La Battaglia di Kherson

La battaglia di KhersonLa Battaglia di Kherson – La città di Kherson, fondata dalla zarina Caterina come porto fluviale sul Dnieper aperto al Mar Nero, presa senza particolari difficoltà dai russi (e probabilmente con la complicità di ufficiali ucraini in loco) il 2 marzo, costituiva l’unica capitale di un oblast finita stabilmente in mano ai russi.

Togliere lo sbocco sul mare all’Ucraina

Allo stesso tempo, anche dopo l’annunciato ritiro dal fronte nord del 25 marzo, costituiva l’unica presenza russa a ovest del Dnieper, formidabile barriera naturale interna all’Ucraina tra est ed ovest, e conseguentemente l’unica possibile “base di lancio” per ipotetiche operazione offensive verso Nykolaiev e successivamente verso Odessa, preda preziosa agli occhi dei russi visto che la città portuale di Odessa, teatro nel 2014 di accese manifestazioni anti-Maidan e pro-russe, rappresenta indiscutibilmente un obiettivo di primo piano per il Cremlino. Per altro, cadesse Odessa in mano russa, l’Ucraina potrebbe sopravvivere solo come paese privo di sbocco sul mare, certamente qualcosa di non sgradito a Mosca.

L’affondamento del Moskova

Tuttavia, a cambiare radicalmente lo scenario sul fronte sud-occidentale, è stato l’affondamento dell’incrociatore Moskva del 14 aprile.

L’affondamento dell’ammiraglia russa nel Mar Nero, e il contestuale rafforzamento delle difese costiere ucraine con l’arrivo di molteplici batterie di missili antinave Harpoon (forniti da USA, UK e Danimarca), hanno permesso agli ucraini di liberare almeno tre brigate che tenevano di riserva presso Odessa, a presidio della città e delle coste, pronte a fronteggiare un eventuale sbarco russo, il cui rischio era ormai neutralizzato.

Così facendo gli ucraini sono riusciti ad assemblare un primo gruppo di attacco e lanciare una prima (dimentica) offensiva contro le posizioni russe il 28 maggio.

Atteggiamento conservativo russo

Sulla sponda occidentale del Dnieper, i russi, che vi avevano dedicato all’incirca appena 10.000 unità, abbandonate le speranze in rapidi avanzamenti verso Nykolaiev (che pure era stata quasi posta sotto assedio) e verso Odessa causa assenza di truppe sufficienti al compito, si erano ritirati combattendo da Nykolaiev, stabilizzando il fronte su una linea coincidente all’incirca con i confini amministrativi dell’oblast di Kherson ovvero dal villaggio di Oleksandrivka sul Mar Nero, posto neanche ad una ventina di chilometri ad ovest di Kherson città, a nord verso la cittadina di Sniurivka, a circa 50 chilometri a nord di Kherson, posta sull’ansa dell’Inghulets, fiume affluente del Dnieper, da Sniurivka, seguendo il corso dell’Inghulets come barriera naturale difensiva, a nord per un’ottantina di chilometri fino Vysokopillya, dalla cittadina di Vysokopillya di nuovo al Dnieper. Il tutto con l’Inghulets a suddividere la testa di ponte in due sub settori: quello a sud del fiume, con un perimetro più ristretto ed inclusivo della città e quello a nord, più vasto ma costituito essenzialmente solo da campo aperto e delimitato dal corso stesso del fiume.

I primi tentativi ucraini

La prima offensiva ucraina del 28 maggio cercava quindi di sopraffare l’esiguo contingente russo con attacchi su più punti delle linee di difesa, condotti in superiorità numerica e senza risparmio di uomini.

La priorità veniva data al settore settentrionale, quello posto a nord dell’Inghulets e più distaccato dalla città, ritenuto più difficilmente difendibile, mentre sul fronte sud i combattimenti principali si concentravano ad Oleksandrivka (più e più volte passata di mano nel corso dei mesi) sulla costa e con altre azioni per lo più di disturbo sulla linea del fronte. Gli attacchi principali avvennero invece sugli snodi di Sniurivka (perno tra i due settori), Vysokopillya (perno tra il fianco occidentale e quello settentrionale del dispositivo russo) e, a metà strada tra i due, sul villaggio di Davyd Brod, posto sul corso dell’Inghulets.

La speranza ucraina era quella di creare una testa di ponte a Davyd Brod, oltre il corso del fiume, da espandere verso est, verso il Dnieper, in modo da tagliare in due le forze russe nel settore e provocarne il collasso.

Tenace ed esperta resistenza russa

I combattimenti si protrassero con grandissima intensità per quattro giorni fino al 31 maggio, permettendo effettivamente agli ucraini di stabilire una testa di ponte sulla sponda sinistra del fiume, tra Davyd Brod ed il villaggio di Andriivka.

Tuttavia, la tenace ed esperta resistenza russa, condotta principalmente dalle provate truppe paracadutiste della VDV, quantitativamente inferiori a quelle ucraine ma indubbiamente superiori in termini qualitativi, rendeva agli ucraini impossibile espandere la testa di ponte.

Ancora l’artiglieria gioca un ruolo fondamentale

A pesare anche la netta superiorità russa in termini di artiglieria, capace di martellare, complice la natura pianeggiante e totalmente scoperta di questo campo di battaglia, le truppe ucraine in fase di raggruppamento, ancor prima che queste potessero iniziare le loro operazioni offensive.

Anche la testa di ponte rischiava di assomigliare sempre di più, più che in una testa di ponte da cui alimentare un’offensiva, in una “sacca di fuoco”, dove le truppe, poste in campo aperto e con il fiume alle spalle, offrivano facili bersagli all’artiglieria e all’aviazione nemica.

Gli ucraini non si perdono d’animo

In ogni caso si può dire che per tutto giugno, nonostante che nei primi giorni non si fossero ottenuti sfondamenti decisivi, gli ucraini continuavano ad alimentare l’offensiva, incrementandola anzi con dei tentativi di sfondamento diretti su Kherson, attaccando nei pressi del villaggio di Blahoatne, nei pressi dell’autostrada Nykoliev-Kherson, con l’evidente intento di attirare riserve russe a protezione immediata della città, continuava anche e aumentata la pressione su Vysokopillya che alla fine passava di mano, inducendo i paracadutisti russi a tentare un contrattacco (fallito) il 25 giugno.

Infine, gli ucraini tentavano di aprire un’ulteriore punto di pressione sul fronte. In ogni caso, tenevano le seconde linee di difesa russe attaccando anche, nelle ultime due settimane di giugno, sulla sponda del Dnieper, venendo tuttavia arrestati dalla ferma difesa russa.

Gli HIMARS sparigliano il banco

A fine luglio, dopo due mesi di continui combattimenti la situazione del fronte era quasi invariata: Olekansandrivka in mano ucraina ma con i russi appena disposti nei sobborghi est del villaggio, l’offensiva da Blahoatne arrestata con perdite, Sniurivka in mano russa, la testa di ponte sul medio corso dell’Inghultets ancora presenta ma in via di restringimento e con alte perdite, il fronte nord arretrato da parte dei russi sulle seconde linee di difesa di appena qualche chilometro.

Nel corso di luglio interveniva però un evento decisivo per il teatro operativo di Kherson ovvero la fornitura da parte americana dei lanciarazzi HIMARS. Con la loro gittata di 80 chilometri gli ucraini erano ora in condizione di colpire tutti i ponti sul Dnieper e tutta la linea logistica russa a supporto della parte occidentale dell’oblast di Kherson.

Gli obiettivi principali, sottoposti a più e più lanci, furono prima il grande ponte Antonovsky e il ponte sulla diga di Nova Khakovka, e successivamente i pontoni e ponti di barche predisposti in via sostitutiva da parte dei russi come i porti fluviali che i russi cercavano di sfruttare per organizzare dei trasporti su chiatte e i ponti e passaggi sull’Inghultets. Anche l’iniezione di altri materiali militari forniti dai paesi NATO (in particolare carri armati polacchi e cechi) veniva impiegato per preparare riserve per una nuova offensiva.

L’offensiva d’agosto

In ogni caso, prima che la disarticolazione delle linee logistiche russe fosse completo, i russi nel corso di agosto passavano a delle controffensive localizzate, recuperando essenzialmente tutte le posizioni prese dagli ucraini con grande sforzo negli ultimi due mesi di offensiva.

Da parte ucraina, la strategia sembrava cambiata: si radunavano maggiori forze per andare nuovamente all’attacco solo quando l’impiego degli HIMARS avesse reso difficile per i russi sostenere il fronte.

Il 29 agosto gli ucraini attaccavano nuovamente in grande stile su tutta la linea del fronte, sia sul settore meridionale che settentrionale.

La strategia di difesa russa paga

Nonostante il grande sforzo offensivo ovunque tenevano le linee russe, che nel corso dei mesi avevano trasformato ormai ogni villaggio in una posizione fortificata a sé stante, pronta a ricoprire di fuoco incrociato con una difesa “a riccio” gli ucraini in avanzamento in campo aperto. Nuovamente gli ucraini tentavano di creare la rottura del settore settentrionale attraversando l’Inghulets a metà altezza, stabilendo una testa di ponte a sud Davyd Brod tra i villaggi di Andriivka Sukhyi Stavok, esponendosi così, ancor più largamente di quanto già accaduto, ad offrire una micidiale sacca di fuoco per artiglieria e aviazione russa (che nel frattempo bersagliava anche i pontoni disposti a più riprese dal genio ucraino sul fiume). Nonostante le altissime perdite i comandi ucraini tennero duro, prendendo la decisione di continuare ad alimentare a mantenere la testa di ponte.

Mentre a sud, nonostante qualche avanzamento tra Blahoatne e il villaggio di Ternovi Pody, tenevano le linee russe, a nord i paracadutisti russi dovevano il 27 settembre rinunciare ancora, dopo accanita resistenza, a Vysokopillya (le prime forze ucraine erano entrate nella città il 4 settembre che poi era stata oggetto di attacchi e contrattacchi), ripiegando su una seconda linea di difesa appena più a sud della cittadina.

La pressione ucraina alla fine paga

Il 2 ottobre gli ucraini aggiungevano come ulteriore punto di pressione e offensiva la sponda destra del Dnieper, ottenendo uno sfondamento, tra il 2 e il 4 ottobre, di oltre 30 chilometri verso sud fino al villaggio di Dudchany.

La situazione del settore nord russo era chiaramente compromessa, in particolare quella delle truppe poste a difesa del vertice nord-occidentale, investite frontalmente dalle offensive ucraine, a sud dalla testa di ponte di Andriivka che, nonostante le enormi perdite accettate dagli ucraini, era in continua espansione e ora anche a est e sud-est.

I russi si ritirano

Per non rischiare un accerchiamento, i russi procedevano con un ripiegamento, stabilendo una linea di difesa arretrata di circa 40 chilometri rispetto alla prima configurazione del fronte da Dudchany ad Andriivka, lasciando in mani ucraine lo snodo di Davyd Brod. Nel frattempo, era sempre più chiaro che, con tutti i ponti alle spalle distrutti e gli HIMARS che martellavano le chiatte e i ponti di barche, mantenere per i russi le loro posizioni su Kherson sarebbe stato impossibile.

Surovikin evacua i civili

Il 13 ottobre, ipotizzando anche possibili bombardamenti ucraini sulla diga di Nova Khakovka, con annesso rischio di allagamento di tutta l’area, i russi avviavano delle operazioni di evacuazione della popolazione civile sulla sponda est del fiume. Il 15 ottobre gli ucraini riprendevano le operazioni offensive su tutta la linea. Il generale russo Surovikin, di fresca nomina, a breve distanza, dichiarava che era pronto ad assumersi la responsabilità di “decisioni difficili”, il 22 ottobre il processo di evacuazione dei civili (almeno i filorussi, almeno la più parte) diveniva generalizzato. Il 9 novembre, il ministro della difesa Shoigu annunciava finalmente quanto era ormai nell’aria ovvero un ritiro completo da Kherson, ritiro che si completò l’11 novembre, senza particolari interferenze delle forze ucraine, efficacemente contenute dall’artiglieria russa e apparentemente già paghe del risultato ottenuto a grave costo.

Un contrastato successo ucraino

In definitiva, quindi, la battaglia di Kherson può dirsi durata ben 5 mesi e alla fine si è conclusa con un chiaro successo tattico (e in un certo senso anche morale e simbolico) per gli ucraini, con gli obiettivi raggiunti di eliminare l’unica testa di ponte russa a ovest del Dnieper e riprendere l’unico capoluogo caduto nelle loro mani.

Più dubbia in ogni caso la valutazione strategica della battaglia. Se, infatti, da parte russa, si sono sempre destinate a Kherson forze decisamente esigue (tra i 10.000 e al più 20.000 uomini), per quanto per lo più paracadutisti di rango e impiegate su buone posizioni difensive, da parte ucraina, per alimentare l’offensiva si è fatto ricorso ad un numero di uomini nettamente superiore, lanciati spesso in continui attacchi su ondate. Stime conservative valutano un rapporto di perdite di 5 a 1, ovvero un totale di 3.000 soldati russi messi fuori combattimento contro 15.000 (se non di più ucraini).

Essenzialmente, finché hanno potuto, i russi sono rimasti a Kherson sfruttando il terreno favorevole per infliggere più perdite possibili al nemico che non si risparmiava nelle sue posture offensive, procedendo alla ritirata, quando il deterioramento delle linee logistiche rendeva ormai impossibile continuare ad alimentare il fronte.