Le percentuali del pericolo

Le percentuali del pericoloLe percentuali del pericolo – La matematica non è un’opinione e il raffronto fra alcune percentuali svelano il grado di (in)coerenza delle misure che, a seconda dei casi, sono applicate alle materie su cui esse intervengono.

Cominciamo da quelle relative alla pandemia provocata dal Covid. I dati a noi forniti ci dicono che, a fronte di 25 milioni e 600.000 persone che si sono infettate nel nostro paese, 188.000 hanno trovato la morte. Quest’ultima cifra, è ormai chiaro a tutti, è errata per eccesso poiché, per ragioni legate ai rimborsi a cui avevano diritto i presidi ospedalieri che ricoveravano malati di covid, sono stati censiti come deceduti a causa del coronavirus persone che sono morte ammalate con quell’infezione ma non come sua conseguenza.

Mantenendo tuttavia questi dati, ci risulta una percentuale pari allo 0,73%, che si abbassa di oltre la metà se prendiamo in considerazione l’intera popolazione residente nella penisola, ossia circa lo 0,32% che è la misura corretta visto che il rischio paventato non risparmiava nessuno.

Adozione di misure drastiche per combattere la pandemia

Sulla base di questo tasso di mortalità, i governi in carica hanno imposto provvedimenti e limitazioni ignoti a tutto il mondo (Cina, forse, esclusa) addirittura colpendo fasce di lavoratori che non intendevano sottoporsi a una vaccinazione dei cui effetti collaterali, oggi, si sta aprendo un’ampia discussione.

Misure da più parti definite addirittura incostituzionali e che i giustificazionisti hanno ritenuto legittime sulla base del rischio del contagio e dei suoi effetti mortali.

Un altro flagello – quello del Covid, comunque la si pensi, lo è stato – sta, da ormai vent’anni, abbattendosi sui mari italiani, quello delle morti di tanti immigrati diretti verso le nostre coste.

Le percentuali dei morti in mare

Secondo dati ufficiali, nel 2022 sono sbarcate in Italia oltre 104.000 persone ma 1377 sono morte o disperse, con una percentuale pari all’1,3%.

Partendo invece dal 2014, risultano sbarcate sulle nostre coste 864.500 persone con un bilancio, fra morti e dispersi, di quasi 25.000, ciò che significa una percentuale pari al 2,8%, definibile come il tasso di rischio medio nell’attraversamento delle acque del mediterraneo centrale da dieci anni a questa parte.

Una media-rischio quasi dieci volte superiore alla mortalità del Covid nei confronti della popolazione italiana.

Chiacchiere o misure drastiche per evitare morti in mare?

Eppure, non ci sembra che rispetto a questa emergenza di carattere umanitario sia posta sul tavolo della discussione la prospettiva di misure forti e decise.

Dalle forze di sinistra non possiamo certo aspettarci rigore nei confronti di un fenomeno che, essendo portatore di caos e di argomenti politici vantaggiosi, fa il loro gioco.

Ma da un governo di segno contrario, allo stesso modo in cui il sistema ha preteso e imposto, in nome del diritto alla salute, una legislazione emergenziale, così, in nome del diritto alla salute e alla vita di chi le mette a rischio – e in misura dieci volte maggiore – attraversando il mare, è doverosa una presa di posizione di pari segno.

Senza il solito timore reverenziale nei confronti della sinistra e della solita informazione conformista, senza adottarne il linguaggio, senza tentennamenti. Dichiarando, ufficialmente, che il salvataggio in mare è un dovere ma l’accoglienza di chi non è profugo no. Si parta da questa semplice distinzione, da questo preliminare chiarimento.

Sarebbe già un primo passo per scoraggiare le vittime dei mercanti di carne umana.