Le forze in campo

Le forze in campoLe forze in campo

Un primo sguardo di analisi va sicuramente alle forze messe in campo dalle due parti belligeranti.

A tale riguardo bisogna senz’altro riconoscere che l’attacco su grande scala condotto dalla Russia il 24 Dicembre, su più fronti e con molteplici direzioni (1. su Kiev dalla Bielorussia, 2. su Kiev dalla regione di Cernigov e da quella di Sumy, 3. su Kharkov, 4. in Donbass contro le posizioni fortificate da 8 anni della “linea di contatto”, 5. dalla Crimea, con due tronconi di avanzata, una verso ovest oltre il Dnieper e una verso est verso Donetsk e Mariupol), è stato effettuato con un numero troppo ristretto di effettivi.

Il dispositivo russo è stato senz’altro imponente, impiegando pur solo una parte del milione di uomini di cui si costituiscono le forze armate russe – numeri che solo gli Stati Uniti potrebbero pareggiare in campo occidentale – e tuttavia è rimasto sottodimensionata rispetto alla portata dell’operazione.

Sui vari fronti, infatti, si è stimato che:

  • dalla Bielorussia (stato formalmente neutrale ma che ospita basi militari russe e che si è prestata a fungere da “base di lancio” per l’attacco russo), 30.000 uomini circa siano stati scagliati all’assalto di Kiev (città di quasi 3.000.000 di abitanti)
  • dalla Bielorussia e dalle regioni di Kursk e Belgorod sulla direttrice di attacco nest, inclusiva delle penetrazioni nelle regioni ucraine di Chernigov, Sumy e Kharkov, sarebbero stati impiegati circa 200.000 uomini
  • dal Donbass i russi avrebbero fornito circa 20.000 uomini a supporto delle milizie delle Repubbliche Popolari di Donetsk e di Lughansk, le quali congiuntamente avevano già tra i 30 e i 40 mila uomini combattenti professionisti e veterani di 8 anni di guerra, ai quali si dovrebbero aggiungere circa 100.000 cittadini mobilitati dalle due Repubbliche Popolari nel corso del mese di febbraio
  • dalla Crimea circa 20.000 uomini, divisi nei due tronconi di offensiva
Il campo russo

Globalmente, quindi, i russi hanno investito l’Ucraina con una forza d’urto di oltre 400.000 uomini, di cui circa 270.000 professionisti dell’esercito russo, circa 40.000 professionisti delle Repubbliche Popolari di Donetsk e Lughansk e circa 100.000 cittadini mobilitati sempre da quest’ultime.

Da aggiungersi a questi anche gli uomini d’élite della PMC (Private Military Company) Wagner dell’oligarca russo (Prigozhin, alias “il cuoco di Putin”), i quali vengono sempre più spesso impiegati come punte di lancia per le operazioni di sfondamento condotte dai russi. Probabilmente la Wagner impiegava all’inizio delle operazioni in Ucraina 3.000-5.000 uomini, di alta professionalità, il cui numero è andato drasticamente aumentando con il proseguire del conflitto. Tale aspetto è da ricondursi all’attività di reclutamento di personale con alta esperienza militare pregressa – che pare la Wagner svolga nei paesi ex Sovietici (oltre che in Serbia e forse anche in Afghanistan presso gli uomini delle ex forze speciali di Kabul, abbandonati dagli occidentali ai talebani) e nelle prigioni russe (e bielorusse), dove si offre la libertà in cambio di 6 mesi di servizio al fronte (non ci sono fonti ufficiali ma si vocifera di un reclutamento tra i 20.000 e i 40.000 uomini).

Il campo ucraino

Da parte ucraina i numeri appaiono invece ancora più importanti e sicuramente il mero fattore numerico ha reso possibile, fino ad ora, all’Ucraina di reggere all’impatto russo.

In particolare, Kiev ha immediatamente avviato una mobilitazione totale della popolazione attraverso il richiamo immediato di tutti i riservisti (di cui circa 200.000 erano già stati richiamati e mandati per lo più in Donbass nel corso di febbraio), dei vari corpi paramilitari facilmente militarizzabili, e di larghe fasce della popolazione. Tale intervento permette all’Ucraina di fronteggiare l’esercito russo costituito, fino all’annuncio della mobilitazione parziale svolto da Putin del 21 Settembre 2022, esclusivamente da professionisti a contratto, grazie al numero e alla massa ottenuta dall’aver anticipato la mobilitazione della popolazione.

Da parte ucraina, all’inizio della guerra si avevano:

  • forze armate per circa 250.000 uomini (di cui circa 200.000 dell’esercito)
  • circa 700.000 riservisti tutti immediatamente richiamati
  • circa 10.000 uomini della difesa territoriale con ulteriori 130.000 riservisti (le brigate della difesa territoriale sono concepite come brigate per l’appunto difensive, di appoggio alle brigate di manovra dell’esercito; tuttavia, con il protrarsi della guerra sempre più brigate territoriali vengono spostate dai territori di loro competenza per essere trasferite sul fronte del Donbass, venendo in un certo senso snaturate di funzione)
  • circa 50.000 uomini dei battaglioni nazionalisti (Azov, Aidar, Donbass-1, Donbass-2 etc…) inquadrati nella Guardia Nazionale
  • circa 50.000 uomini della Guardia di Frontiera (una sorta di Forestale/Polizia Doganale)
  • circa 40.000 uomini paramilitari dello SBU (il servizio di informazione e sicurezza ucraino)
  • circa 60.000 uomini del Servizio di Emergenza dello Stato
  • circa 130.000 uomini delle forze di polizia

In sostanza gli ucraini avevano immediatamente o nel breve tempo tra 1.400.000 e 1.500.000 di uomini in armi, ovvero oltre tre uomini ad uno rispetto ai russi.

In aggiunta il governo di Kiev ha lanciato varie ondate di mobilitazione della popolazione maschile. Secondo le ultime dichiarazioni di Kiev il bacino di uomini potenzialmente disponibili per le armi arriverebbe a 5.500.000, un numero ovviamente colossale ma che difficilmente può tradursi in un impiego effettivo sul campo vista la scarsità di armi, equipaggiamenti disponibili e istruttori.

Non a caso da parte ucraina si è subito fatta richiesta di supporto ai paesi NATO per addestrare nuovo personale militare. Il Regno Unito, come in molti altri settori, si è dichiarato in prima fila avviando un programma di addestramento di 10.000 soldati ucraini ogni quattro mesi. Qualche mese dopo anche la UE ha annunciato un suo programma di addestramento di 15.000 uomini all’incirca negli stessi tempi.

La presenza straniera

Da aggiungersi poi, per quanto difficile da stimare, l’afflusso di personale militare straniero, sia sotto forma di volontari/mercenari inquadrati in un’apposita “Legione Straniera” , forte di qualche migliaio di uomini (con forte afflusso di volontari antirussi dalla Georgia, dalla Bielorussia, dall’Azerbaijan, dalla Polonia, dalla Romania, oltre che dagli altri paesi euro-atlantici), sia direttamente sotto forma di personale militare occidentale chiamato ad operare con false mostrine dell’esercito ucraino o semplicemente sotto copertura.

Accertata d’altra parte la presenza del SAS inglese a Kiev (ufficialmente quali “consulenti” ma sicuramente con impiego diretto in azione). Similmente da fonti inglesi si ammette l’impiego in combattimento di almeno 350 uomini dei Royal Marines. Nell’ordine delle centinaia, se non molto più probabilmente delle migliaia di unità, la presenza di truppe polacche, importante anche, per quanto difficile da quantificare, la presenza di personale militare americano e canadese.

Da parte russa, la principale risposta alla superiorità numerica ucraina si è concretizzata – oltre ad un primo scaglione di 60.000 professionisti inviato a rinforzo delle truppe nel corso di marzo – in particolare dopo il ritiro da Kiev e la disattivazione di tutto il fronte settentrionale annunciata il 25 Marzo 2022 – in un tentativo di compensazione tramite la propria superiorità in termini materiali e di equipaggiamento disponibile.

Senza dubbio, infatti la Russia dispone di una grande eccedenza, vista l’abbondanza degli arsenali ex sovietici, di carri armati, blindati e pezzi di artiglieria.

Un diverso approccio alla guerra

Questo elemento, d’altra parte, informa in un certo senso la struttura stessa dell’esercito russo, formato in BTG “Battalion Tactical Group” ovvero in battaglioni tattici di circa 800-1.000 uomini, composti dalla combinazione di più specialità, ognuno dotato di una sua forza di carri armati, di artiglieria, di lanciarazzi, di blindati da combattimento, essenzialmente di quello che nella NATO si trova in un’intera brigata (unità decisamente più grande, di circa 4.000 uomini).

I BTG, in un certo senso, presentano una sovrabbondanza di mezzi e di potenza di fuoco (in termini di potenza di fuoco un BTG russo pareggia, in buona sostanza, una brigata NATO o ucraina), rispetto agli uomini disponibili, cercando, quindi manifestamente di compensare la scarsità di uomini con l’abbondanza di mezzi.

Non è perciò un mistero se, dal cozzare di due forze armate di questo tipo – quella ucraina formata attorno a unità medio-grandi, ovvero le brigate di manovra, con grande abbondanza di uomini e di rimpiazzi e di brigate territoriali di supporto, e quella russa, formata invece attorno a unità di livello di battaglione, inquadrate poi solo ad un superiore livello divisionale, ricche di equipaggiamenti e con una sovrabbondante potenza di fuoco (tanto da arrivare al livello di scarseggiare di risorse di fanteria che possano difendere a terra i veicoli corazzati) – l’esito siano state perdite umane e materiali estremamente elevate da entrambe le parti, ma, in senso assoluto, con più perdite umane da parte ucraina e più perdite materiali per parte russa.

Il tema delle perdite umane

Al riguardo il generale Milley, capo di stato maggiore americano, ha parlato in novembre di circa 100.000 uomini persi per entrambe le parti, tuttavia, incrociando diverse fonti di dati (le dichiarazioni di ambo le parti o le analisi sui necrologi apparsi nei diversi paesi), appare che i russi possano aver perso effettivamente circa 100.000 ma tra morti, feriti, prigionieri e dispersi (con circa il 40% delle perdite totali a carico delle milizie delle Repubbliche Popolari), mentre da parte ucraina si avrebbero quantomeno 100.000 morti (come ammesso, con un evidente scivolone comunicativo, da Ursula Von Der Leyen in una dichiarazione pubblica, subito ritirata causa le iree di Kiev, gelosa nel nascondere i livelli delle proprie perdite) , mentre considerando prigionieri, dispersi e feriti le perdite potrebbero superare abbondantemente le 250.000 unità.

Al riguardo come si è detto da parte ucraina non si manca di per sé di potenziale per attingere a  nuove reclute, anche a fronte di perdite così spaventosamente elevate.

Rotazione delle truppe ed equipaggiamento

Tuttavia, come si è già detto, il tema si pone per la capacità di equipaggiamento e addestramento di tali uomini.

250.000 uomini persi significa che sono stati persi tanti uomini quanti ne erano inquadrati nelle forze armate al 24 Febbraio, per quanto l’afflusso di nuove reclute, che si cercano di addestrare in qualche settimana sia elevato, è lecito ipotizzare un logoramento progressivo delle brigate di manovra ucraine, ovvero le unità che costituiscono l’ossatura di tutto l’esercito di Kiev.

I rimpiazzi difficilmente avranno quindi la stessa qualità e le stesse capacità tecniche dei soldati professionisti (molti veterani di 8 anni di guerra in Donbass).

Il fatto, per altro, che le unità regolari ucraine siano sottoposte a tassi di perdite estremamente elevati sembra essere comprovato dalla pratica di tenere in linea le unità fino a che queste non perdano circa il 70% dei propri effettivi. A quel punto l’unità viene ritirata dal fronte, rimpolpata con nuovi coscritti, addestrati in poco tempo e alla belle e meglio rimandati al fronte confidando nel fatto che il 30% di veterani superstiti possano fare da ossatura all’unità (finché non si torna ad una perdita del 70% e ricomincia il ciclo).

Viceversa, da parte russa, come detto, la mobilitazione è avvenuta solo il 21 Settembre 2022, tuttavia, al momento il grosso delle truppe mobilitate sono ancora in addestramento (ed essendo passati ormai più di tre mesi c’è da supporre che le nuove truppe siano quantomeno capaci di raggiungere standard qualitativi accettabili).

Bisogna anche fare una considerazione sulla mobilitazione russa: ufficialmente il ministro della difesa Shoigu ha dichiarato che solo circa 300.000 uomini sarebbero stati richiamati dai ranghi dei 2 milioni di riservisti di cui dispone la Russia oltre, al milione di soldati professionisti di cui già disponeva al 24 Febbraio.

Detto questo il decreto di mobilitazione firmato da Putin presentava alcune parti secretate e, secondo alcuni leak (ma anche secondo varie testimonianze aneddotiche secondo le quali vengono reclutate molte persone che non hanno i requisiti ufficialmente dichiarati da Shoigu), il vero numero dei mobilitati sarebbe di oltre 900.000 uomini.

A questi, potenzialmente si dovrebbero aggiungere i coscritti di leva (i circa 130.000 giovani che hanno terminano il servizio militare in corso d’anno e che per decreto non sono stati smobilitati ma trattenuti a servizio), oltre che l’eccesso di volontari avuti nel corso dei mesi di guerra (molti attirati dal trattamento economico preferenziale in caso di arruolamento volontario, se ne avrebbero almeno 20.000 da dopo settembre e altrettanti nei mesi precedenti).

Complessivamente i russi avrebbero in quindi accumulo una forza di 1.000.000 di uomini, freschi e in addestramento da mesi, con minori problemi in termini di equipaggiamento, che prima o poi dovrebbero entrare nella lotta contro altrettanti ucraini, usurati però da un anno di conflitto, riuscendo quindi a pareggiare (se non a superare) anche numericamente le forze nemiche.

Agiatezza di mezzi russi e penuria ucraina

Sul piano degli equipaggiamenti e dei veicoli, come si è detto, sono i russi che hanno avuto le perdite maggiori, si stimano dalle 10.000 alle 12.0000 unità di veicoli, pezzi di artiglieria e carri armati persi, contro 4.000-5.000 mila unità per parte ucraina.

In particolare, si possono raffrontare le perdite in termini di carri armati: persi circa 2.000 carri da parte russa (un numero spaventosamente alto, considerando che si stima che la Russia avesse circa 3.500 in servizio, al netto delle riserve, a febbraio), oltre la metà di questi T72 in varie versioni (A, B1,B2, B3), circa 500 T80 (il carro più pesante in dotazione alle forze armate russe), per il resto un mix di vecchi T62, T64 per lo più forniti alle forze di Donetsk e Lughansk e i più moderni T90.

Da parte ucraina si avrebbero invece circa 900 carri persi. Si devono considerare, oltre ai circa 800 T64 di epoca sovietica con i quali Kiev ha iniziato la guerra, le forniture, avute per lo più in primavera, di carri ex sovietici dall’Europa dell’Es, principalmente Polonia e Repubblica Ceca che hanno già fornito oltre 300 T72M (laddove la versione M era una variante polacca destinata all’esportazione del T72 e globalmente inferiore alle versioni russe), 90 carri aggiuntivi devono arrivare sempre dalla Repubblica Ceca che si è fatta pagare la rimessa in servizio di vecchie scorte di magazzino da Olanda e Stati Uniti, infine vi sono pure 28 M55S Sloveni ovvero versioni ammodernate del T55.

Inoltre, gli ucraini sono riusciti a catturare alti quantitativi di materiali russi, in particolare nel periodo di marzo, dopo il fallito colpo di mano inziale, con i russi che ritirandosi da Kiev e da tutto il nord del paese, si sono lasciati indietro molti mezzi (spesso per mera assenza di carburante e pessima logistica).

In totale quasi un terzo delle perdite russe di materiali si stimano subite nel primo mese di guerra; si avrebbero circa 500 carri russi caduti nelle mani degli ucraini.

In totale agli ucraini residuerebbero circa 700 carri armati, con scorte essenzialmente esaurite (in patria come nella NATO per quanto riguarda i carri ex sovietici). Da parte russa invece, il colonello Marco Grosberg, dell’esercito estone, in una recente intervista ha fatto notare che la Russia può senz’altro disporre dalle proprie riserve almeno 3.000 carri armati.

A questi si possono aggiungere le nuove produzioni (i russi si stanno concentrando per produrre, almeno qualche centinaio di unità all’anno, dei moderni T90M), oltre che i modernissimi T14 Armata (forse qualche decina di esemplari), e gli ammodernamenti di altri carri in riserva, nel 2021 l’esercito russo aveva approvato un piano di aggiornamento di almeno 500 T80 tra quelli posti in riserva. Globalmente, si può considerare che la Russia abbia la capacità di schierare in linea non solo tanti carri quanti ne aveva al 24/02, ma anzi anche di più e soprattutto di qualità media migliore; da parte ucraina, invece, la componente corazzata è in via di progressiva riduzione, laddove cresce l’incidenza di carri di qualità inferiore, in esaurimento anche le disponibilità di armamenti anticarro forniti.

L’aiuto della NATO è fondamentale

Per gli ucraini si capisce quindi come divenga sempre più pressante la richiesta rivolta alla NATO di fornitura di carri armati occidentali, dal momento che, non disponendo di una produzione propria e subendo tassi di perdite di mezzi corazzati molto alti, inevitabilmente fronteggiano una situazione per la quale senza forniture esterne, si troveranno senza carri armati, contro un nemico che dispone, oltre che di larghi stock inziali, di una larga capacità produttiva.

Che carri mandare? si chiedono gli occidentali da mesi. In primo luogo, come detto, sono stati inviati tutti i mezzi ex sovietici reperibili, immediatamente impiegabili per gli ucraini, esauriti questi, tuttavia, si ripropone lo stesso tema, obbligando gli occidentali ad inviare carri armati di propria produzione.

Carri Armati occidentali

Il dibattito si è incentrato essenzialmente su due mezzi: l’americano Abrams, più che altro nella vecchia versione M1A1, di cui gli americani tengono in riserva circa 3.000 esemplari, e il tedesco Leopard2, di cui tra gli anni ’80 e ’90 si stimano prodotti oltre 2.500 esemplari, esportati dalla Germania in diversi paesi europei (come Polonia, Spagna, Finlandia, Danimarca, Portogallo, Grecia e Ungheria, oltre che al Canada e alla Turchia).

Esclusi l’Ariete italiano (carro dalle scarse prestazioni), di cui disporremmo sì e no dare una ventina di mezzi operativi e il Leclerc francese (dal momento che la Francia ha chiuso le linee di produzione di tale carro armato ed è altamente inverosimile che un paese come la Francia possa permettersi il lusso di restare senza una forza corazzata operativa). Per quanto riguarda il Challenger2 inglese, il governo britannico ha invece rotto gli indugi a inizio gennaio annunciando la fornitura di 14 carri.

La mossa, tuttavia, quasi dimostrativa, sembra volta più che altro a rompere il ghiaccio sul tema e dare l’abbrivio per la fornitura massiccia dei due modelli sopra citati da parte dei paesi alleati. Il Regno Unito dispone infatti di appena 220 Challenger2, di cui circa 150 destinati al programma di ammodernamento Challenger3, solo una settantina di carri di riserva sarebbero disponibili per l’invio, numeri troppo scarsi per fare la differenza.

Il ballottaggio tra Abrams e Leopard sembra tuttavia esser stato vinto da quest’ultimo, principalmente a causa dell’estrema complessità e pesantezza della catena logistica necessaria per sostenere una macchina complessa come l’Abrams. Quest’ultimo infatti impiega un motore a turbina (praticamente il motore di un jet da combattimento montato su di un carro armato), a differenza dei Leopard che come quasi tutti i carri russi ed ex sovietici che impiegano più semplici motori a diesel.

Il generale americano Petreus, ex-direttore della CIA e “falco” anti-russo in ambito americano, ha escluso espressamente l’invio di Abrams, per l’impossibilità di mantenerlo in condizioni operative su di un campo di battaglia complesso come quello ucraino (in effetti vedere una colonna di carri americani, fermi per assenza di carburante e in mano ai russi con tutte le loro tecnologie di bordo è sicuramente uno scenario che sarebbe poco gradito al Pentagono).

Quindi parola ai Leopard, di cui il presidente Duda in visita a Leopoli l’11 gennaio presso Zelensky ha promesso l’invio per “armare una compagnia” ovvero una quindicina di carri armati. La Polonia, che prima di febbraio aveva quattro brigate corazzate (due armate con T72 e due con Leopard), ha sottoscritto contratti per sostituire nei prossimi anni tutta la propria componente corazzata con carri americani e sudcoreani, mantenere un terzo carro armato (il Leopard tedesco) complicherebbe notevolmente la logistica dell’esercito polacco. Si capisce quindi che la Polonia possa voler disfarsi di tutti i propri 250 Leopard2 ed è verosimile pensare che all’annuncio di Duda possano far seguito, scaglionate nel tempo, altre consegne.

A queste forniture potrebbero aggiungersi qualche altra decina di carri armati dello stesso tipo dalla Spagna, che aveva già ipotizzato l’invio di 40 mezzi ad agosto, salvo poi rinunciare in un primo momento visto lo scarso stato manutentivo dei mezzi, e probabilmente qualche altra decina dalla Germania (anch’essa con un parco carro lungi dal poter vantare condizioni manutentive ottimali) e forse dalla Danimarca.

A tendere, quindi, 300-400 carri armati per l’Ucraina, con consegne verosimilmente scaglionate e ritardate per la necessità di riaddestrare i carristi ucraini all’utilizzo dei nuovi mezzi. Importante anche l’invio di IFV (Infantry Fighting Vehicle) ovvero veicoli blindati da trasporto e da combattimento per la fanteria, senza i quali, le unità ucraine rischierebbero di restare ancorate al terreno.

Veicoli leggeri e fanteria meccanizzata

Nel corso del 2022 si è dato ampio spazio soprattutto ai mezzi di trasporto truppe (come i M113 americani o i VAB francesi); nel 2023 sembra invece che si aggiungeranno mezzi da combattimento propriamente detti, con gli USA che annunciano l’invio di 60 Bradley, armati con cannoncino da 30mm e la Germania di 40 Marder, armati con cannoncino da 20mm e la Francia che procederà invece con l’invio di blindati gommati AMX10-RC, armati con cannone su torretta da 105mm (l’Italia potrebbe seguire con l’invio dei blindati ruotati Centauro di concezione simile?).

Molto significative anche le forniture, avvenute in gran copia nei primi mesi di guerra, di ATGM (Anti Tank Guided Missels) e altre armi anticarro occidentali, consegnate in migliaia di unità, fino quasi ad esaurimento stock. Gli ucraini, tuttavia hanno performato molto bene anche con l’impiego dei missili Stugna-P, di produzione autoctona e, al netto della grande propaganda fatta sui Javelin e altri costosissimi armamenti NATO, molto più pericolosi per i carri russi. In ogni caso, l’industria bellica ucraina è ovviamente stata distrutta dai bombardi russi, mentre le scorte occidentali sono sotto crescente pressione (si stima che gli USA, già in primavera, avessero inviato in ucraina il 40% dei Javelin a propria disposizione, ulteriori forniture intaccherebbero ovviamente anche la capacità operativa dello stesso US Army).

Il problema delle scorte e l’artiglieria, la regina della battaglia

Il problema delle scorte, d’altra parte, appare essere molto gravoso per le forze di Kiev. Si veda ad esempio per l’altra componente essenziale di questa guerra, ovvero l’artiglieria. Per i primi 4-5 mesi di guerra gli ucraini hanno sostanzialmente esaurito le proprie scorte di munizioni di artiglieria per i calibri ex sovietici da 122mm e 152mm (in parte per l’alto rateo di utilizzo e in parte per i bombardamenti russi in profondità sui depositi di munizioni), da allora sono divenuti essenzialmente dipendenti dalle forniture occidentali.

Le forniture occidentali in questo campo riguardano essenzialmente circa 200 pezzi di artiglieria campale da 155mm (FH70 italiani, FTR1 francesi e soprattutto M777 americani), una novantina di pezzi da 105mm (inglesi e americani), e oltre 200 semoventi di artiglieria – Krab polacchi, M109 americani, di fornitura norvegese, inglese e di altri stati (a gennaio gli USA hanno annunciato l’invio di altri 18 M109 dai propri magazzini), Dana/Zusana cechi, Caesar francesi e Pzh2000 tedeschi, olandesi e probabilmente italiani.

In tutto circa 500 pezzi, una potenza di fuoco di tutto riguardo che tuttavia continua a non tenere il passo con la potenza di fuoco russa.

Sempre il colonnello Grosberg stima che in tutto il corso della guerra la Russia avrebbe perso circa 500 pezzi di artiglieria, pari ad appena al 10% della propria potenza di fuoco di linea, al netto anche qui delle riserve.

Viceversa, i pezzi occidentali, sottoposti ad un sovra utilizzo da parte degli ucraini, risultano afflitti da un alto tasso di usura (circa un terzo dei pezzi, secondo fonti americane, sarebbero in riparazione proprio per usura, all’incirca lo stesso numero di pezzi sarebbero invece stati distrutti o danneggiati dai russi in combattimento). Allo stesso modo i pezzi di artiglieria occidentali forniti risultano molto difficili da sostituire (esempio eclatante gli M777 americani, usciti di produzione, ogni pezzo perso in un certo senso è perso per sempre, al momento gli USA hanno fornito le proprie eccedenze, ulteriori forniture dovrebbero intaccare le capacità operative delle brigate da combattimento americane).

Critica anche la situazione munizionamento. Da parte occidentale si sono forniti circa 1.000.000 di pezzi di artiglieria da 155mm (oltre che un ignoto numero di vecchie granate da 152mm e 122mm ex sovietiche che gli Stati Uniti cercano di comprare in paesi del terzo mondo per sostenere la capacità di fuoco ucraina), tuttavia con il rateo di consumo di circa 3.000-4.000 mila granate al giorno e una capacità produttiva americana limitata a circa 14.000 granate al mese.

Nel corso del 2023 gli USA dovrebbero aumentare la produzione a 20.000 granate al mese, considerando altre potenziali forniture da produttori europei (principalmente la Repubblica Ceca che ha annunciato una produzione di 100.000 pezzi per il 2023) e di alleati come l’Australia, Singapore e la Corea del Sud, le forniture potrebbero continuare con circa 600.000-700.000 nuove granate per il 2023, comunque in calo rispetto al 2022, con esigenze belliche tuttavia sempre in crescita vista l’intensificazione del conflitto.

Da parte russa, invece, si procede con un ritmo medio di oltre 7 granate lanciate per 1 ucraina, con quasi 10.000.0000 di granate consumate nel 2022 ma con stock disponibili stimati per almeno ulteriori 10.000.000 di granate e una capacità produttiva che al momento dovrebbe eccedere le 3.500.000 di granate per anno e  che forse potrebbe lambire le 5.000.000 di unità, con ulteriore capacità produttiva in Corea del Nord, dove esiste una larga base industriale dedicata a tale munizionamento, che pare Mosca abbia chiesto a Pyongyang di attivare per integrare la propria.

In proporzione, si hanno gli stessi numeri anche per il munizionamento di precisione, da parte occidentale si forniscono le granate di precisione Excalibur e le Vulcano ma nell’ordine delle migliaia di unità, da parte russa invece si sono intensificati i livelli di produzione delle granate Krasnapol (guidate via drone) che sovrasterebbero le omologhe occidentali per almeno un’unità di scala.

Problemi simili potrebbero riguardare anche, addirittura, la ventina di lanciatori HIMARS, i temibili lanciarazzi di precisione americani che, più che distrutti dai russi, potrebbero finire semplicemente senza munizioni, dal momento che si stima che gli ucraini consumino in 3-4 mesi la produzione annua di razzi che gli Stati Uniti riescono a sfornare. D’altra parte, gli USA potrebbero ovviare con l’invio di nuovi missili ATACMS, con raggio di 300khm, rispetto agli 80khm delle munizioni standard degli HIMARS, disponibili in numero inferiore ma con aumentate capacità offensive visto il più lungo raggio d’attacco.

Globalmente la prospettiva sembra essere, nonostante lo sforzo collettivo dei paesi della NATO e l’impiego dei paesi dell’Est Europa come basi produttive e logistiche arretrare per l’Ucraina, che vi sia la seria possibilità che nel breve-medio termine, Kiev non sia più in grado di reggere le dimensioni industriali della guerra e che l’esercito russo possa non solo conservare ma anche aumentare la disponibilità di equipaggiamento che vanta rispetto all’esercito ucraino.