Giorgia, calma e gesso! – I foglietti di Silvio Berlusconi, più che la politica, agitano la stampa e i media nazionali, assetati di gossip per colmare il vuoto determinato dall’avvenuta elezione dei presidenti di Camera e Senato e il prolungarsi del rito stantio delle consultazioni che deve necessariamente precedere il conferimento dell’incarico a Giorgia Meloni.
I giornalisti, anche quelli parlamentari, finiti i finanziamenti per sostenere la campagna vaccinale, dopo aver fatto in gran parte gli “informatori scientifici” della Pfizer e delle altre aziende farmaceutiche, tornano al loro vecchio mestiere: rimestare l’acqua nel mortaio della politica, cercando tensioni nella futura maggioranza che magari nemmeno esistono, oppure amplificando a dismisura quelle che realmente emergono.
I foglietti
Ma torniamo ai “foglietti” Ammesso che siano veri e non è difficile crederlo, che Berlusconi abbia scritto quegli appunti, cosa cambia? La Meloni, in questo momento, si sente sull’altare e ne ha ben donde, ma è impensabile che metta a rischio veramente il risultato tanto pervicacemente inseguito con scelte che la farebbero assomigliare tremendamente proprio al “ritrattino” composto dal “Cavaliere” nella paginetta fotografata da “La Repubblica”.
Infatti, almeno in questo caso, la reazione della premier in pectore è giusta più nel merito che nel metodo: se la vexata quaestio è un incarico a Licia Renzulli, l’Italia intera dà e non può che dare ragione a Giorgia; se la Meloni, però, pretende di scegliere – in reazione a ciò o per sua stessa natura – anche i nomi dei ministri delle forze alleate, allora sbaglia. E di grosso.
I Governi di coalizione
I governi di coalizione sono una composizione alchimia complessa, dove il premier incaricato tratta quanti e quali posti assegnare ma, poi, se non per palesi incompatibilità – come nel caso della Renzulli, manifestamente distante dall’intelligenza politica e se non da quella propriamente detta -, deve necessariamente lasciare agli alleati la libertà di scegliersi gli uomini e le donne da cui farsi rappresentare nel governo. Altrimenti, il governo nasce già con la “crisi” al primo punto del programma.
La Fatwa
La presunta “fatwa” contro i senatori di Forza Italia, Anna Maria Bernini e Maurizio Gasparri in primis, che ora i giornali danno per depennati dalla lista del governo per non aver votato Ignazio La Russa presidente a Palazzo Madama, donerebbe immediatamente un’immagine granitica alla Meloni, ma condannerebbe alla fragilità assoluta il suo governo subito dopo, dato che in Parlamento i voti di Forza Italia servono, eccome se servono. E per due ragioni fondamentali: la prima l’ha ricordata – in uno dei pochi discorsi sensati, tra quelli ascoltati alla direzione del Pd – Francesco Boccia, il quale ha rilevato come il Centrodestra abbia vinto le elezioni, senza essere ancora, però, la maggioranza del e nel Paese; la seconda, è che Sergio Mattarella – tanto preoccupato per la stabilità, quando i premier di maggioranze non ne avevano una neanche nel libro dei sogni, costringendo il Parlamento a inventarsi tutte le formule, anche le più becere, piuttosto che scioglierlo – non esisterebbe un istante a indire nuove elezioni se il Centrodestra fallisse. E, in questo caso, tornerebbe pericolosa la sottolineatura di Boccia, dato che il futuro segretario del Pd, chiunque sarà, non farà agli avversari il “regalone” concesso da Enrico Letta.
Dunque, è meglio che la Meloni si conformi al detto: calma e gesso!
Altrimenti, oltre che a essere la prima donna-premier della Repubblica, Giorgia rischierebbe di contendere ad Amintore Fanfani il record negativo di durata a Palazzo Chigi. Anche perché il problema dell’Italia non è la “bollitura” evidente di Silvio Berlusconi che, tutto sommato, può essere trattata e sopportata con tenerezza, tanto ridicolo lo fa apparire in questo finale della sua carriera politica e forse della sua stessa vita; ma la crisi economica e le conseguenze dello scellerato ultra-atlantismo che accomuna un po’ tutti i partiti. Per altro, il “cavaliere” sarà “burbero” e “grossier” quanto si vuole, ma sulla sua lealtà di fondo la Meloni può contare e, di certo, non è velenoso quanto potrebbe esserlo il suo successore o il nuovo leader di quello spazio politico, se Forza Italia implodesse: un leader il cui nome si scrive Carlo Calenda, ma si legge Matteo Renzi.
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