In morte de “l’uomo nero”

In morte de “l’uomo nero”In morte de “l’uomo nero” – Con la morte di Pierluigi Concutelli si chiude la parabola terrena di una vita segnata da una fede troppo cieca e da una violenza irrefrenabile che ne ha accompagnato la professione disperata. Una vita trascorsa in gran parte nelle patrie galere, dove questo combattente tragico e solitario – ché, di fatto, Concutelli ha sempre agito da solo, privo di un’organizzazione che minimamente meritasse questa definizione, accostandosi spesso a persone che non avrebbero potuto far altro di quel che fecero: tradirlo – maturò una consapevolezza degli errori commessi di rara e sincera profondità.

L’Uomo Nero

Chi ha letto <L’uomo nero> non può non aver colto quel sottofondo di amarezza esistenziale che lui stesso riassunse nella laconica dichiarazione di fallimento totale, un fallimento cocente in parte lenito addirittura e solo dal fatto di non avere figli, di non lasciare in eredità a nessuno il dolore e le delusioni provocate e provate.

Uomo coerente fino alla fine, non si è mai pentito dei tre omicidi commessi, ma ne assunse pienamente la responsabilità, accettandone la conseguenza della prigionia e dell’emarginazione. Non si pentì perché non era così ipocrita da versare qualche falsa lacrima, pur di abbreviare di qualche anno il conto con la giustizia.

Non si pentì perché, pur nella disperazione di una galera quattro volte senza fine, nel suo animo non tramontò mai il senso di lealtà verso la sua comunità, impedendogli di far pagare con la cella per altri una qualche sua anticipata libertà.

Non si pentì perché a Concutelli non venne mai meno il senso del pudore, a causa del quale non avrebbe potuto disinvoltamente guardare in faccia <gli orfani che aveva fatto> – la definizione è sua -, senza provare una profonda tristezza per le azioni compiute, per gli amori familiari spezzati.

L’intervista a Antonello Piroso

Sulla rete circola ancora la sua intervista con Antonello Piroso a <Niente di personale>, conduttore non facile e certamente con qualche pregiudizio verso di lui, inizialmente.

Concutelli ne attrasse l’attenzione e anche un certo rispetto, mostrandosi per quello che era: uno che aveva capito e accettato la sconfitta. Come sa e dovrebbe saper fare un samurai.

Attenzione, però: sconfitto non dal sistema che aveva pensato di abbattere; ma dal modo che scelse per combatterlo che, di fatto, fin da principio, lo condannava inevitabilmente a perdere e a perdersi.

Un figlio di anni maledetti, quelli “di piombo”, in cui è stato facile per tanti compiere le scelte più sbagliate che si potessero compiere.

Concutelli scelse di vivere quella temperie nella zona più esposta e, al contempo, più oscura del campo di battaglia, con un coraggio che a tanti altri mancò, anche quando scelsero posizioni più sicure da cui assistere, più che partecipare, allo scontro.

Ed ha avuto il coraggio di ammettere – riferendosi a chi ancora lo chiama “Comandante” – che solo gli “imbecilli” possono avere ammirazione o farsi suggestionare dalle pagine di sangue che scrisse allora.

La tragedia greca

Concutelli non è stato un militante tutto armi e azione: amava leggere ed era affascinato dalla cultura antica, romana e greca.

Ecco, a doverne tracciare un profilo di sintesi, non sarebbe sbagliato paragonarlo alle grandi figure tragiche del teatro ellenico, a uno di quei personaggi che, alla fine della loro avventura, dalla sofferenza patita e fatta patire; dall’aver duramente appreso quanto costi la Ubris, la “tracotanza contro gli dèi” che induce un uomo a decidere chi può vivere e chi deve morire; diventano esemplari non per le doti, ma per i limiti che hanno manifestato e di cui hanno assunto piena coscienza.

Il pentimento – nel mondo dell’eversione – è qualcosa che riguarda la giustizia; la volontà di continuare a depistare e nascondere la realtà da parte di spezzoni dello Stato; l’indecente pretesa di tornare a una vita normale dopo aver abusato, magari indecentemente e in modo assassino, di tutte le eccezioni; Concutelli ha scelto, invece, la via della Catarsi che, forse, se esiste un mondo ultraterreno, gli riconoscerà questo merito più di quello che non sono stati capaci di fare gli uomini.