L’attentato contro Susanna Schlein. Considerazioni a margine

L'attentato contro Susanna Schlein. Considerazioni a margineL’attentato contro Susanna Schlein. Considerazioni a margine – Ha una matrice ideologica ben precisa l’attentato compiuto contro la vettura del primo consigliere dell’ambasciatrice italiana ad Atene, Susanna Schlein, sorella di Elly Schlein, pretendente alla segreteria nazionale del PD. “Carlo Giuliani revenge nuclei”, è la sigla utilizzata da un gruppo anarchico come atto di solidarietà al detenuto Alfredo Cospito, leader dell’anarchismo italiano, detenuto in regime di 41 bis a Sassari poiché accusato di diversi reati, tra cui la gambizzazione di un dirigente dell’Ansaldo Nucleare e un attentato alla Caserma degli Allievi Ufficiali Carabinieri di Fossano qualificato come strage poiché, pur non avendo provocato vittime, sarebbe stato però idoneo a mettere a rischio la vita e l’incolumità delle persone.

Un passato di sangue

Da troppo tempo si è persa la memoria della capacità dinamitarda degli anarchici, i veri promotori, senza mai averlo rinnegato, anzi spesso facendosene un vanto, di questa triste metodologia di lotta politica iniziata negli ultimi due decenni del XIX° secolo sino alla fine degli anni Sessanta, quando il movimento anarchico italiano cessò di colpo ogni attività violenta.

Gli anni Sessanta registrarono una quantità spaventosa di attentati di quella matrice. A Pietro Valpreda fu inizialmente attribuita la strage di Piazza Fontana che la logica politica della “trame nere” spostò poi sull’estrema destra, fino al punto che Freda e Ventura – assolti per la bomba del 12 dicembre – furono condannati per attentati minori dell’aprile del 1969 che alcuni militanti anarchici avevano addirittura confessato.

Il rimando a Carlo Giuliani

Fatto sta che il richiamo a Carlo Giuliani – il giovane ucciso durante gli scontri del G8 a Genova da un carabiniere, poi prosciolto per uso legittimo delle armi – ha un significato che va oltre la memoria di quel ragazzo. Dobbiamo infatti tornare indietro di oltre mezzo secolo, precisamente al 2 settembre 1970, quando una VolksWagen maggiolino che trasportava un’autobomba, con a bordo la zia di Carlo Giuliani, Elena Angeloni, e uno studente cipriota, saltava in aria per un difetto d’innesco prima di essere parcheggiata davanti all’ambasciata statunitense ad Atene, luogo destinato a un’esplosione che avrebbe potuto coinvolgere anche innocui passanti.

Il silenzio del PCI

L’azione avrebbe dovuto costituire una protesta contro il regime dei colonnelli. Essendo quindi di matrice “antifascista”, la sinistra italiana o tacque o, addirittura, celebrò la morte della Angeloni come un vero e proprio “martirio”. Un piccolo esempio di come, in quegli anni, la Sinistra – che significava PCI, strettamente legato all’Unione Sovietica la quale lo usava come strumento di penetrazione in Italia e nel mondo occidentale – pur non appoggiandola apertamente, quand’era il caso tollerava e giustificava la violenza politica.

Quello stesso PCI che iniziò proprio allora a battere una via giudiziaria verso quel potere che, invece, non riusciva a cogliere elettoralmente e poi mantenuta dal suo successivo apparato pidiessino o diessino. Sostenendo che la sconfitta delle forze progressiste, sindacali e politiche, sarebbe stata determinata dal terrorismo fascista, fin dalla bomba alla Banca dell’Agricoltura, funzionale ad una strategia che vedeva uniti fra loro organismi dello Stato, organizzazioni occulte e vertici della Nato.

La magistratura a senso unico

Che era ed è ciò che realmente interessa alle toghe scarlatte e ai giornalisti e opinionisti “pistaroli”. Chiamate sbrigativamente “fasciste”, le stragi per loro erano in realtà “atlantiche, piduiste, democristiane, conservatrici”. Dei fascisti, in sé, a questi non fregava nulla, se non di sponda.

Una via che ha dato alla sinistra abbondanti frutti in termini di ricostruzione storica e politica degli avvenimenti italiani. Propagandata a tambur battente grazie alla complicità di certa magistratura e di quasi tutta la stampa, non ha trovato nessuna barriera capace di contrastarla e oggi quella ricostruzione è comunemente accettata, anche in ambienti di destra dove in tanti abboccano come sardelle, in egual misura, alle rune uncinate del battaglione Azov o all’idea che gli Stati Uniti siano responsabili di tutte le malefatte dell’universo, a partire da Caino. Interessa però a qualcuno, nell’anno di grazia 2022, chi abbia messo le bombe e perché, quaranta o cinquanta anni fa? Probabilmente no, è storia passata, tutto alla fine viene digerito.

Le origini della “lotta armata”

Eppure, l’accanimento di certa magistratura nel voler raschiare il fondo del barile, cercando con istruttorie e processi vergognosi di mantenere viva la teoria dello stragismo di stato deve far riflettere.

Non si potrebbe trattare di un fuoco di sbarramento capace di stordire e impedire che si indaghi sulle reali origini della lotta armata negli anni Sessanta e Settanta? Si tratta di una chiave di lettura, certamente non esclusiva ma assolutamente realistica. Pensate, del periodo tragico degli anni di piombo, le commissioni parlamentari si sono occupate delle stragi e del caso Moro, però mai si è dedicato alcun approfondimento alle organizzazioni, ai delitti, alle strategie delle bande armate di matrice marxista-leninista – o a quelle anarchiche anteriormente – che tanto sangue hanno sparso.

C’è pure una piccola prova del nove. È scomparsa dalla memoria collettiva la strage di Fiumicino del 17 dicembre 1973, dimenticata dalle istituzioni, mai oggetto di commemorazione e ricordo. Perpetrata da terroristi palestinesi che ammazzarono trentaquattro persone innocenti. Al netto delle ragioni di quel popolo – che sono tante – chiedetevi chi era, in Italia, in nome della logica della guerra fredda, il loro nume tutelare, la loro sponda politica. Vi do un aiutino: i loro dirigenti si recavano regolarmente a Mosca a leccare i deretani dei membri del Soviet supremo per raccattare i soldini.