Quando i nemici sono i liberali

Quando i nemici sono i liberali-1Quando i nemici sono i liberali – La nostra è, da un lato, la società del nichilismo, e dall’altro quella dell’intrattenimento. Messi assieme danno origine a devianze che, spesso, escono dai parametri della logica e del sentire comune, divenendo distopiche, surreali. L’inversione di Bene e Male è la quinta colonna della globalizzazione. Oggi, essere “alternativi” significa essere brutti, dentro e fuori. Al contrario questi poveretti hanno creato il loro Dio nella trasgressione, che deve assolutamente essere, non solo accettata da tutti, ma tutti dovrebbero esser grati a questi radical chic per averci tolto dalla schiavitù del patriarcato.

Le catene invisibili

Non si rendono conto – i poverini – che così facendo, si liberano della tradizione, annullano la loro identità e amano essere schiavi del politicamente corretto. Si sentono liberi ma non vi è più servo di un globalista, che anche solo adeguandosi al male corrente, fa vincere i padroni di questo e dell’altro mondo.

Come è tipico dell’animo germanico, cioè di quello più autenticamente europeo, la visione del mondo che rende unico l’uomo della Tradizione è intrisa di sogni, di figure mitiche ed eterne, quali il guerriero, l’eroe e il cavaliere, tutti protesi a principi senza tempo, che appartengono alla categoria soprannaturale, spiritualmente totalizzante, nella difesa di ciò che è Bene e intrinsecamente bello, perché i figli della Luce accecano i figliocci delle tenebre. Ecco, allora, che domina una visione anche tragica dell’eroismo, quella del combattente che affronta un nemico che dispone di forze sproporzionatamente maggiori, che sa di essere destinato alla morte o alla sconfitta, ma che nondimeno conosce il suo dovere e lo compie fino in fondo, sino all’annullamento di sé nel conflitto. In questa sconfitta sta la vittoria dell’eroe, nel sacrificio estremo pur di essere fedele alla propria visione, al comando ricevuto, al voto di lealtà e alla propria terra.

L’esempio di Primo de Rivera

La politica, per José Antonio Primo de Rivera è insieme dottrina e missione, azione e ascesi, riassunta in una concezione “militare” della vita, la cui distruzione venne dal pacifismo, branchia vile del progressismo militante.

Primo Siena, in “Scritti e discorsi di battaglia” (ed. Settimo Sigillo, 1993) racconta come per Rivera non valga ciò che appare, ma ciò che è: l’essere è la radice dell’esistere.

Seguendo la lezione tomista, si riconosce l’uomo come un composto di spirito e materia in cui il corpo è dato dalla materia e l’anima spirituale è l’atto del corpo che comunica alla materia corporale l’essere in cui sussiste, dando luogo ad un’unione sostanziale che è una vera unità vivente.

Ma l’anima umana non si immerge totalmente nel corpo; anzi, intellettivamente lo trascende perché possiede il senso dell’universale e dell’eterno. Questa concezione è andata persa completamente dai più, che sono zombie col codice a barre sulla schiena, tanto quanto essi sono felici di definirsi cittadini del mondo, perché non hanno la loro Nazione come “unità di destino universale”.

Recuperare l’insegnamento di S.Tommaso

Nella concezione democratica liberale, sebbene sia in realtà un’oligarchia di poche famiglie, in una ignobile plutocrazia globale, si usa la comunicazione pubblica per far credere alla gente che essa è divenuta da suddita a cittadina, cioè è passata “dalla tirannia di un governante alla tirannia delle assemblee”.

Ma dal XIII secolo – il secolo di S. Tommaso d’Aquino – sale fino a noi una lezione classica: la sovranità si giustifica più con il suo fine che con la sua origine. E il fine della sovranità è il “bene comune”, cioè l’essenza del bene di tutti.

Se il globalista ama il caos e confonde la libertà con il fare ciò che si vuole e non ciò che si deve, l’uomo della Tradizione ha una costante disposizione dell’anima a fare il bene. San Pio X ci ricorda che, oltre alle virtù naturali, ci sono quelle soprannaturali che non possiamo esercitare con le nostre sole forze, ma ci vengono date da Dio, e sono virtù proprie del cristiano. Le principali virtù morali sono: la religione, che fa rendere a Dio il culto dovuto e le 4 virtù cardinali: prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, che fanno onesti nel vivere.

Soggettivismo

È evidente che il cristiano non può essere anche liberale, perché il liberale non ha un vero rispetto per la Vita, è soggettivista e relativista del bene e anche del male. Anzi, generalmente mette ai voti il male, quando sa di poter vincere, dopo aver corrotto a sufficienza la società.

San Tommaso scrisse che “quando i ricchi consumano per i loro fini personali, il sovrappiù necessario alla sussistenza dei poveri, essi li derubano”.

Ai liberal interessa qualcosa dei poveri? Soros e Schwab sono freddi speculatori sulla pelle dei popoli o sono dei devoti benefattori dell’umanità? La risposta è semplice e chiara, ormai, a tutte le persone in buona fede. Perciò, abbiamo individuato i nemici.

Ciascuno faccia la sua parte per ribellarsi al loro Sistema, perché la Sovversione dell’ordine naturale venga schiacciata, come San Giorgio trafisse e uccise il drago.

Matteo Castagna