WORDS, WORDS, WORDS…

Words Words Words-2WORDS, WORDS, WORDS… La risposta di Amleto a Polonio, che gli chiedeva cosa stesse leggendo – “words, words, words…”, ossia parole vuote, senza costrutto – esprime meglio di qualsiasi altra definizione ciò che la politica oggi pare in grado di offrire.

Parole, parole, parole.

Soltanto parole, dunque, l’impegno che era stato assunto, con risolutezza, su un tema importante, la madre di tutte le battaglie per la giustizia giusta, ossia la separazione delle carriere tra magistrati giudicanti e inquirenti/requirenti, ossia fra chi esercita la funzione di pubblico ministero e chi ha invece il potere di decidere.

Evitare le grane

Che, pare, non rappresenta più una priorità per il governo, nonostante le parole (words, words…) pronunciate dalla premier Giorgia Meloni la quale aveva promesso, nella conferenza stampa di fine anno, che quell’obiettivo sarebbe stato realizzato nel giro di pochi mesi.

“Il Dubbio”, quotidiano legato al Consiglio Nazionale Forense, ben informato sulle cose della giustizia, riferisce che voci di palazzo indicano che in Fdi si covano perplessità nei riguardi di quella riforma, motivate dal timore di creare strappi con la magistratura. .

Non è cambiato molto da quando, nei governi di centrodestra, Alleanza nazionale tirava il freno a mano quando si trattava di seguire Berlusconi sulla via di radicali riforme della giustizia.

Le riforme che non servono

Così, mentre sono entrate recentemente in vigore, grazie alla riforma Cartabia, norme che creano meccanismi processuali farraginosi e istituti che si riveleranno inutili, quelle promesse, e non solo la separazione delle carriere, aspettano ancora di vedere la luce.

Pensiamo al tema delle intercettazioni telefoniche, a quello riguardante i criteri per stabilire le priorità nell’esercizio dell’azione penale e, last but non least, l’emanazione dei decreti attuativi sulla riforma del Consiglio Superiore della Magistratura e dell’ordinamento giudiziario, in procinto di essere prorogata.

Diceva Foscolo…

C’è poco da fare; il partito dei giudici non molla l’osso e se un governo che gode di una maggioranza così ampia (anzi ampliata, poiché in questo iter troverebbe anche l’appoggio renziano) non ha la forza di mettere mano a radicali riforme su un tema così importante, allora significa che non vi è al suo interno reale volontà di cambiamento istituzionale e sociale.

I rapporti fra politica e magistratura, i limiti che essa deve iniziare a rispettare nell’applicazione delle leggi, una normativa che, finalmente, permetta di sanzionare gli errori gravi dei giudici; tutti temi sentiti non solo dagli addetti ai lavori ma dal comune buon senso, che percepisce quella togata come una corporazione separata, privilegiata e intangibile.

Viene, dunque, in mente quanto proclamava Ugo Foscolo “A rifar l’Italia, bisogna disfare le sètte”.

Nulla di più vero. Ma a non capirlo (o non volerlo) sono proprio coloro che garantiscono il mantenimento dello status quo, ossia i conservatori. Ogni riferimento è pienamente voluto.