Rampini e gli USA fuori dal paradiso

Rampini e gli USA fuori dal paradisoRampini e gli USA fuori dal paradiso – SI è parlato poco e non sempre approfonditamente di “Suicidio occidentale”, il libro in cui Federico Rampini – giornalista e intellettuale di ammessa origine marxista – è costretto dalla realtà americana in cui vive da anni a mutuare parole, argomenti e analisi che, almeno in Italia, sarebbero patrimonio esclusivo della Destra.

Grottesche conseguenze

Al centro di questa sua fatica letteraria, le grottesche conseguenze dell’ideologia anti-razzista americana: i fenomeni del Black lives matter; del 1619 Project e di tutto ciò che ha determinato – specialmente nelle classi ricche e radicali dello establishment americano, nei santuari del Partito democratico – l’insorgere di una crociata contro i bianchi, la cultura occidentale e tutto ciò che i banchi avrebbero rappresentato nella storia dell’umanità.

Estreme conseguenze

Tanti e diversi argomenti sui quali meriterà tornare specificatamente, ma che, nella trattazione di Rampini, trovano un evidente e insormontabile ostacolo nello stesso paradigma culturale che lo scrittore utilizza per analizzarli e criticarli. Un paradigma insufficiente in quanto è lo stesso che è stato seguito, rispettato e semmai portato alle estreme conseguenze da coloro che hanno permesso l’insorgere di quei fenomeni che ora allarmano lo stesso Rampini.

In estrema sintesi, nel rilevare come il “razzismo” e il conseguente “schiavismo” siano stati elevati a parossistici metri di misura di ogni modo di ragionare, di pensare, di giudicare negli Stati uniti, deducendone necessariamente una condanna radicale e definitiva a carico dell’intera cultura occidentale.

Rampini lamenta: “Le rivolte degli schiavi, che esistono almeno dai tempi di Spartaco nell’antica Roma, solo con le idee dell’Illuminismo europeo ricevono una legittimità universale”.

Il giacobino incompreso

Il senso è chiaro: le minoranze etniche – ma anche sociali e sessuali – che oggi si scagliano contro la cultura in cui sono cresciute, non si accorgerebbero come il germe della loro stessa libertà allignerebbe, invece, proprio nel momento più alto della sua manifestazione terrena e concreta: la Rivoluzione del 1789, intesa come inveramento della filosofia dei lumi che, dal Seicento in poi, avrebbe spazzato dal cielo dell’Europa le nubi nere dell’oscurantismo medievale.

Se l’America ha avuto e deve scontare l’onta di un secolo e passa di schiavismo, insomma, non potrebbe e non dovrebbe lavare la macchia, rigettando tutta la cultura liberaldemocratica che, dallo sbarco di Plymouth mise radici nel Nuovo continente, bensì ritrovare in quella stessa cultura le sue nuove ragioni, i suoi nuovi equilibri.

La rappresentazione falsa del passato

Peccato, però, che sia esattamente quello che stanno facendo, a dispetto della disapprovazione di Rampini, proprio i nuovi e sempre più implacabili inquisitori del Politically correct.

Cosa fu, infatti, l’89 di Francia – e la filosofia dei Lumi – se non la rappresentazione falsa, macchiettistica e strumentale di un passato, in particolare del Medioevo, per creare lo spazio dove creare un mondo regolato da principi non nuovi, ma opposti a quelli che fino a quel momento avevano ispirato le genti e le classi dirigenti europee?

E ancor più in particolare, i principi e i capisaldi di quella fede additata come l’origine d’ogni male: il Cristianesimo cattolico?

I “Decaloghi” rivoluzionari

L’89 non fu solo una rivoluzione concreta – la distruzione dell’Ancien regime a Parigi e l’affermazione al potere di una parte della classe borghese -, ma anche una rivoluzione, forse ancor più̀ profonda, nel rapporto tra cultura e politica, dove la prima si assunse il compito di distruggere i capisaldi spirituali del vivere civile, al fine di consentire alla seconda, a nuovi Soloni, a nuovi Mosè, a nuovi “decemviri” di dettare leggi nuovi, decaloghi inediti, di scolpire tavole per l’adorazione e l’imposizione di nuovi stili di vita. Invece, fu la civiltà cattolica ed europea del Medioevo – quella da cui erano fuggiti i padri pellegrini e contro la quale si scatenò feroce l’odio, non solo intellettuale, degli illuministi -, pur dopo un lungo e inevitabile processo storico di affrancamento dai costumi del suo passato – a riscoprire per tutta l’umanità l’esistenza di un Paradiso di uomini liberi e uguali.

Chi è di Bologna, con giusto orgoglio, afferra al volo perché si usi qui la parola Paradiso!

Perché Liber Paradisus è quel volume notarile in cui è scritto il primo atto di affrancamento degli schiavi nella storia dell’uomo, atto politico e formale di un’entità pubblica che bandì – una volta per tutte – l’assoggettamento dell’uomo da parte di altri uomini a fini economici.

E fu un bando, quello sì, completo e assoluto, laddove, dopo aver riacquistato alla libertà i servi della gleba, pagandoli 8 (i bambini) e 10 (gli adulti) lire, maschi o femmine che fossero, si stabilì che <in futuro qualcuno che sia oppresso da una qualche forma di servitù osi stabilirsi nella città o nella diocesi di Bologna, affinché la comunità degli uomini, liberi per natura o dopo il riscatto, non possa essere nuovamente corrotto dal germe di una qualche servitù>.

Dunque, non solo una libertà assoluta nelle istituzioni, ma anche degli uomini nelle istituzioni e nel tessuto sociale.

E non dall’asservimento propriamente detto e basta, ma una “una qualche”, cioè: qualsiasi “forma di servitù”, a partire, quindi, da quelle mentali e culturali.

Le avanguardie “femmimaniache”

Non è un caso, allora, come lo stesso Rampini è costretto a registrare, che gli attacchi più feroci – in particolare quelli delle avanguardie femmimaniache (femministe non rende più il senso), gay e Lgtb – siano indirizzati alla famiglia, alla sua dimensione tradizionale, alla Chiesa di Roma e a ciò che la Chiesa ha rappresentato e rappresenta non solo per lo spirito e la fede dei credenti, ma per la Cultura – qui la maiuscola diventa obbligatoria – dell’Occidente.

Nei secoli la stessa dissoluzione

Ma se le avanguardie delle minoranze etniche e sessuali sono maggiormente aggressive di quanto non lo siano stati gli epigoni dell’illuminismo del XIX e del XX secolo, ciò non toglie che lo stile sia sostanzialmente lo stesso. I Rampini che si pentono di come sia degradato il pensiero da cui loro stessi hanno tratto linfa per decenni non capiscono che si tratta solo un più intenso stadio di degrado, perché l’Illuminismo stesso fu un degrado rispetto al Pensiero occidentale che, da Platone fino al Sei/Settecento e, grazie a Dio, anche dopo il Settecento (con punte straordinarie nel Ventesimo) aveva illuminato il mondo e informato la Civiltà mondiale.