torna sul delitto Pasolini – La solita, nemmeno inedita, in questo caso, puttanata – il lettore ci perdonerà il termine scurrile, ma altri adatti non ne esistono – per iscrivere Pier Paolo Pasolini nel “pantheon” dei “martiri” della Sinistra, assassinati da chissà quale “spectre” criminale ed eversiva.

La Magliana tira sempre

La commissione Antimafia del Parlamento, nella scorsa legislatura, avrebbe analizzato e illustrato come probabile la tesi, già avanzata diversi anni or sono, di un vero e proprio agguato mafioso – col concorso dell’immancabile banda della Magliana -, nell’ambito di un ricatto legato al furto delle “pizze” originali di “Salò”. E lo ha messo nero su bianco, la commissione Antimafia, nella relazione appena depositata agli atti dell’istituzione legislativa repubblicana.

I commissari, per non incorrere oltre modo nel ridicolo, hanno precisato: “appaiono ormai del tutto improbabili soluzioni di carattere giudiziario, ma resta utile, in prospettiva storica”. Un modo furbo per non sottoporre a un vaglio serio la tutt’altro che nuova ipotesi sul delitto del regista e scrittore bolognese, spalancando il campo a qualsiasi congettura fondata non già su carte di un qualche valore probatorio, ma sulle mere convinzioni che traggono la loro forza dal gradimento del main-stream.

La morte di Pasolini ha un solo e unico mistero, per chi ha studiato le carte processuali: come sia mai stato possibile chiedere tante e tante volte la riapertura del caso, non ostante la Procura di Roma, guidata negli ultimi trent’anni da procuratori di diversa estrazione politica e di spesso di grande valore professionale, abbia rigettato costantemente queste stesse richieste, rilevandone la inconsistenza.

Pasolini e il PCI

Peraltro, non se ne comprende la ragione recondita, di questa insistenza di una parte della Sinistra nel pretendere che Pasolini sia morto diversamente da come morì, se non nella misura necessaria a far scordare come fosse stato proprio il Partito comunista, fin dalle prime ore di quel tragico 2 novembre 1975, a stigmatizzare con parole non certo esaltanti la morte dell’intellettuale.

Coloro che conservano memoria degli articoli de l’Unità di quei giorni hanno un moto di ilarità amara, nel vedere tanto affannarsi nella ricerca di una verità alternativa… alla verità. Chi non fosse convinto della versione emersa dai processi che condannarono Pino Pelosi, può acquistare una copia del miglior libro mai pubblicato sull’omicidio di PPP, quello della Kaos edizioni in cui non si formularono teorie di alcun tipo, ma furono messi a disposizione del pubblico molti atti della prima inchiesta, a partire dalle testimonianze di Ninetto Davoli, a cena con Pasolini la sera dell’1 novembre, e del titolare del “Biondo Tevere”, il ristoratore amico del poeta che fu l’ultimo a vederlo vivo, quando la notte aveva fatto segnare al calendario il giorno 2.

Basta incrociare quelle due deposizioni raccolte “a caldo” dagli inquirenti – e mai ritrattate dagli interessati – per farsi un’idea delle idiozie di cui oggi parlano i giornali e di cui devono aver discusso i parlamentari della scorsa legislatura. Di più non ha senso dire, perché il di più, in questo come in altri casi che vedono agire la corrente necrofilo-giudiziaria della Sinistra, è del Maligno.