La Battaglia di Kharkov

La Battaglia di KharkovLa Battaglia di Kharkov si configura al momento come il maggior e più chiaro successo militare ucraino dall’inizio della guerra.

Al tempo stesso il successo ucraino si presenta come l’unico vero e proprio esempio di “guerra di movimento” ovvero di successo ottenuto con una rapida capacità offensiva e in cui il nemico è sopraffatto grazie ad una superiore capacità di manovra dell’esercito attaccante.

L’offensiva, per altro, ricorda molto da vicino (e ne segue quasi passo passo le direttici) la vittoria della Whermacht nella Seconda Battaglia di Kharkov ottenuta nel maggio del 1942, grazie alla quale i tedeschi poterono rafforzare il fronte dell’Ucraina meridionale e gettare i presupposti per la successiva offensiva estiva verso il Caucaso, l’operazione Fall Blau, offensiva poi infrantasi contro la resistenza sovietica di Stalingrado e gli esiti a tutti noti di quella battaglia .

Un chiaro successo ucraino

L’offensiva, condotta brillantemente tra il 6 e il 12 settembre, trova i suoi presupposti nei mesi precedenti, in particolare a partire da maggio, quando nelle prime due settimane del mese, con una serie di contrattacchi localizzati gli ucraini erano riusciti a far indietreggiare i russi dal fianco nord ed est della città di Kharkov (che come richiamato nei precedenti capitoli, i russi avevano fallito di prendere rapidamente nelle fasi iniziali della guerra, contentandosi di tenere la seconda città dell’ucraina in uno stato di semi-assedio).

Cruciale il controllo del fiume

Le controffensive di maggio avevano permesso agli ucraini di liberare la città dalla pressione russa, avvicinandosi al confine internazionale con la Russia, dietro il quale, si trova la città di Belgorod, che funge da principale centro logistico arretrato per le forze russe nell’area, costringendo le truppe del Cremlino a ritirarsi per una decina di chilometri a nord della città e a tenere quindi una zona cuscinetto, di altri dieci chilometri circa, di demarcazione tra la linea del fronte e il confine.

A est della città invece, i russi erano costretti ad appoggiarsi alle sponde del fiume Seversky Donets, sul quale, per altro, dalla fine di maggio gli ucraini avevano stabilito una testa di punte presso il villaggio di Stary Saltiv, da allora teatro di continui cambi di mano, di attacchi e contrattacchi tra le due parti, fino agli esiti finali di settembre.

Il fiume, piegando verso sud raggiunge Izyum, altro punto focale dello schieramento russo, oltre al quale, puntando a sud era costituita la testa di ponte russa che teoricamente avrebbe dovuto puntare su Barnikove e minacciare da ovest il grosso delle truppe ucraine posizionate nella parte settentrionale dell’oblast di Donetsk, tra Slovyansk-Kramatorsk, Bakhmut e Seversk.

La debolezza delle forze russe 

Tra Stary Saltiv a Izyum il fronte, seguendo il corso del fiume, salvo per quanto riguarda un’ansa a nord della cittadina di Balakliya, posta a metà percorso, tenuta dagli ucraini per quanto riguarda la sponda orientale con una profondità di una decina di chilometri.

Proprio questo è stato infatti il punto sfruttato dagli ucraini per l’offensiva, puntando direttamente e velocemente verso Kupyansk (seconda città dell’oblast e che fungeva da capitale amministrativa temporanea per i russi), posta circa 50 chilometri più a est, sul corso invece del fiume Oskol che fa quasi da confine naturale tra gli oblast di Kharkov e Lughansk.

Tutta questa larga area era tenuta da forze russe molto scarse, riconducibili quasi solo ad elementi della 144esima divisione motorizzata della guardia, con inserti di uomini mobilitati della Milizia di Donetsk (ovvero uomini privi di esperienza militare pregressa) ed elementi della Rosvgardia, per lo più con incarichi di mantenimento dell’ordine e di guardie di frontiera.

I russi a corto di uomini

La scarsità di truppe russe nella regione, che alla fine è anche la ragione principale del successo ucraino, non si era risolta neanche con l’abbandono del fronte nord operato in marzo, il ridispiegamento delle truppe da nord permetteva di rafforzare il fronte del Donbass dove era lo sforzo militare principale ma, di fronte ad un esercito ucraino ingrossato dal richiamato dei riservisti e da varie ondate di mobilitazione, risultava comunque insufficiente per tenere efficacemente un fronte superiore ai mille chilometri come quello che si presentava in quel momento in Ucraina.

Non per altro, dopo i successi e gli intensi combattimenti di Mariupol e Severdonetsk, i russi per luglio e agosto erano in ogni caso entrati in una prolungata “pausa operativa”, apparentemente senza ulteriori forze per condurre altre operazioni offensive e se preparavano delle riserve, lo facevano soprattutto per difendere le regioni di Kherson e Zaporhyza dove gli ucraini, complice anche un’abile strategia comunicativa, davano l’impressione di voler contrattaccare, cosa che a Kherson è effettivamente avvenuta, sorprendendo i russi che probabilmente avevano sottovalutato la capacità di ucraina di condurre simultaneamente più offensive su più fronti, soprattutto dopo le già richiamate sconfitte di primavera.

Determinanti le forniture occidentali

Tuttavia, mentre l’esercito di Kiev subiva colpi durissimi a Mariupol e a Severodonetsk, bisogna considerare che dall’Occidente erano arrivate le prime tranche di aiuti militari, consistenti in una prima ondata, in larga parte di materiali ex sovietici, con altri inseriti più limitati di armi più performanti di pura fattura occidentale (ad esempio gli ottimi semoventi di artiglieria Caesar francesi o Pzh2000 tedeschi), con questi materiali gli ucraini erano riusciti a riequipaggiare diverse unità, composte da un mix di riserviti e soldati professionisti, con un’alta capacità offensiva.

A inizio luglio, mentre Putin si congratulava con Shoigu per i successi ottenuti, arrivavano sul campo anche i primi lanciatori HIMARS dagli Stati Uniti e M270 da Germania e Regno Unito. Per tutto il corso di luglio e agosto, con queste armi di offesa a medio raggio gli ucraini martellavano la logistica russa, colpendo in via privilegiata i grandi depositi di munizioni russi posti nelle prossimità della linea del fronte. A questo si aggiungeva una serie esplosioni tra luglio e agosto in basi e aeroporti russi in Crimea e in profondità nel territorio russo (ignota l’origine di tali attacchi, se condotti con droni, con reparti di incursori o con il lancio di missili a lungo raggio forniti segretamente dagli Stati Uniti).

Cambio di passo della strategia russa

La capacità russa, quindi, di sostenere un nuovo sforzo offensivo, come fatto nel corso della primavera, con il consumo colossale di munizionamento e l’impiego massiccio di artiglieria per sopperire alla scarsità di uomini, era anche ridotta per il ritardo con il quale i russi hanno, solo mesi dopo, imparato a limitare i danni di questi sistemi (sparpagliando e frazionando i depositi sulla linea del fronte, facendo retrocedere i più grandi dietro le linee, affinando gli algoritmi delle proprie batterie antimissile sulla nuova minaccia).

Ad inizio settembre, quindi, i russi, che continuavano a combattere solo con il proprio esercito di professionisti, non avevano una densità e profondità in uomini al fronte capace di tenere tutti i settori, inoltre il 29 agosto era iniziata la tanto annunciata offensiva ucraina su Kherson, sulla quale si erano raccolte tutte le attenzioni russe.

Scacco matto all’intelligence russa

Certo, resta una sorpresa ritenere che l’intelligence militare russa, non abbia potuto accorgersi del fatto che gli ucraini ammassassero a nord di Balakylia, un gruppo d’attacco considerevole. La forza d’attacco ucraina consisteva infatti di 5 brigate di manovra, con una brigata corazzata, largamente equipaggiata con T72M di fornitura polacca, a fungere da punta di lancia, 3 brigate di assalto aereo e aviotrasportate, e una della Guardia Nazionale, concentrate in un attacco su di un perimetro di neanche 5 chilometri.

A supporto del gruppo d’attacco una brigata di artiglieria dietro le prime linee, sul fianco nord tre brigate (una corazzata e due di difesa territoriale) e altre due brigate motorizzate sul fianco meridionale.

Nutrita presenza di forze occidentali

A supporto della forza d’urto, come ampiamente comprovato da vari video disponibili su fonti di tipo “open source”, nutriti contingenti di personale militare occidentale (armato di conseguenza), chiamati spesso a guidare le prime puntate offensive ucraine, vista la scarsità di ufficiali di rango inferiore e di sottoufficiali di esperienza, con, quinid, militari occidentali posti a capo di plotoni e compagnie ucraine sul terreno.

A più alto livello non è d’altra parte un mistero che l’offensiva sia stata pianificata congiuntamente tra i vertici militari ucraini e quelli americani (i cui satelliti hanno potuto confortare Kiev sull’assenza di riserve russe nell’area).

L’attacco ucraino del 6 settembre ha così facilmente travolto le linee russe, insufficienti a contrastare una forza di tale compattezza, le quali hanno ceduto immediatamente terreno in campo aperto a nord della cittadina di Balakylia, sulla quale i russi hanno cercato di ripiegare, sperando di trasformare l’area urbana in un perno di resistenza.

Al secondo giorno, tuttavia gli ucraini sfruttavano rapidamente il varco nelle linee russe per procedere velocemente verso nord-est, minacciando le posizioni fortificate russe nel villaggio di Shevchenkove, che nel frattempo era minacciato anche da nord, dall’attivazione delle truppe ucraine di supporto sul fianco settentrionale. A Balakylia i russi resistevano coraggiosamente ma era attivato anche il fianco meridionale, la città era a immediato rischio di accerchiamento, attaccata su tre lati.

I russi a corto di fiato evitano l’accerchiamento

Al 9 settembre i russi si ritiravano da Balakylia per evitare l’accerchiamento, più a nord anche Shevchenkove era travolta dall’avanzata nemica, procedendo in velocità, gli ucraini puntavano ora con forza verso Kupyansk, da cui distavano per appena 5 chilometri.

In emergenza i russi cercavano di trasferire truppe a Kupyansk, facendo intervenire con tutta fretta la 18esima divisione motorizzata, i grandi elicotteri da trasporto Mi26 portavano uomini e mezzi a Kupyansk e reparti di carri armati per affrontare le avanguardie ucraine. Nella notte pareva che, a seguito di un intenso scontro di carri armati davanti alle porte della città, i russi fossero riusciti a infrangere la spinta offensiva nemica. Interveniva, con un certo ritardo, anche l’aviazione russa a bombardare le colonne ucraine in avanzata.

La tragedia strategica russa

Tuttavia si trattava solo di una battuta di arresto delle avanguardie corazzate, al quarto giorno, piegando – con alta flessibilità operativa e una notevole rapidità di adattamento – verso sud, vista la resistenza incontrata alle porte di Kupyansk, gli ucraini arrivano ad occupare la sponda occidentale dell’Oskol, le cospicue forze russe presenti a Izyum erano tagliate a nord da Kupyansk e potevano disporre solo di uno stretto corridoio a nord-est per ripiegare verso Lyman, in un corridoio libero tra i fiumi Oskol e Donets.

Persa la sponda dell’Oskol, infatti, nonostante la tenuta momentanea di Kupyansk, la tragedia strategica russa era già consumata. Le truppe russe velocemente abbandonavano la testa di ponte a sud di Izyum, procedendo quindi ad evacuare la città stessa, sfruttando il varco libero verso est. Gli ucraini riprendevano anche gli assalti rispetto alla stessa Kupyansk, di cui i russi abbandonavano la sponda occidentale.

Contestualmente lunghissime colonne di civili filorussi si riservano nell’oblast russo di Belgorod, per evitare le sicure rappresaglie ucraine da comminarsi ai danni dei (molti) collaborazionisti.

Intensi combattimenti

Dopo una settimana dall’inizio dell’offensiva, i russi erano riusciti a stabilizzare il fronte solo appoggiandosi al corso dell’Oskol, tenendo solo la parte orientale di Kupyansk essendo la città tagliata dal fiume. Izyum era abbandonata e con essa ingenti scorte di materiali e mezzi militari russi caduti in mano agli ucraini. Le forze di Kiev, sebbene stesse scemando lo slancio inziale, continuavano gli assalti adesso anche contro Lyman, presa a caro prezzo dai russi in primavera. Il 12 settembre era assaltata Sviatorisk, tra Izyum e Lyman.

La strenua resistenza operata da reparti di BARS russi (battaglioni di riservisti russi arruolatosi volontariamente), nella seconda metà di settembre, oltre che dai coscritti mobilitati di Donetsk e Lughansk permetteva comunque ai russi di resistere, quantomeno momentaneamente a Lyman, arrecando pesanti vittime agli ucraini che non volevano perdere l’occasione di cogliere gli ultimi frutti del loro successo.

Similmente si moltiplicavano i tentativi di offensiva sull’Oskol, sia a nord che a sud del perno di Kupyansk. Il 27 settembre gruppi di ricognitori ucraini attraversavano il Donets a est di Lyman a Yampol, villaggio che cadeva quindi nelle loro mani il 30 settembre.

Nel frattempo, erano costituite diverse teste di ponte a est dell’Oskol, espandendo le quali gli ucraini, minacciavano Lyman anche da nord.

La strenua difesa russa

Il primo ottobre, la guarnigione russa, dopo due settimane di eroica resistenza in condizioni pressoché disperate, si ritirava da Lyman, le perdite arrecate agli ucraini ne avevano ormai fiaccato lo slancio offensivo e permesso alle truppe russe di riorganizzarsi ed evitare il tracollo totale dell’area.

Era quantomeno scongiurata la catastrofe completa ovvero uno sfondamento totale ucraino a est di Lyman, verso Kremynna, da cui si sarebbe potuto investire tutto il Lughansk settentrionale e il complesso di Severodonetsk-Lysychansk.

Più a nord i russi progressivamente avevano perso anche tutta la sponda orientale dell’Oskol e con essa anche Kupyansk-est; tuttavia, la barriera naturale data dal fiume aveva comunque permesso alle forze russe di costituire una linea difensiva tra Svatove e Kremynna, una manciata di chilometri a est del confine amministrativo tra Kharkov e Lughansk.

Su questa linea, quasi senza interruzioni, gli ucraini hanno cercato di operare nuovi sfondamenti, da ottobre fino a gennaio, tuttavia, per quanto barcollante l’accanita resistenza russa gli ha impedito ulteriori avanzamenti, contribuendo invece al continuo processo di logoramento delle forze ucraine.

Arrivando alle conclusioni, non si può tralasciare che l’offensiva ucraina di Kharkov, abbia avuto ampie ripercussioni su tutto il corso della guerra.

Al di là, infatti dei risvolti tattici sul campo, la reazione russa non si è fatta attendere.

La Russia lancia la mobilitazione

Il 21 settembre Putin, essendo ormai chiara l’impossibilità di condurre la guerra limitandosi all’impiego di soli soldati professionisti e delle milizie di Donetsk e Lughansk, annunciava la mobilitazione parziale, con il richiamo di centinaia di migliaia di riservisti.

Tra il 23 e il 27 settembre venivano svolti i referendum russi di annessione delle province del Donbass di Donetsk e di Lughansk e di quelle occupate di Kherson e Zapohryza, a seguito dei quali Putin annetteva formalmente la 4 province alla Federazione Russa.

Secondo il punto di vista di Mosca da quel momento la guerra è condotta direttamente sul territorio russo e ogni mezzo può quindi essere ritenuto impiegabile per difendere la Patria.

Non a caso in quel frangente, molte voci oltranziste russe (come quella del ceceno Kadyrov o dell’ex presidente Medvedev) hanno incominciato a ventilare l’impiego di armi nucleari tattiche per annientare il nemico, velleità che comunque sono andate via via scemando, soprattutto dopo le dichiarazioni occidentali circa una possibile reazione diretta della NATO (con la minaccia di un vasto attacco convenzionale aereo e missilistico sulle basi russe in Crimea e in Donbass) in caso di impiego di armi nucleari.

Un assetto più incisivo lato russo

Infine, l’8 ottobre (in coincidenza anche con l’attentato tramite camion bomba approntato dalla SBU sul ponte di Kerch, importante collegamento logistico tra la Crimea e il Kuban), Putin provvedeva a trasferire il comando unificato delle operazioni in Ucraina al generale Surovikin, che il 10 ottobre procedeva all’avvio alla campagna di bombardamenti strategici su tutta l’Ucraina.

Insomma, se l’offensiva di Kharkov sul campo è stata un indubbio successo ucraino, le sue conseguenze sembrano essere state quelle di indurre lo Zar del Cremlino a passare alle “cose serie”, come già aveva minacciato di fare.