La guerra navale

La guerra navale

La guerra navale in Ucraina, svolta sul teatro operativo del Mar Nero, in un certo senso è una pagina dimenticata della guerra in corso, probabilmente anche per la buona dose di segretezza e opacità con la quale si è svolta.

A ciò contribuisce il fatto che non si hanno molte immagini, testimonianze video o semplicemente comunicati dettagliati da parte russa circa l’operato della propria flotta del Mar Nero, rafforzata prima dell’inizio delle operazioni con l’arrivo di unità della flotta del Baltico, del Pacifico e di quella del Nord (inclusi gli incrociatori Marshal Ustinov e Varyag, incrociatori della classe Slava, gemelli del famoso Moskva) oltre che della flottiglia del Caspio e di quella dell’FSB (essenzialmente la guardia costiera russa), che dai primissimi giorni di operazione hanno causato essenzialmente la fine dell’esistenza della Marina Militare Ucraina.

Flotta ucraina in fondo al mare in 48 ore

Quest’ultima avrebbe perso nelle prime 48 ore di combattimento almeno una trentina di unità (ovvero praticamente la totalità della propria flotta, composta da una fregata da battaglia, una corvetta, una nave da sbarco, un dragamine, sei pattugliatori, sette cannoniere e una decina di unità ausiliarie). Le unità ucraine sarebbero state in parte investite immediatamente dal fuoco dei missili antinave russi, lanciati con ogni probabilità nella notte del 24 febbraio sui porti militari di Nova Bilari, presso Odessa e di Ochakiv presso Nikolayev, oltre che dagli incrociatori lanciamissili di classe Slava, nonché un probabile intervento degli aerei dell’aviazione navale russa (Tu22 e Mig31 dislocati nelle basi in Crimea).

A questa prima pioggia di fuoco, avrebbe fatto seguito (il condizionale è d’obbligo poiché mancano chiare conferme al riguardo) un disperato tentativo della flotta ucraina di fronteggiare quella russa nel quadrante nord-ovest del Mar Nero (lo specchio di mare tra Odessa e la Crimea, che risulta essere il teatro principale di conflitto). Tale tentativo si sarebbe risolto in uno scontro navale con tanto di cannoneggiamenti e affrontamenti notturni “alla vecchia maniera” tra le due flotte, con una totale affermazione della supremazia e della potenza di fuoco russa (mentre, come già detto, la marina ucraina ha cessato di esistere nelle prime 48 ore del conflitto e non si hanno notizie di perdite russe).

Successivamente, il 3 marzo, i marinai ucraini di Ochakiv hanno provveduto all’autoaffondamento in porto della fregata da battaglia Hetman Sahaidachny, una delle unità più importanti della flotta ucraina, evidentemente sopravvissuta ai precedenti scontri, per timore che fosse presa intatta dai russi in avanzata da Kherson verso Nikolayev, città che di fatto è “la porta verso Odessa”- di chiara importanza strategica – che pure, per il numero troppo esiguo di forze russe impiegate nell’offensiva (appena diecimila uomini per quella che doveva essere una rapida occupazione di Kherson, Nikolayev e Odessa, chiaramente troppi pochi), è rimasta in mano ucraina.

La flotta russa ha, inoltre, operato un importante ruolo agendo nel Mare d’Azov, presto divenuto un lago russo, supportando nella notte del 26 febbraio un’operazione anfibia sul porto di Berdyansk, poco a ovest di Mariupol. Lo sbarco dei fanti di marina russi a Berdyansk ha permesso, in primo luogo di neutralizzare il relativo porto militare ucraino sul Mare d’Azov, catturando le unità ucraine (tra cui due cannoniere di classe Gyurza-M, in secondo luogo di completare molto velocemente l’accerchiamento di Mariupol, prendendo velocemente il lato costiero a occidente della città e supportando inoltre l’avanzata delle truppe russe verso est che era in corso dalla Crimea attraverso la regione di Zapohryza.

Le operazioni anfibie

La Marina Russa, con lo sbarco di Berdyansk ha così reso possibile la presa in una tenaglia di Mariupol, intrappolandovi all’interno tra i 10.000 e i 12.000 combattenti ucraini (tre brigate di manovra delle forze armate e il famoso Battaglione Azov), che, come noto, sono poi stati completamente annientati.

Il Mare d’Azov, che tramite il canale navigabile che collega il Don al Volga e che quindi a sua volta sfocia nel Mar Caspio fungendo da polmone di collegamento tra Mar Nero e Mar Caspio, è quindi passato sotto il totale controllo russo, risultato di cui Putin si è vantato sostenendo che “neanche Pietro il Grande vi riuscì” (in effetti fu un’opera realizzata solo da Caterina la Grande), conseguendo un primo importante risultato strategico per la Russia, visto che una presenza ostile a Berdyansk e Mariupol, incuneata tra la Crimea e la penisola russa del Kuban era stata, dal 2014 a questa parte, un vero e proprio incubo strategico per i russi.

Il Mar Nero nord-occidentale invece è divenuto subito un mare chiuso per l’Ucraina, semplicemente non navigabile per Kiev che si è ritrovata con le regioni di Odessa e Nikolayev tagliate fuori da qualunque rotta verso gli stretti del Bosforo, senza alcuna possibilità di operare una seria minaccia anfibia ai danni della Crimea.

Odessa rimane un miraggio

Quello che è mancato, tuttavia è stato uno sbarco russo ad Odessa e una conseguente rapida caduta della città, a forte maggioranza russofona e teatro di vibranti manifestazioni filorusse nella primavera del 2014. Con ogni probabilità la Marina di Mosca aveva in previsione di operare un secondo sbarco presso Odessa, avendo accumulato ben 13 navi per operazioni anfibie per sostenere l’eventuale seconda ondata.

Sbarco che, come detto, non c’è stato, con ogni probabilità a causa del fallimento dell’offensiva terrestre verso Nikolayev. Senza la presa di Nikolayev, un’eventuale testa di ponte russa nei pressi di Odessa sarebbe rimasta isolata e facilmente esposta alla controffensiva ucraina.

L’Isola dei Serpenti

Militarmente di secondaria importanza la presa russa, avvenuta nelle prime 24 ore di operazioni, dell’Isola dei Serpenti, prospiciente alla Romania (a cui apparteneva fino al 1945) la cui guarnigione è prima stata sottoposta a cannoneggiamenti e al fuoco dell’incrociatore Moskva e poi facilmente vinta dagli Spetsnaz e dai fanti di marina russi.

La presa dell’Isola, più che poter sostenere le operazioni verso Odessa e Nykolaiv, essendo più sbilanciata verso sud-ovest e verso le coste rumene, sembra aver assunto immediatamente un significato più che altro “politico” ovvero di pressione verso la Romania, il paese NATO più prossimo alla zona delle operazioni, esprimendo da parte russa una postura di “difesa attiva” del proprio teatro di operazioni.

La Marina Russa, quindi, seppur ostacolata dai campi minati prontamente gettati dagli ucraini nelle acque costiere, ha incominciato ad operare nel corso di marzo essenzialmente con delle “parate navali” al largo di Odessa, utili per obbligare a tenervi fissate unità militari, altrimenti dispiegabili sul fronte di Nykolaiev- Kherson dove il ridotto contingente d’attacco russo a ovest del Dnieper (costituito essenzialmente dalla 49esima Armata), si è trovato presto in netta inferiorità numerica rispetto alle forze ucraine.

In aggiunta le navi russe hanno provveduto a demolire con almeno una dozzina di missili Kalibr il ponte di Zatoka, unico collegamento di Odessa con la Romania e l’Occidente, tagliando una possibile via di rifornimento per la città in caso di offensiva russa.

Gli ucraini hanno reagito rabbiosamente alle parate navali russe attivando il fuoco delle proprie batterie antinave (armate essenzialmente con missili Neptune di produzione propria), ottenendo però il dubbio esito di colpire diversi mercantili battenti per lo più bandiere di paesi occidentali.

L’affondamento del Moskova

Forse anche questi episodi, sommati ai successi iniziali, hanno indotto i russi a peccare di eccessiva sicurezza, errore che li ha portati poi alla nota perdita dell’incrociatore Moskva, che, per altro, fungeva il ruolo di nave ammiraglia della flotta del Mar Nero.

L’affondamento dell’ammiraglia russa, avvenuto il 14 aprile mentre era in navigazione nel Mar Nero nord- occidentale, a portata di tiro delle batterie costiere ucraine, è stato d’altra parte possibile grazie al decisivo intervento dell’intelligence e del supporto occidentale a Kiev, che hanno determinato un salto di qualità nella difesa costiera rispetto al lancio di missili più o meno a casaccio contro qualunque imbarcazione in vista.

Colpo da maestro ucraino con l’aiutino USA

L’attacco, con ogni probabilità, è stato coordinato col supporto degli aerei da ricognizione americani in volo sul Mar Nero e preceduto da un attacco di droni contro la Moskva, che ne hanno saturato le capacità difensive, lasciando quindi facile gioco ai missili di Neptune di colpire il bersaglio. La nave, devastata dalle esplosioni e dagli incendi, sarebbe affondata anche a causa del mare mosso che avrebbe compromesso un primo tentativo di salvataggio dello scafo. Per quanto i russi abbiano poi mostrato in rassegna i membri dell’equipaggio (o, meglio, la più parte residua di esso) a Sebastopoli in Crimea, lo smacco, sia psicologico che strettamente militare, della perdita della propria nave ammiraglia è stato senz’altro forte.

Nel frattempo, un altro rovescio, seppur minore, si era abbattuto sulla flotta russa nel conquistato porto di Berdyansk dove il 24 marzo era affondata tra le fiamme, la nave da sbarco Saratov. Dubbia la causa dell’affondamento in porto, da parte ucraina si rivendica un attacco con missili balistici Tochka-U, da parte russa si parla invece di incidente per l’esplosione di carburanti e munizioni che erano in fase di scarico dalla nave.

La flotta russa accusa il colpo

Dalla perdita della Moskva, l’operatività della flotta russa si è notevolmente ridotta assumendo un approccio decisamente molto più cauto (fino al trasferimento di unità dai porti più esposti di Sebastopoli e della Crimea Occidentale, a quelli della Crimea Orientale, del Mare d’Azov e della penisola del Kuban, di conseguenza si è rilasciata anche la pressione data dalla la minaccia di un’operazione anfibia contro Odessa, permettendo agli ucraini di liberare truppe e risorse per sostenere la loro controffensiva contro Kherson (che infatti è stata avviata da maggio e continuata quasi ininterrottamente fino a novembre).

Inoltre, l’abbandono di ogni velleità anfibia tra Odessa e Nykolaiv è stato dettato anche dal notevole accrescimento delle capacità di difesa costiere ucraine che si è avuto con la fornitura di nuovi missili antinave Harpoon, inviati da Stati Uniti, Regno Unito, Olanda e Danimarca, che da aprile hanno giocato un imprescindibile fonte di deterrenza ai danni della flotta russa. Il ruolo degli Harpoon e delle altre forniture militari occidentali (in particolare nel campo dell’artiglieria con i cannoni americani M777 e i semoventi francesi Caesar) ha anche contribuito alla ripresa ucraina (o meglio alla ritirata russa) dall’Isola dei Serpenti avvenuta il 30 giugno.

Isola dei Serpenti Volume 2

Per l’Isola nella tarda primavera, si era avviato un vero e proprio braccio di ferro, con gli ucraini impegnati almeno in tre tentativi di sbarco aeronavale, con impiego di elicotteri per il trasporto di truppe speciali, droni, supporto aereo, corvette da sbarco, il tutto a quanto pare con pianificazione britannica, risoltisi però tutti in costosissimi fallimenti, con la più parte dei mezzi impegnati abbattuti dalle difese antiaeree russe installate sull’Isola. Da parte russa è però divenuto difficile alimentare continuamente la guarnigione dell’Isola e trasportavi ad esempio i sofisticati sistemi antiaerei Pantsir, e almeno due imbarcazioni di trasporto sono per l’appunto state colpite nel mentre da missili Harpoon disposti sulla costa ucraina.

Infine, con la fornitura di artiglierie occidentali a lungo raggio, l’Isola è divenuta a portata del costante tiro di artiglieria, divenendo di fatto indifendibile. Da qui la decisione del ritiro russo che trasforma l’Isola in terra di nessuno dal momento che essa resta sotto la capacità di tiro ucraina ma anche russa, entrambe le parti sono perciò impossibilitate a mantenervi un controllo stabile (dopo il ritiro russo un gruppo di incursori ucraini vi è sbarcato per installarvi una bandiera ucraina per ovvi fini propagandistici, ricevendo una salva di missili russi in risposta).

Chiuso anche il capitolo Isola dei Serpenti il livello delle operazioni navali ha raggiunto una certa fase di stallo, con la flotta ucraina distrutta, i russi con il controllo del Mare d’Azov e del Mar Nero ma impossibilitati per le accresciute difese ucraine ad avvicinarsi alle loro coste. Il supporto dato da allora dalla flotta russa alle operazioni si è sostanzialmente concretizzato nel continuare ad impiegare navi e sottomarini (sia nel Mar Nero che nel Mar Caspio) quali basi di lancio per gli attacchi missilistici in profondità che vengono scagliati da Mosca contro il territorio ucraino (per lo più appunto con missili Kalibr).

L’accordo del grano di luglio

Probabilmente anche questa riduzione delle attività ha convinto le due parti a siglare a luglio, grazie alla mediazione turca, l’accordo del grano che permette all’Ucraina di riattivare le rotte commerciali nel Mar Nero esclusivamente per le esportazioni cerealicole (destinate principalmente ai paesi europei e alla Turchia stessa, nonostante la grande propaganda occidentale circa il grano ucraino destinato all’Africa e ai poveri della terra, bloccato dai russi nei porti).

Da allora, nel corso dell’estate e dell’autunno, sono cresciute le azioni di disturbo ucraine ai danni della flotta russa, essenzialmente tramite ripetuti tentativi di attacco – coordinati dalla base navale di Ochakiv, da allora ripetutamente sottoposta ai bombardamenti russi e dove dovrebbero operare elementi della Royal Navy a supporto degli ucraini – di incursione e attacchi con droni aerei e marini (essenzialmente dei barchini esplosivi senza pilota con impieghi tattici che ricordano molto da vicino quelli della nostra Decima Mas, evidentemente gli inglesi hanno ben imparato le lezioni allora apprese) – ai danni per lo più del porto militare di Sebastopoli in Crimea.

Tali azioni, hanno avuto un apice il 29 ottobre con un attacco massiccio (sarebbero stati impiegati 9 droni aerei e 7 droni marini) che avrebbe causato il danneggiamento di 3 o 4 unità navali russe, tra le quali sicuramente la fregata Makarov anch’essa capace di lanciare missili da crociera Kalibr. Da allora, tuttavia, per quanto tali azioni arrechino danni significativi al dispositivo navale russo, non sembrano capaci di apportare una radicale modifica alla situazione generale della guerra navale, determinata da un totale controllo russo del Mare d’Azov e da una sostanziale supremazia (se non altro per scomparsa di una vera e propria flotta ucraina) nel Mar Nero.